Questa è la testimonianza raccolta dal meridionalista Gaetano Salvemini viaggiando in treno con un piemontese molti decenni prima della nascita della Lega. Ennesima prova che il razzismo contro meridionali e siciliani iniziato nel 1860 non è mai finito. E continua ancora, in alcuni casi dissimulato, in altri casi palese
“Ieri come oggi (e forse oggi più di ieri), le piaghe nazionali sanguinavano: erano (e sono) le piaghe della ingiustizia sociale, della discriminazione, dei privilegi, della corruzione “centralizzata” e del razzismo pre-leghista”.
“In questi anni – scrisse Gaetano Salvemini – abbiam visto la mafia, la camorra, la malavita, tutta la feccia sociale dei nostri paesi, palesemente protetta dal Governo centrale…abbiam visto massacrare senza pietà i nostri proletari ad ogni minimo accenno di disordine, mentre al Nord la forza pubblica aveva per gli operai mille riguardi e mille tolleranze, come ben si addice a persone che appartengono a una razza più gentile”.
Era quella “razza più gentile” che ostentava, come narra Salvemini descrivendo un viaggio in treno con un piemontese, tutti i sentimenti di più viscerale disprezzo verso i “fratelli” del Sud:
“Postacci”, brontolava osservando i villaggi del Sud, aggiungendo: “Creda pure che qui non ci si vive…aria cattiva, acqua pessima, dialetto incomprensibile che par turco, popolazione superstiziosa e barbara”.
E dunque, “per molti settentrionali” chiosava affranto il Salvemini, “anche fra coloro che più spesso fanno sfoggio di retorica unitaria, le popolazioni meridionali sono cagnaccia da macello e da bordello”.
Antonio Grano A sinistra della Questione Meridionale – NordeSud Edizioni, pag. 123 – 124.
Tratto da Regno delle Due Sicilie.eu
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