- Cominciamo col dire che, per la Sicilia, non è una novità
- Gli aspetti legati alla nutrizione e alla salute
- Un grano indicato per chi manifesta problemi di digeribilità al glutine
- L’obiettivo è organizzare una filiera
- Non ci convince molto la presenza del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari
Cominciamo col dire che, per la Sicilia, non è una novità
Un comunicato annuncia la valorizzazione del grano monococco. Non è una rivoluzione, trattandosi di una graminacea nota sin dall’antichità, se è vero che è considerato il primo cereale ‘addomesticato’ dall’uomo circa 7 mila e 500 anni fa. E’ un cereale con un basso indice di glutine. Nel comunicato si ipotizza di “Organizzare la filiera del grano monococco in Sicilia, dalla produzione primaria fino alla trasformazione di prodotti di alta qualità certificabili con il marchio ‘Qualità Sicura’ della Regione siciliana. Questi gli obiettivi del progetto Co.S.Mo. (acronimo di Cooperazione per lo sviluppo in Sicilia della filiera del grano Monococco”) presentato nell’ambito della misura 16.1 del PSR Sicilia 2014-2020 dal Gruppo Operativo ‘MONOCOCCO che vede un partenariato composto, tra gli altri, dal Consorzio di ricerca Gian Pietro Ballatore, ente capofila; il CREA- IT di Roma, Centro di Ingegneria e Trasformazioni agroalimentari, ente di ricerca nazionale vigilato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali”. Nel comunicato si legge che il “monococco è il primo grano coltivato dall’uomo, circa diecimila anni fa, di cui anche in Sicilia sono stati ritrovati resti sia nei pressi della grotta dell’Uzzo nella Riserva Naturale dello Zingaro in provincia di Trapani che nel Siracusano, e che oggi presenta delle caratteristiche che lo rendono più che mai adatto sia per una coltivazione biologica e sostenibile che per una trasformazione in prodotti altamente indicati per l’alimentazione di bambini, anziani e soggetti con problemi di digeribilità al glutine. Ma anche, destinato a un suo reimpiego in un’ottica di economia circolare, perché i residui colturali possono essere utilizzati per produrre energia rinnovabile, trasformati, per esempio, in bricchetti per alimentare caldaie a biomassa”.
Gli aspetti legati alla nutrizione e alla salute
“È un ritorno di questa coltura nel nostro territorio – commenta Bernardo Messina, ricercatore Consorzio Ballatore, e responsabile scientifico del progetto COSMO -. Nonostante oggi non sia presente nei nostri ordinamenti colturali, sul grano monococco gli enti svolgono attività di ricerca da diversi decenni. Il Consorzio Ballatore ha cominciato a farlo nel 2009, quando sono arrivati in Sicilia i semi di alcuni genotipi. Negli anni si è lavorato sulla tecnica colturale, sui processi di molitura, panificazione, pastificazione e produzione di birra, sul sistema di svestitura della cariosside, perché diversamente dal grano duro o tenero, la granella del monococco non è nuda. Abbiamo lavorato anche sugli aspetti della nutrizione e in genere salutistici”. Nel comunicato si citano anche le aziende agricole siciliane che verranno coinvolte nel progetto: “Si tratta di aziende agricole (Rizzo e Sicali di Assoro, Calleri di Palazzolo Acreide, Frasson di Aidone, Puma di Salemi, quest’ultima, gestisce anche un impianto artigianale di produzione della birra), che coltiveranno il monococco, in particolare le varietà Hammurabi e Norberto, costituite dal CREA-IT di Roma, attuando i protocolli colturali messi a punto dagli enti di ricerca partner di progetto. Completano la compagine del partenariato le cooperative Valle del Dittaino di Assoro, importante esempio di
verticalizzazione di filiera dalla produzione primaria alla trasformazione in prodotti da forno, e Valdibella di Camporeale che produce pasta e sfarinati biologici, l’azienda di molitura Molini del Ponte di Castelvetrano, da anni impegnata nei processi di recupero e valorizzazione delle varietà di conservazione (cosiddetti “grani antichi”), e l’ISEA, azienda marchigiana che si occupa di miglioramento genetico e moltiplicazione delle sementi”.
