- L’ultimo tentativo degli Spagnoli di tenersi la corona siciliana, che poi viene ceduta al Sacro Romano Imperatore
- L’ultima unione personale tra Sacro Romano Impero e Sicilia, ma quanto erano cambiate le cose dai tempi di Federico II!
- A Vienna si pensava che la Sicilia era un acconto di Spagna e si parlava con la Sicilia in spagnolo
- Una breve e dura occupazione militare…
- Finalmente un po’ di pace navale con gli stati berberi…
- …E anche con la Chiesa si fa pace: riconosciuta ancora una volta l’Apostolica Legazìa
- La Guerra di Successione Polacca rende odiosa la fiscalità del governo asburgico, e i Borbone di Spagna sono accolti come liberatori
- Carlo III Borbone, un re non assenteista – L’unità monetaria con Napoli e la coniazione dell’Onza d’oro
- … ma nel complesso è l’ennesima delusione: di nuovo viceregno, condannati alla semi- indipendenza
L’ultimo tentativo degli Spagnoli di tenersi la corona siciliana, che poi viene ceduta al Sacro Romano Imperatore
Il ritorno degli Spagnoli durò poco. I Savoia che resistevano duramente, specie a Milazzo, chiesero
aiuto all’Austria, sapendo di non poter prevalere sulla più potente Spagna. Si formò una Quadruplice
Alleanza (Austria, Paesi Bassi, Francia e Regno Unito) per fermare l’espansionismo spagnolo. Dopo
due anni di guerra, Austriaci, Inglesi e Piemontesi ebbero la meglio. La flotta spagnola fu sconfitta a
Capo Passero, gli Spagnoli prevalsero via terra nella battaglia di Francavilla, ma alla lunga la mancanza
di linee di comunicazione con la madrepatria doveva rendere insostenibile la situazione. Gli Austriaci
dilagavano nel Val Demone. A un certo punto sbarcano a Trapani, che ancora resisteva nelle mani dei
Savoia e aprono un altro fronte in Val di Mazzara. La Spagna così decide di ritirarsi, accontentandosi di
poter succedere con un ramo della famiglia Borbone nel piccolo ducato di Parma e Piacenza, dove la
casa Farnese stava per estinguersi senza eredi diretti. L’Austria, come compenso per l’aiuto prestato,
chiese la corona siciliana, dando ai Savoia in cambio la più piccola Sardegna (1720). I Savoia dovettero
accettare e, in ogni caso, sulla Sardegna avrebbero avuto miglior gioco nel controllarla, mentre non
avrebbero perso nulla in termini di titolo giacché anche la Sardegna era formalmente un regno. Nelle
ultime fasi della guerra, quando gli Austriaci stavano per avvicinarsi a Palermo, merita di essere
ricordato il coraggio e la provvidenza del Pretore di Palermo, conte di San Marco, che, per evitare che
la capitale diventasse terreno di scontro tra Spagnoli e Austriaci, arma le corporazioni, fortifica la città,
praticamente rendendola neutrale, e la rifornisce di provviste e di piccoli mulini per resistere a lungo.
Arrivata la notizia della pace, il comandante austriaco avrebbe trattato con il massimo onore il
coraggioso e prudente primo cittadino della capitale.
L’ultima unione personale tra Sacro Romano Impero e Sicilia, ma quanto erano cambiate le cose dai tempi di Federico II!
Nel riconoscere all’Austria il possesso della Sicilia, la Spagna rinuncia definitivamente all’Unione
Perpetua, trasferendola esplicitamente al Sacro Romano Impero. L’Imperatore Carlo VI d’Asburgo-
Austria diventava così Re di Sicilia, ultimo Sacro Romano Imperatore ad assommare in sé le due
cariche. Ma, rispetto al primo, Federico II, i rapporti si erano ora totalmente invertiti: ai tempi di
Federico Hohenstaufen, la Sicilia era la corona sovrana e l’Impero era, nonostante la sua vastità, una
corona secondaria e dipendente in unione personale con la Sicilia, ora, mezzo millennio dopo, era la
Sicilia ad essere diventata una piccola pertinenza dell’Impero, istituzionalmente in modo non troppo
diverso dal Regno d’Ungheria, anch’esso aggiogato al casato d’Austria. Nonostante ciò la Sicilia
conservava la sua formale indipendenza, il suo Stato e la sua costituzione del Vespro, al di là della
rapida successione di dinastie regnanti.
