La relazione della Corte dei Conti che ha inaugurato l’anno giudiziario 2016 ci consegna una Sicilia nelle mani di politici senza scrupoli che utilizzano il denaro pubblico per fini rigorosamente privati. In questo articolo vi descriviamo, per filo e per segno, il loro sistema di corruttela a partire dalla spartizione dei contributi. Con importi e soggetti percettori che cambiano ogni anno in ragione delle esigenze clientelari
Anche quest’anno la Regione è finita nel mirino della Corte dei Conti. In sintesi, viene ancora una volta rimproverato alla Regione la sua incapacità di destinare il denaro del contribuente all’attuazione di un processo di sviluppo e invece di esaltare la sua vocazione allo sperpero. Come se potesse andare diversamente. Ancora una volta sfugge la vera chiave di lettura di questo fenomeno.
Quello che vediamo è la situazione finale, e il giudizio che se ne dà prescinde ovviamente dalle cause che a questa situazione ha portato. Sfugge sopratutto una considerazione: che questa situazione non è frutto del fato, della genetica, dell’incapacità o dall’inadeguatezza umana. E’ un’operazione politica portata a termine con fredda e cinica determinazione. La corruttela è la base scientifica di questa lucida azione politica. La corruzione come sistema di orientamento e fidelizzazione ad una certa politica di un certo elettorato che ne garantisce il perpetuarsi e causa come effetto collaterale desiderato l’allontanamento dalla politica di un altro tipo di elettorato, più libero e perciò stesso dannoso alla causa dei miserabili.
Per costruire un sistema come questo ci vuole tempo e tanto, tanto lavoro. E soprattutto ci vuole continuità. Vediamo sinteticamente come è andata in Sicilia.
In Sicilia questo tipo di politica è antico, risale addirittura all’annessione della Sicilia al regno di Sardegna. Per capire basteranno due riflessioni sulla corruttela del governo centrale sulla deputazione meridionale e dunque su quella siciliana.
Della prima ho già parlato in questo blog. E’ contenuta nella relazione dei due ricercatori, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, sulla Sicilia del 1876 (che potete leggere qui), la quale conclude con una verità triste ma ineludibile:
“Insomma, il primo a farsi corrompere dalle influenze locali è stato il Governo, quel governo, che resta il solo organismo in grado di riunire le forze di una nazione, ordinarle, disciplinarle e dirigerle verso un dato fine”.
La seconda riflessione è di Gaetano Salvemini, il grande meridionalista, il quale denunciò il malcostume e il malaffare del governo nazionale di Giovanni Giolitti, che inviava in Sicilia i propri commissari che adoperavano tutti i mezzi possibili di corruzione, dai fondi di beneficenza ai fondi per i lavori pubblici che venivano distribuiti secondo le convenienze elettorali.
Un secolo e mezzo di lezioni sul campo, di esempi illustri, di scambi, di intrecci inconfessabili ci hanno portato ad oggi, ad un sistema fortemente strutturato, collaudato, che conosce ed usa con maestria consumata i suoi strumenti. Quindi, ripeto, il destino cinico e baro non c’entra, sono i nostri politici cinici e bari. E bravi, bisogna dargliene atto.
Lo strumento principe per la corruttela dunque si rivela essere il pubblico denaro a disposizione della politica. Sull’ovvio presupposto che non deve essere stabilita nessuna regola circa il suo uso, non vengono definiti criteri, condizioni, presupposti e requisiti.
Le spese riservate, le spese di rappresentanza, le spese di beneficenza. Le spese in ogni caso discrezionali non soggette a presupposti inviolabili, a principi inderogabili. E infatti non vi sembra quantomeno sospetto, se non disdicevole, l’accanimento che ogni anno si scatena sull’impiego delle somme discrezionali e dei fondi a destinazione libera in sede di approvazione del Bilancio regionale?
Come stornare dal capo di ciascun deputato portatore di un’istanza di concessione di contributi, prebende, e finanziamenti in genere il sospetto di un interesse privato? Credete che lo stesso deputato si comporterebbe allo stesso modo se, dopo avere fatto la sua proposta, dovesse spiegarne i motivi alla Finanza?
Perché in casi ben determinati non vengono stabiliti per legge, una volta per tutte, gli importi dei finanziamenti da corrispondersi poi annualmente? Forse perché chi ha la certezza dei finanziamenti non verrà a chiedere, pregare, supplicare, piegarsi, umiliarsi, diventare debitore?
Debitore a un privato del denaro pubblico?
Che bisogno c’è di lasciare alla discrezionalità del politico il merito peloso dei finanziamenti agli enti e alle istituzioni culturali, di sostituire alle scelte di qualità i rapporti di forza e di influenza?
Solo un bisogno incoercibile di esercizio arbitrario del potere e di distribuzione arbitraria del pubblico denaro, quello che essendo di tutti non deve essere appannaggio di pochi.
Chi potrà stornare dal capo del legislatore il sospetto che i destinatari dei contributi non siano dei privilegiati rispetto ad altri che nulla hanno ricevuto?
Non è questo un gigantesco abuso di potere, un micidiale esercizio di strumenti di corruttela? Non è un colpo mortale alla democrazia?
C’è una via d’uscita?
Di questo parlerò la prossima volta.
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