“Cosa sarebbe successo ai mafiosi se l’Italia non fosse stata unificata?”. Commentando un post di Briganti pensando a Sciascia

1 luglio 2021
  • Cento anni fa nasceva Leonardo Sciascia. Un post di Briganti ci ha dato la possibilità di ricordarlo così
  • La domanda posta è molto pertinente. Proviamo a illustrare le possibili risposte
  • L’analisi di Briganti, assolutamente corretta, ci riporta a un testo teatrale siciliano del 1861: “I mafiusi di la Vicaria”
  • Leonardo Sciascia riprende la commedia per analizzare a fondo la mafia
  • La mafia, con l’Italia unificata sotto i Savoia, fa un passo in avanti: diventa soggetto attivo in politica per farsi Stato. La denuncia di Sciascia che non piacque all’Italia 

La domanda posta è molto pertinente. Proviamo a illustrare le possibili risposte

Un post che leggiamo sulla pagina Facebook Briganti affronta un complesso e affascinante tema che si riassume nella domanda: “Cosa sarebbe successo ai mafiosi se l’Italia non fosse stata unificata?”. La risposta la leggiamo nello stesso post: “Se nel 1861 l’Italia non fosse stata unificata sotto i Savoia, la mafia non si sarebbe probabilmente sviluppata, almeno non per come la conosciamo noi. Il motivo? Non si sarebbe verificata quella graduale marginalizzazione del Sud Italia (trasformato in realtà periferica dalle politiche piemontesi), che lasciò ai mafiosi un’ampia libertà di azione. Prima dell’unificazione, infatti, la mafia era un’accozzaglia di criminali che agivano per conto di baroni e ricchi possidenti locali. Poi, con lo sbarco dei mille in Sicilia, molti mafiosi ingrossarono le file delle Camicie rosse di Garibaldi, facendo da scorta a quest’ultimo (destra, foto di Garibaldi e Cavour tratta da Wikipedia). Il passo successivo della mafia fu quello di penetrare nelle pieghe dello Stato, sfruttando il vuoto di potere seguito alla cacciata dei Borbone dalle terre del Sud. Già dal 1861 parecchi mafiosi si infiltrarono nei governi cittadini e non solo, finché il fenomeno assunse dimensioni tali da porsi quale alternativa alle stesse istituzioni nazionali”.

L’analisi di briganti, assolutamente corretta, ci riporta a un testo teatrale siciliano del 1861: “I mafiusi di la Vicaria”

Analisi corretta che ci riporta a un testo di Leonardo Sciascia, del quale, quest’anno, ricorre il centenario della sua nascita. Prima di arrivare al grande scrittore siciliano, dobbiamo partire da un testo teatrale in lingua siciliana, scritto nel 1861, da Gaspare Mosca. Il testo teatrale, in due atti, s’intitola I mafiusi di la Vicaria. L’opera, che fece molto discutere, venne rappresentata per la prima volta nel 1863, a Palermo, presso il teatro di Sant’Anna. Il senso di questa produzione artistica non è mi stato molto chiaro: avrebbe dovuto essere una sorta di grido di allarme rivolto alle autorità, circa i pericoli provocati da una consorteria criminale che, già in quegli anni, appariva piuttosto organizzata; ma venne anche interpretata come una sorta di apologia di un’idea di vita fondata su un malinteso senso dell’onore: un’idea di vita che dava comunque forza a una sorta di esercizio del male, quasi una scuola delinquenziale pronta a forgiare uomini d’onore in grado di dialogare alla pari con i rappresentanti delle istituzioni: non a caso si parlava già allora di “Onorata società”. La commedia finì nelle mani di un uomo di teatro, Giuseppe Rizzotto, che vi aggiunse un prologo. Il successo non mancò: e fu un successo duraturo, che andò avanti sino al 1894, anno della scomparsa di Rizzotto. Anche su questo successo, durato un trentennio, le interpretazioni non sono state univoche. Alcuni hanno sostenuto che è stato un fenomeno di basso volgo che, comunque, avrebbe diffuso alcuni elementi della terminologia mafiosa. Anche se, in verità, forse per evitare fastidi con le ‘autorità’, Rizzotto non utilizza le parole mafia e mafioso, ma camorra e camorristi. Non solo. La commedia di Rizzotto ha, come dire?, un finale istituzionale, quasi un lieto fine, se è vero che il personaggio centrale, Gioacchino Funciazza, una volta uscito dal carcere dell’Ucciardone (che aveva reso il posto del carcere borbonico  della Vicaria, chiuso nel 1842), grazie all’influenza di un uomo politico siciliano di grande rilievo, si converte alla legalità e diventa quasi un cittadino modello.