A Vienna si pensava che la Sicilia era un acconto di Spagna e si parlava con la Sicilia in spagnolo
Gli Austriaci, rappresentati allora dall’Imperatore Carlo VI d’Asburgo, non avevano rinunciato,
nonostante i trattati del 1713 e del 1714, alle loro mire sulla Spagna. Rispolverando l’Unione Perpetua
tra Sicilia e Spagna, consideravano la Sicilia il primo lembo di Spagna riconquistato, a differenza del
Regno di Napoli o del Ducato di Milano (e del piccolo Stato dei Presìdi in Toscana), considerati a tutti
gli effetti stati italiani. Tennero così a Vienna una “cancelleria in castigliano” per comunicare con il
piccolo Regno di Sicilia. Negli atti pubblici siciliani l’Imperatore Carlo si firmava come Re Carlo III
(sottinteso di Spagna e di Sicilia, in continuità con Carlo II), e – forse per sembrare ancor più spagnolo – riattivò a pieno regime l’Inquisizione spagnola, con gli ultimi roghi pubblici, che invece nei domini
asburgici non esistevano, e che nella stessa Sicilia erano desueti da più di sessant’anni. Per inciso
ricordiamo che, dopo Carlo V, questo fu l’ultimo sacro romano imperatore ad essere
contemporaneamente re di Sicilia.
Una breve e dura occupazione militare…
La breve occupazione militare austriaca, prima dell’insediamento del primo legittimo viceré, il Duca di
Monteleone, si rivelò particolarmente dura. Il comandante austriaco che portava le truppe dal Regno di
Napoli, impose l’accettazione della moneta napoletana in Sicilia con un cambio sfavorevole con
conseguenze molto pesanti per un’economia già provata da anni di guerra, in termini di inevitabile
inflazione… ma tutto sommato si tornò ben presto al rispetto della Costituzione del Regno di Sicilia.
Con tutto ciò non può dirsi che il sovrano austriaco non sia stato rispettoso della Costituzione
Siciliana, alla quale prestò giuramento come avevano fatto sia i sovrani spagnoli (che in tutto voleva
imitare per legittimarsi) sia Vittorio Amedeo. C’è però da dire che le Guerre di Successione fecero
saltare o dilazionare alcune convocazioni parlamentari, ma poi – sotto gli Asburgo d’Austria – queste
ripresero con regolarità. Fra le leggi approvate in questi parlamenti, la nomina di un deputato a Vienna
per assistere i Ministri imperiali negli affari che riguardassero la Sicilia. Un tentativo del Monteleone di
deporre e incarcerare il Pretore di Palermo e deporre tre senatori di Palermo su sei, terminò con il
reintegro dei magistrati municipali, la liberazione del Pretore e la destituzione del viceré, sostituito dal
Portocarrero conte di Palma. Quest’ultimo avrebbe soppresso, in un successivo Parlamento, le milizie
territoriali create dal De Vega secoli prima, come ormai inutilmente onerose per le finanze del Regno.
Ora il sistema di fortezze regolari era sufficiente per tenere a bada un’offensiva ottomana ormai spenta
e ridotta solo a qualche atto di pirateria. Le milizie urbane, peraltro, distoglievano forza lavoro dalle
normali occupazioni, in un momento in cui c’era bisogno di sfruttare la pace per rilanciare l’economia
dell’Isola. L’Imperatore-Re Carlo concesse questo scioglimento, ma pretese per questo un “pizzo” che
il Parlamento dovette concedere, e che in parte andò a rinforzare la flotta siciliana. Il Viceré Sastago portò avanti alcune leggi modernizzatrici: la Deputazione delle Strade, il Tribunale di Commercio, il Porto Franco di Messina…
Ancora segnaliamo che, di fronte ad una richiesta inusitata di un milione di scudi (400.000 onze) nel
Parlamento del 1732, i parlamentari ebbero il coraggio di ricusarlo, riducendolo a 800.000 (320.000
Oz.). Negli anni successivi il viceré Sastago, visto che le gabelle destinate a questo finanziamento
straordinario si erano rivelate insufficienti, si limitò a richiedere e a ottenere di convertirle in donativo
diretto, di più facile riscossione. Del resto gli Asburgo d’Austria erano ben abituati a regnare su tante
corone, ciascuna con le sue tradizioni e le sue istituzioni da rispettare (si pensi almeno ai regni di
Boemia e di Ungheria). Al contempo, però, fu inevitabile con il nuovo governo un’opera di
razionalizzazione e modernizzazione del Regno, le cui istituzioni alla fine della dominazione spagnola
erano andate praticamente alla deriva. Fra i provvedimenti che i Siciliani dovrebbero ricordare meglio
c’è quello dell’istituzione della Deputazione delle Strade (1731), con cui inizia una manutenzione meno
frammentaria delle Regie Trazzere, cioè del sistema viario che, dall’inizio del Regno, aveva garantito le
comunicazioni interne. Alcune iniziative a favore del commercio, come la costituzione di una
compagnia anonima (la prima società per azioni) per il commercio internazionale, con privilegio
pubblico, o l’istituzione di un “tribunale di commercio”, tutte novità progettate in era “austriaca”,
avrebbero visto la luce solo qualche decennio dopo, in piena era “borbonica”. Solo a Messina riuscì nel
1728 l’apertura del Porto franco, che ristorava la città delle antiche esenzioni soppresse dopo la rivolta
del secolo precedente.
