- Palermo li ricorda ancora come le tredici vittime. E vittime lo furono per davvero, ma non dell’unità d’Italia ma di alcuni nobili che, d’accordo con gli inglesi, tradivano la Sicilia per consegnarla ai piemontesi. Nobili miserabili – come i Savoia e gli inglesi – che la rivolta la fecero fare ai popolani poi fucilati. Mentre loro, i nobili, la fecero franca!
- “A furka è pu puvireddu”
- Disatteso l’ordine di Francesco II che no voleva la fucilazione
Palermo li ricorda ancora come le tredici vittime. E vittime lo furono per davvero, ma non dell’unità d’Italia ma di alcuni nobili che, d’accordo con gli inglesi, tradivano la Sicilia per consegnarla ai piemontesi. Nobili miserabili – come i Savoia e gli inglesi – che la rivolta la fecero fare ai popolani poi fucilati. Mentre loro, i nobili, la fecero franca!
Gli organizzatori ed i mandanti dei disordini del 4 aprile sono stati alcuni esponenti della migliore nobiltà palermitana, facessero o no ufficialmente parte del Comitato rivoluzionario filo unitario. Si sono avvalsi – come di consueto – però, dell’opera di popolani e/o di piccoli delinquenti. Meglio non rischiare direttamente. Paradossalmente tuttavia, a confermare alla Polizia Duosiciliana le accuse contro i suddetti nobili sarebbe stato proprio il loro braccio destro e capo della squadra protagonista dei fatti della Gancia: il fontaniere Francesco Riso. Questi era stato mortalmente ferito negli scontri. Catturato, soccorso e portato in ospedale dalla polizia avrebbe raccontato tutto, facendo anche i nomi dei mandanti. Non sappiamo se a seguito di torture o di pentimento. Certo è che le notizie ed i nomi forniti risulteranno esatti.
“A furka è pu puvireddu”
Un proverbio siciliano dice: «A furka è pu puvireddu»; il significato è abbastanza chiaro: «La forca è per il poveretto». Si sottintende, cioè, che la persona ricca ed influente ben difficilmente finisce sulla forca. In un modo o nell’altro riesce a cavarsela ancorquando abbia commesso reati uguali o maggiori di quelli del poveraccio. Per i moti del 4 aprile, vennero condannati a morte in realtà soltanto tredici popolani (il soltanto è riferito al termine popolani e non al numero dei condannati che parve eccessivo anche ai benpensanti dell’epoca). Questi ribelli improvvisati certamente erano stati sorpresi con le armi in mano, ma erano manovalanza e probabilmente avevano avuto ruoli non determinanti, se non marginali. Non si esclude che si trattasse di poveri diavoli in difficoltà economiche e che, per l’occasione, fossero stati pagati molto bene. Sulle loro storie, sulle loro personalità, sulle loro bibliografie, non si è saputo per la verità, molto. Significativo tuttavia era il fatto che una delle vittime della fucilazione, avvenuta peraltro frettolosamente il 14 aprile 1860, fosse stato Giovanni Riso, padre del fontaniere, nonché capo-sommossa, Francesco. Particolare, questo, inquietante. L’esecuzione del padre di Francesco Riso potrebbe infatti significare che le autorità borboniche, spesso colluse – soprattutto ad alto livello – con gli unitari e con gli agenti Inglesi, avessero voluto eliminare un testimone scomodo e probabilmente loquace quanto il figlio. E che, peraltro, avrebbe potuto ulteriormente convalidare le accuse mosse da Francesco Riso al fior fiore dell’aristocrazia palermitana. Non dimentichiamo che Francesco Riso, per quanto mortalmente ferito, alla data del 14 aprile 1860, era ancora vivo. Sarebbe morto il 27 aprile. Dopo diversi giorni, quindi, dalla sommossa della Gancia. Ma le sue ferite erano per l’epoca incurabili.
Disatteso l’ordine di Francesco II che no voleva la fucilazione
Come, fra gli altri, asserisce Luigi Natoli (lo scrittore e storico che Gramsci accusa di unitarismo ossessivo), il Re Francesco II aveva disposto che i tredici condannati non fossero uccisi. Ma le autorità locali (adducendo a pretesto una dimostrazione svoltasi a Palermo il giorno 13), avevano disobbedito platealmente alla disposizione del Re, ed avrebbero ordinato – dopo un processo sommario – la fucilazione delle tredici persone arrestate con le armi in pugno e che, ripetiamo, non erano affatto nobili ma poveri, modesti, proletari e sottoproletari, per niente o quasi politicizzati. Questo zelo da parte delle autorità borboniche conferma i nostri sospetti sul pericolo che Giovanni Riso (o qualche altro) avesse potuto parlare… Per concludere la trattazione della cosiddetta Rivolta della Gancia del 4 aprile 1860, dobbiamo dire che il tutto doveva servire – a prescindere dalla sua riuscita – a fare molto rumore per giustificare l’intervento in Sicilia della Spedizione dei Mille e dimostrare contestualmente che l’occupazione anglo-piemontese-sabauda-mafiosa ed ungherese della Sicilia altro non fosse che un sostegno spontaneo e popolare ad una rivoluzione (spesso definita sociale, soprattutto dalla stampa inglese) interna alla Società Siciliana. E questo spiega l’imbarazzo dell’Ammiraglio Mundy nei confronti delle signore dell’Alta Società Siciliana, che avrebbero voluto banalizzare e minimizzare i fatti rivoluzionari accaduti. Mentre l’Ammiraglio inglese aveva il ruolo istituzionale di sostenere l’importanza di quella sommossa popolare.
Giuseppe Scianò E nel mese di Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia!
Foto tratta da Wikipedia
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