In attesa che l’Ars inizi a discutere, articolo per articolo, la manovra economica e finanziaria 2016 (se ne parlerà la prossima settimana) si tirano le somme sui disastri dell’agricoltura siciliana. Il settore sprofonda in una pesante crisi. Ma nessuno sa spiegare dove sono finiti i 5 miliardi di Euro destinati a questo settore dall’Unione Europea. Si sa che, in buona partem sono stati spesi, ma nessuno sa nella tasche di chi sono finiti
Confusione. E’ questa la parola che oggi regna sovrana sulla politica, o meglio, su quello che resta della politica siciliana. Si sapeva già da lunedì scorso che, in questa settimana politica e parlamentare, l’Assemblea regionale siciliana non avrebbe riservato grandi sorprese. Il Parlamento dell’Isola avrebbe dovuto avviare – come ha del resto fatto – la discussione generale sulla manovra economica e finanziaria 2016 in attesa di entrare nel vivo la prossima settimana. A Sala d’Ercole, in effetti, la discussione c’è stata. Con al tavolo del governo il solo assessore-commissario all’Economia, Alessandro Baccei. Con l’incredibile assenza del presidente della Regione, Rosario Crocetta. Che, ancora una volta, ha dimostrato di non essere adeguato a ricoprire il ruolo che, dopo tre o quattro mozioni di sfiducia, ancora ricopre grazie ai partiti di centrosinistra che lo sostengono.
Scene incredibili. Cose mai viste a Palazzo Reale, sede del Parlamento dell’Isola. Con l’attuale presidente della Regione, assente dall’Aula, che convoca improbabili riunioni – non si sa se a Palazzo d’Orleans o in qualche ristorante – per riproporre, sembra con un emendamento ad hoc, quello che, a quanto pare, a lui interessa di questa scalcagnata manovra economica e finanziaria 2016: l’assunzione, per chiamata diretta, di sei, sette, forse otto giornalisti.
La Sicilia sta crollando. La disoccupazione sta battendo tutti i ‘record’ negativi. Fare impresa nell’Isola è sta diventando impossibile. Palermo sta facendo da apripista introducendo una mega ZTL (Zona Traffico Limitato) che ha il solo scopo di scippare una barca di soldi agli abitanti di una città sempre più impoverita e a chi metterà piede a Palermo in auto. Un ‘esempio’ per gli altri Comuni dell’Isola – soprattutto quelli medi e grandi – per fare ‘cassa’ sulla pelle della gente. Un modo, anche, per tirare un ulteriore colpo basso alle attività commerciali, che a Palermo verranno travolte dalle due ZTL.
L’agricoltura siciliana, tra furbi e incompetenti, annaspa. Dal 2008 ad oggi, di fatto, sono stati impegnati e in buona parte spesi 5 miliardi di Euro di fondi europei. Ma nessuno sa come e dove sono andati a finire questi soldi.
Si sa soltanto che la crisi dell’agricoltura siciliana, lungi dall’essere migliorata, è peggiorata. Non lo diciamo noi: lo sta certificando l’assessore regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici, che da due giorni è a Roma per tappare i ‘buchi’ di un settore abbandonato a se stesso, la cui esistenza serve soltanto a ‘giustificare’ la scomparsa di un fiume di fondi europei destinati in teoria a questo settore, ma finiti chissà dove.
Il dramma dell’agricoltura siciliana merita qualche passaggio in più perché quello che sta succedendo oscilla fra il tragico e il grottesco. In questi giorni assistiamo a ‘febbrili’ riunioni di parlamentari europei, nazionali e regionali del PD, tutti intenti ad ‘assistere’ gli agricoltori siciliani in crisi.
C’è il caso dei produttori di Pachino e Porto Palo di Pachino ai quali i commercianti pagano il pomodorino e i datterino 20 o 30 centesimi di euro al chilogrammo per rivenderselo nei mercati del Centro Nord Italia a 7-8 Euro al chilogrammo.
In crisi è anche l’agrumicoltura siciliana, di fatto distrutta da un’Unione Europea che, da trent’anni (prima si chiamava Cee), consente l’arrivo nei mercati europei di agrumi provenienti dal resto del mondo. Prodotti che, spesso, fanno letteralmente schifo, ma che Bruxelles fa entrare per consentire ad aziende europee – di solito aziende industriali – di esportare i propri beni in quei Paesi. Si sacrifica l’agricoltura mediterranea per favorire l’industria e i commercianti. Questa era la Cee, questa è l’Unione Europea.
E’ un fatto storico, che i governi della cosiddetta Prima Repubblica compensavano in parte con i ‘Piani agrumi’, dei quali, con l’avvento della Seconda Repubblica, si sono perse le tracce. Dal 1993-1994 gli agrumicoltori siciliani, pur producendo arance di elevata qualità (si pensi alle varietà pigmentate Moro e Tarocco nella Sicilia orientale, o alle arance bionde di Ribera, le Washington Navel ), si ritrovano da soli a fronteggiare una concorrenza sleale: le arance spagnole e, soprattutto, le arance che arrivano dal Nord Africa, prodotte, in molti casi, da multinazionali con tecniche agronomiche dannose per la salute dell’uomo che l’Italia ha superato da decenni.