Finalmente un po’ di pace navale con gli stati berberi…
Nel 1726 due trattati con i Tunisini e i Tripolini resero sicuro il commercio navale siciliano. Analogo
accordo con gli Algerini saltò nella sostanza perché questi pretendevano che all’accordo prendessero
parte anche i Cavalieri di Malta, ma l’imperatore rispose candidamente che, nonostante egli fosse re di
Sicilia, e quindi signore feudale dei Cavalieri, non era in grado di controllare la loro politica estera,
segno del grado di quasi indipendenza che questi avevano acquistato in due secoli dalla concessione
dell’imperatore Carlo V. Il rigore austriaco non piacque molto ai Siciliani, ormai abituati dai viceré
spagnoli ad una condizione di semi-anarchia, e in ogni caso, pur inviando viceré italiani o spagnoli, il
governo degli Austriaci non entrò mai in empatia con le classi dirigenti isolane. I Siciliani
consideravano generalmente Carlo una specie di usurpatore, non meno di Vittorio Amedeo, e
propendevano per un ritorno nell’area spagnola, ormai borbonica.
…E anche con la Chiesa si fa pace: riconosciuta ancora una volta l’Apostolica Legazìa
I rapporti con il Papa si andarono normalizzando. Già nel 1722 il Papa investe Carlo VI dei “feudi” di
Napoli e Sicilia. Si è già visto che la sudditanza feudale al Papa del Regno di Sicilia non era mai stata
riconosciuta, ma i pontefici la ritenevano dovuta e – essendoci ancora in atto la contesa sull’apostolica
legazìa – Vienna non volle al momento esasperare gli animi. Si arrivò ad una composizione della crisi
nel 1728, con l’accettazione ancora una volta dell’autonomia ecclesiastica della Sicilia, sia pure con
alcune concessioni puramente formali alla Santa Sede per motivi di immagine.
La Guerra di Successione Polacca rende odiosa la fiscalità del governo asburgico, e i Borbone di Spagna sono accolti come liberatori
L’occasione per un nuovo cambio di dinastia si presentò nella Guerra di Successione Polacca. Senza
volerla seguire nella sua dinamica, del tutto estranea alla Sicilia, questa fu l’occasione perché la Spagna
occupasse i due regni “di Sicilia” e li riportasse nella propria orbita. Il Regno di Sicilia e il Regno di
Napoli (e lo Stato dei Presìdi) sono così dati al figlio di Filippo V di Spagna, Carlo di Borbone (1734).
L’occupazione fu abbastanza facile: gli spagnoli, questa volta alleati di Inglesi e Olandesi, non avevano
sui mari alcun contrasto da parte dell’Austria, potenza continentale che poteva contare solo sulle
modeste flotte napoletana e siciliana. Del resto la “conquista” dei Borbone venne vista ancora una volta
dai Siciliani come un “ritorno” degli Spagnoli, e quindi della legittimità. Negli ultimi tempi il governo di
Vienna, chiamato dai Siciliani del tempo degli “Alemanni”, cioè tedeschi, era stato particolarmente
esoso per mantenere una truppa di difesa, e questo ne aveva fatto scendere la già bassa popolarità. A
questo si aggiungeva la corruzione del Segretario di Stato Quiros, aduso ad arricchirsi vendendo
funzioni pubbliche. Il suo ritiro e la convocazione del Parlamento non valsero a risollevare una
incomprensione reciproca che era forse peggiore che non quella con i Savoia. Una volta occupato il
napoletano la Sicilia “austriaca” non aveva alcuna speranza di resistere da sola. Non ci furono stragi, fu
praticamente una passeggiata militare, con una resistenza simbolica degli Austriaci a Palermo, e appena
più sostanziosa a Messina e Siracusa, giusto per l’onore delle armi. Solo il castello di Trapani fu più
persistente nella resistenza, ma alla fine anche questo dovette arrendersi.
