- Pietro Seggio è stato condannato a 22 anni di carcere. I giudici della Corte d’Assise di Palermo hanno deciso così. Anche se hanno riconosciuto l’assenza di premeditazione. Certo il ricorso in Appello
- Mai trovata l’arma con la quale è stato ucciso Francesco Manzella
- L’imputato ha sempre respinto le accuse
- Carmelo Lavorino: “Non c’è alcuna prova che possa dimostrare sia l’impianto accusatorio, sia la colpevolezza di Seggio”
Pietro Seggio è stato condannato a 22 anni di carcere. I giudici della Corte d’Assise di Palermo hanno deciso così. Anche se hanno riconosciuto l’assenza di premeditazione. Certo il ricorso in Appello
Non ci occupiamo quasi mai di cronaca nera. Ma ogni tanto deroghiamo, quando un fatto ci colpisce particolarmente. O quando notiamo qualcosa di controverso. E un po’ controverso sembra la storia di Francesco Manzella, un giovane pusher di Falsomiele, quartiere di Palermo, ucciso con un colpo di pistola nel Marzo del 2019. La notizia, riportata nei giorni scorsi da vari organi di informazione, è che per questo omicidio è stato condannato Pietro Seggio, titolare del ristorante ‘All’antico borgo’ di via Molara. Un elemento ci ha colpito: il presunto omicida avrebbe agito senza premeditazione. detto questo, i giudici hanno così condannato l’imputato a 22 anni di carcere. L’accusa – il procuratore aggiunto Ennio Petrigni ed i sostituti Giovanni Antoci e Giulia Beux – aveva chiesto l’ergastolo. I giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Palermo – la Corte era presieduta da Vincenzo Terranova – si sono pronunciati dopo oltre otto ore di camera di consiglio. Gli avvocati dell’imputato, Giovanni Castronovo e Simona La Verde, attendono di leggere le motivazioni della sentenza (che saranno depositate tra 90 giorni) e preannunciano il ricorso in appello.
Mai trovata l’arma con la quale è stato ucciso Francesco Manzella
La storia la racconta molto bene il quotidiano PALERMO TODAY che noi riprendiamo: “Il delitto – leggiamo nell’articolo – risale alla notte tra il 17 e il 18 Marzo del 2019. Il cadavere di Manzella venne ritrovato nella sua macchina, ancora accesa e con la portiera aperta, in via Costa, a due passi dal carcere Pagliarelli. La squadra mobile risalì a Seggio grazie ai tabulati telefonici: gli ultimi contatti della vittima prima di morire sarebbero stati proprio quelli con il ristoratore. Secondo la Procura, quella sera l’imputato ammazzò il suo pusher che avrebbe preteso il pagamento di un debito di 700 euro. E per i giudici il delitto non sarebbe stato premeditato. Contro l’imputato ci sarebbero anche le immagini riprese da diverse telecamere di sorveglianza sparse per la città: mettendo insieme i vari video, gli inquirenti ritengono di aver ricostruito i movimenti dell’Audi di Seggio. Sulla sua macchina, così come sul giubotto indossato quella sera, inoltre, sarebbero state individuate tracce di polvere da sparo. L’arma con cui è stato ucciso Manzella, invece, non è mai stata ritrovata”.
L’imputato ha sempre respinto le accuse
“Le accuse – leggiamo sempre nell’articolo – sono state sempre respinte dal ristoratore e la difesa ha anche affidato una speciale consulenza proprio sui video ad un esperto: secondo questi accertamenti di parte, i tempi degli spostamenti di Seggio non sarebbero compatibili con l’esecuzione del delitto. L’imputato si era avvalso della facoltà di non rispondere durante l’interrogatorio di garanzia. Non ha comunque mai negato di conoscere Manzella ammettendo anzi – e prima che gli venisse contestato il delitto dai poliziotti – che il giorno dell’omicidio lo avrebbe contattato per due volte, alle 17.30 e alle 20. Dopo questa seconda chiamata, il pusher gli avrebbe consegnato la cocaina richiesta vicino al suo ristorante. Poi – così ha affermato l’imputato – non si sarebbe più mosso dal suo locale, fino a circa a mezzanotte e mezza. Sarebbe rimasto con i pizzaioli e avrebbe anche aspettato una ragazza che ha raccontato di aver contattato in rete, ma che non si sarebbe mai presentata. Poi avrebbe preso la sua Audi e sarebbe tornato a casa. La difesa da sempre ha contestato anche il movente delineato dalla Procura: tra Seggio e Manzella i rapporti sarebbero stati sempre sereni e l’imputato non avrebbe avuto alcun motivo di uccidere il suo pusher per non saldare un debito di appena 700 euro. La Corte d’Assise è stata di un altro avviso”.
Carmelo Lavorino: “Non c’è alcuna prova che possa dimostrare sia l’impianto accusatorio, sia la colpevolezza di Seggio”
Una storia un po’ controversa. E in fatto che i giudici abbiamo riconosciuto che Pietro Seggio avrebbe agito senza premeditazione non è un elemento secondario. Su questa vicenda abbiamo letto e riprendiamo un post su Facebook del criminologo Carmelo Lavorino, che abbiamo imparato a conoscere in occasione del giallo di Caronia, ovvero le morti di Viviana Parisi e del figlioletto Gioele. Il post di Lavorino è un po’ ‘scoppiettante’: e abbiamo ormai capito che questo è il suo stile. Riprendiamo una parte di questo post perché riteniamo ci siano elementi che possono aiutare i nostri lettori ad inquadrare questa storia. “Attendiamo le motivazioni della condanna e per dare il via a un appello fortissimo, eccezionale ed esaustivo – scrive Lavorino – mirato a confutare tutto quello che riteniamo non condivisibile, dalle conclusioni alle basi, dai presupposti, al ragionamento, alle ingerenze ed alla condanna. Sembrerebbe che la sentenza ritenga che Seggio sia uscito dalla pizzeria armato di pistola senza la volontà di uccidere, che abbia raggiunto il luogo del delitto distante 2500 metri viaggiando a circa 500 km orari (oltre 100 metri al secondo) con una Fiat Panda vetusta, che abbia incontrato la vittima e che lo abbia ucciso senza un movente del tipo diretto…per poi tornare in pizzeria e rimettersi a giocare col computer”. Non possiamo non notare un elemento: nell’articolo di PALERMO TODAY si parla di un’Audi, mentre Lavorino dice che si tratta di una “Fiat Panda vetusta”. Non sappiamo se il particolar conti qualcosa, ma lo abbiamo notato. Per Lavorino, non c’è alcuna prova “che possa dimostrare sia l’impianto accusatorio, sia la colpevolezza di Seggio”: i giudici, in verità, sono giunti a un’altra conclusione. Secondo il criminologo, “nell’impianto accusatorio nulla quadrava: dai tempi esecutivi al movente, dalle opportunità e possibilità al modus operandi, dalle tracce criminalistiche al fatto che l’assassino è destrimano mentre Seggio è mancino. Appare evidente che l’immane lavoro tecnico, criminalistico e di diritto della Difesa non è stato apprezzato nel suo giusto valore… Sinceramente mi sembra una sentenza timida…però…aspettiamo di leggere le motivazioni. Purtroppo, oggi, in primo grado è più semplice condannare che assolvere!”.
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