Un grano indicato per chi manifesta problemi di digeribilità al glutine
“La caratteristica principale del monococco – leggiamo sempre nel comunicato – è quella di avere un elevato contenuto di proteine, dal 17% al 19% del peso secco della cariosside, anche in regime di coltivazione biologica, a fronte di un indice di glutine molto basso, quasi inesistente e dunque altamente digeribile – spiega la ricercatrice del CREA IT Laura Gazza -. L’alimentazione a base di monococco, quindi, è indicata anche per i soggetti che ritengono di avere problemi di digeribilità al glutine, cioè circa il 6% della popolazione, anche se – sottolinea – non è assolutamente indicato per i pazienti celiaci. Un’altra caratteristica – prosegue – è il suo contenuto in composti ad attività antiossidante, come i polifenoli, ma soprattutto i carotenoidi, cinque volte superiori rispetto al frumento tenero e duro. Inoltre, la sua ricchezza di microelementi, soprattutto ferro e zinco, fa sì che sia indicato anche per l’alimentazione del bambino o dell’anziano. Altra caratteristica, la sua ricchezza in fibre, come i FOS frutto- oligosaccaridi, potenti prebiotici che indirizzano la microflora intestinale verso batteri buoni, rendendoli antagonisti di quelli nocivi, che si ritrovano in quantità quasi del doppio rispetto al frumento”.
L’obiettivo è organizzare una filiera
“Per quanto riguarda gli aspetti ambientali e climatici, poi – leggiamo sempre nel comunicato – la coltivazione del monococco permette di ottenere effetti positivi anche a livello ambientale, perché necessita di un minore apporto di input esterni (concimazioni) rispetto al grano duro; copre bene il terreno sin dalle prime fasi vegetative contribuendo al contenimento dell’erosione, ed è in grado di competere bene con la flora infestante, grazie al buon accestimento. Sempre sotto l’aspetto ambientale essendo una coltura a ciclo primaverile-estivo non necessita di irrigazione e quindi si adatta bene agli ambienti pedoclimatici della Sicilia caratterizzati anche da periodi di siccità. Inoltre, con riferimento all’utilizzo dell’acqua nei processi di molitura, rispetto al grano duro non necessita di condizionamento (bagnatura) e quindi permette un risparmio di acqua”. E ancora: “Vi sono già le condizioni e la possibilità di organizzare una filiera tracciata in tutte le sue componenti a partire dal seme grazie al coinvolgimento nel partenariato di un ente costitutore”, assicura il responsabile scientifico
che ricorda come il progetto sia stato il primo nella graduatoria regionale dell’assessorato dell’Agricoltura, a dimostrazione del fatto che la commissione esaminatrice ne ha apprezzato l’idea progettuale, i contenuti e la composizione del partenariato. Oltre agli aspetti agronomici, alle aziende verranno trasferite anche le ‘innovazioni di processo e di prodotto relativi ai prodotti trasformati’, come sfarinati integrali e non integrali, in regime convenzionale ed in biologico, verrà valutata l’attitudine degli sfarinati alla panificazione, pastificazione e produzione di cous cous, e infine, verrà messo a punto un prototipo per la produzione artigianale del malto per valutare se si possa produrre birra con monococco”.
Non ci convince molto la presenza del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari
Come scritto all’inizio, non è una rivoluzione. Una decina di anni fa del grano monococco si è occupato l’Istituto sperimentale di granicoltura di Catania. da quello che sappiamo noi, la produzione del grano monococco è piuttosto bassa. Insomma, questo progetto è economicamente conveniente? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Li Rosi, tra i protagonisti dell’esperienza di Simenza. La sua risposta è telegrafica: “Se dietro c’è la filiera sì”. Una cosa noi ce la sentiamo di affermarla: il monococco non è la risoluzione dei problemi della granicoltura siciliana. Più che altro a noi fa venire in mente il nuovo ecologismo fondamentalista che arriva dal Nord Europa, tipo Nutriscore… Né ci convince, in questo progetto, la presenza del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che per il Sud e la Sicilia non ha mai fatto molto: lo Stato italiano, di solito, prende dalla Sicilia, ma non dà. Quando un qualunque Ministero italiano annuncia di voler fare qualcosa per la nostra Isola noi ci preoccupiamo…
Foto tratta da Verdi Terre
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