Un’altra solenne incoronazione a Palermo, l’ultima, un’altra illusione di avere un re proprio
Carlo viene solennemente incoronato Re di Sicilia nel 1735. Sarebbe stata l’ultima incoronazione di un
Re di Sicilia, a circa 600 anni di distanza dalla fondazione del Regno. Questa volta, per effetto dei
trattati, ogni residuo formale legame con la Spagna è risolto. Ancora una volta i Siciliani pensavano di
aver raggiunto la piena indipendenza. Carlo è incoronato con il nome di Carlo III, considerando quindi
il predecessore né più né meno che un “abusivo” sulla corona siciliana. Ma dopo, ovviamente, Carlo
preferisce risiedere a Napoli, la capitale del Regno maggiore, inviando – come sempre – un “viceré
proprietario” a Palermo. Per l’occasione fu rispolverato il vecchio titolo di Alfonso il Magnanimo, “Rex utriusque Siciliae”.
Ciò naturalmente non significava affatto che si era creato un regno unitario. Carlo
era re “di entrambe le corone”, cioè di Napoli, alias Sicilia al di qua del Faro, e di Sicilia, alias Sicilia
al di là del Faro. Nel titolo prendeva la formula di “Sua Maestà Siciliana”. Nelle poche cose gestite in
comune (la Corona, la rappresentanza diplomatica) i due regni erano rappresentati sistematicamente
con il rapporto di 3⁄4 e 1⁄4 tra Napoli e Sicilia. Ma, a parte questo, restavano due stati separati in tutto e
per tutto, assoluto quello napoletano, parlamentare quello siciliano. La fine della Guerra di Successione
polacca (1738) vide confermate a Carlo le due corone di Napoli e Sicilia. Anche la successiva Guerra di
Successione austriaca, in cui le “Due Sicilie” furono interessate tutto sommato marginalmente, videro
confermare ai Borbone i medesimi possessi (1748).
Carlo III Borbone, un re non assenteista – L’unità monetaria con Napoli e la coniazione dell’Onza d’oro
Per un verso Carlo non fu re assenteista come gli spagnoli, ma – per seguire da vicino le vicende
siciliane – costituì, già nel 1735, una “Giunta di Sicilia”, avente ad oggetto le deliberazioni riguardanti il
Regno di Sicilia. Tra queste, già nei primi mesi di Regno, la coniazione dell’onza aurea, per secoli pura
moneta di conto. Il titolo della moneta siciliana era più puro di quella napoletana, ma questo – unito alla
parità monetaria fissa che instaurò tra il Ducato napoletano e l’Onza siciliana (rapporto di tre a uno) –
fu un modo sottile per estrarre metallo pregiato dalla Sicilia e spostarlo a Napoli, in assenza di finanze
comuni tra i due stati.
… ma nel complesso è l’ennesima delusione: di nuovo viceregno, condannati alla semi- indipendenza
Per i Siciliani, in ogni caso, era l’ennesima delusione nel non vedere coronato il loro sogno di avere un
re proprio e quindi una piena indipendenza anche sul piano estero. La sua breve presenza, con
l’ambasciatore di Malta che fece il suo ligio omaggio feudale, il Palazzo Reale per qualche tempo sede
del Regno, l’intervento personale del re nelle questioni politiche ed amministrative, la restituzione a
Messina del suo Senato, dopo le dure repressioni di fine Seicento, tutto faceva sperare in una rinascita
nazionale. Ma il sogno svanì presto, e i Siciliani dovettero inghiottire l’ennesima delusione, condannati
nuovamente allo stato di viceregno nel quale erano incagliati sin dai primi del 1400. Il peggio però
doveva ancora venire. Alla dinastia Borbone sarebbe toccato regnare nell’ultima fase storica del Regno
di Sicilia (1734-1816) e, sempre a loro, di uccidere letteralmente il secolare Stato di Sicilia.
Fine 33esima puntata7 Continua
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