Leonardo Sciascia riprende la commedia per analizzare a fondo la mafia

Il finale di questa storia non ha convinto lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia (nella foto sotto, tratta da Wikipedia), che nei primi anni ’60 decise di studiare e di scrivere su questa commedia. Sciascia era un grande conoscitore della mafia e della mentalità mafiosa: e del confluire della mafia e della mentalità mafiosa nello Stato italiano. Quando lo scrittore di Racalmuto inizia a ‘ragionare’ sull’opera di Mosca e di Rizzotto ha già dato alle stampe Il giorno della civetta, romanzo del 1961 che affronta alcuni dei temi legati alla mafia. Sciascia decide di riscrivere questa commedia, che s’intitolerà I mafiosi. E lo farà a modo suo, cambiando un po’ l’impostazione temporale dei fatti. Mosca e Rizzotto avevano ambientato la loro opera nel 1854 (non è da escludere che lo avessero fatto per evitare fastidi con le autorità); Sciascia, invece, colloca i fatti nell’Aprile del 1860, facendoli coincidere con l’arrivo di Garibaldi e dei mille in Sicilia. O meglio: con i giorni che precedettero lo sbarco. In un articolo dal titolo: “I mafiosi: analisi e commento dell’opera teatrale di Sciascia“, Federico Guastella cita una frase del libro di Sciascia dove a parlare è Gioacchino: “Io non metto d’accordo niente, eccellenza; non ammiro nessuno; non mi interessa né chi vince né chi perde. Quello che mi piace della rivoluzione, sono le porte aperte, gli sbirri che vanno a inconigliarsi, il movimento del ‘levati tu che mi ci metto io’ … se poi la rivoluzione non capisce che il comando è il comando…”. I mafiosi, insomma, guardano all’unità d’Italia che si genera in Sicilia come un’occasione imperdibile. E qui torniamo alla domanda della pagina Facebook Briganti: “Cosa sarebbe successo ai mafiosi se l’Italia non fosse stata unificata?”. La risposta la dà lo stesso Gioacchino, quando spiega che con i Borbone i mafiosi erano fuori dalle istituzioni, mentre con l’Italia che nasceva i mafiosi sarebbero stati dentro le istituzioni: per certi versi, in certi momenti, avrebbero anche rappresentato le istituzioni.

La mafia, con l’Italia unificata sotto i Savoia, fa un passo in avanti: diventa soggetto attivo in politica per farsi Stato. La denuncia di Sciascia che non piacque all’Italia  

Sciascia cambia anche il finale della commedia. A differenza del testo di Mosca e Rizzotto, nel finale dello scrittore di Racalmuto non c’è alcuna redenzione. Se nel testo di Mosca e Rizzotto il politico importante aiutava Gioacchino a diventare un uomo ligio alle leggi dello Stato, nella commedia di Sciascia il personaggio politico centrale – l’Incognito – viene aiutato dai mafiosi, appena usciti dalla galera, che gli organizzano la campagna elettorale. Federico Guastella riporta un passo del libro di Sciascia molto importante. A parlare è l’Incognito: “Mi ha chiamato, costui, mafioso; e va dicendo che io ho portato la battaglia elettorale sul terreno della mafia… Ma qual è, o amici miei, l’autentico significato della parola mafia? Mafia è per me, per voi, eleganza, fierezza, cavalleria, senso dell’onore, superiorità, perfezione… E se mafia è questa, così come l’intendiamo noi, così come l’intende il buon popolo siciliano…
VOCE: E se è quell’altra? Ma si vede la persona che ha lanciato la domanda crollare, colpita, e subito trascinata fuori.
INCOGNITO: Se mafia è questa, e non società per delinquere […] ebbene, amici miei, io vi dico che sono mafioso e sarò fiero di poter portare nel Parlamento dell’Italia unita, libera, grande il soffio vivificante della mafia di questa nostra isola gloriosa…”. La mafia, con l’Italia unificata sotto i Savoia, fa un passo in avanti: diventa soggetto attivo in politica per farsi Stato. Quella di Sciascia è una denuncia molto forte che non andò a genio all’Italia di quegli anni. Ed è anche comprensibile. Ma come tante intuizioni di Sciascia, alla fine i fatti non gli hanno dato torto. Se oggi esiste il reato di voto di scambio con la mafia e se ancora oggi, nei Tribunali, si discute di trattativa tra Stato e mafia, qualcosa, Sciascia, doveva averla intuita…

Foto di prima pagina tratta da Colapisci

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