Di fatto, in Italia non esiste la ‘tracciabilità’ dei prodotti agricoli, anche perché i commercianti che oggi condizionano le politiche dell’Unione Europea non hanno interesse a informare i consumatori sui prodotti che vengono immessi nei mercati. Proprio perché guadagnano un sacco di soldi acquistando a prezzi irrisori prodotti agricoli scadenti – per esempio, agrumi e olio d’oliva dal Nord Africa – che poi vengono rivenduti nei mercati europei, facendo una concorrenza sleale ai prodotti europei.
Questo sistema – e altre speculazioni commerciali, con il già citato caso del pomodorino di Pachino – ha messo in ginocchio l’agricoltura siciliana. Ma non da oggi. Questi sono i motivi che stanno alla base, ad esempio, della rivolta dei Forconi siciliani del gennaio 2012. Ma da allora od oggi, oltre a reprimere, attraverso le Prefetture, le rivolte dei piccoli agricoltori siciliani, non è stato fatto nulla per affrontare questi temi. Anzi una cosa è stata fatta: i pignoramenti delle case dei piccoli agricoltori.
I 5 miliardi di Euro di fondi europei per l’agricoltura siciliana avrebbero dovuto essere utilizzati per affrontare questi problemi: dare soluzioni nell’area di Pachino a tutela del pomodorino; aiutare gli agrumicoltori, magari con la ‘tracciabilità’ delle arance, dei mandarini e dei limoni siciliani e con politiche di mercato; intervenire con la realizzazione di infrastrutture per avviare dalla Sicilia la commercializzazione dei prodotti agricoli siciliani, che invece – in molti casi – vengono smistati da piattaforme che hanno sede fuori dalla Sicilia!
Di tutto questo non è stato fatto nulla. I 5 miliardi di Euro sono in parte spariti e tutto, nell’agricoltura siciliana, è rimasto come prima, anzi peggio di prima. In più, grazie sempre all’Unione Europea, un fiume di olio di oliva tunisino – che nessuno sa da quali olive è stato prodotto – si sta riversando nei mercati europei. Verrà imbottigliato in confezioni eleganti. E ci diranno che si tratta di un olio di “altissima qualità”.
Perché stupirsi di tutto questo? La Toscana – ma è solo un esempio – produce il 4% dell’olio di oliva extra vergine italiano, ma commercializza il 40 per cento dello stesso olio extra vergine di oliva…
Ovviamente, nessuno sa che pesticidi vengono utilizzati in Tunisia per produrre le olive. Si sa soltanto che non può essere esclusa l’ipotesi che in Tunisia vengano utilizzati pesticidi che l’Italia e il resto dei Paesi europei hanno bandito dagli anni ’60 e ’70 del secolo passato. L’olio tunisino, prima di essere commercializzato in Europa, dovrebbe essere controllato. Ma questo, ovviamente, non avviene. L’Unione Europea è troppo impegnata per occuparsi della salute di chi andrà a consumare l’olio di oliva ‘extra vergine’ tunisino.
Dicevamo dei deputati europei, nazionali e regionali del PD che si affannano al ‘capezzale’ dell’agricoltura siciliana. Guarda caso, sono gli stessi che, a Bruxelles, hanno votato in favore dell’arrivo dell’olio ‘extra vergine’ tunisino in Europa; sono gli stessi che, a Roma, non si sono mai preoccupati degli agrumi e, in generale, delle produzioni agricole del Sud Italia; sono gli stessi – per concludere con la Sicilia – che dal 2008, anno in cui è partita la spesa dei 5 miliardi di Euro di fondi europei destinati all’agricoltura, che hanno speso questi benedetti 5 miliardi di Euro senza mai spiegare dove sono finiti questi soldi.
Il resto delle considerazioni le lasciamo ai nostri lettori.
P.S.
Ci stavamo dimenticando dell’agricoltura biologica. In ballo ci sono 320 milioni di Euro. 180 milioni di Euro sono già stati erogati. All’appello ne mancano altri 140. Sono fondi europei – a valere sui già citati 5 miliardi di Euro – dei quali si sa qualcosa. Che però sono a rischio (come vi abbiamo raccontato qui).
Quello che vi possiamo dire è che noi non siamo convinti di tutta l’agricoltura ‘biologica’ presente in Sicilia. Detto questo, perdere questi fondi – perché il rischio c’è – ci sembra una follia.
Aggiornamento ore 15,30
Comunicato di Valentina Spata, di Possibile (Pippo Civati)
Più di 3000 produttori agricoli della fascia trasformata hanno protestato nei giorni scorsi davanti al mercato ortofrutticolo di Vittoria (RG), il più grande del Mezzogiorno, per il crollo dei prezzi dei prodotti agricoli e per gli accordi Euromediterranei con Marocco e Tunisia che hanno fortemente penalizzato un settore strategico per l’economia del sud Italia e in particolare per la Sicilia .
La contestazione ha visto la partecipazione attiva non solo di operatori del settore ma anche di un’ampia e variegata rappresentanza della società civile, uniti in un grido disperato contro il dumping e le frodi alimentari, fattori che determinano il crollo del prezzo dei raccolti e di conseguenza non permettono agli agricoltori di coprire le spese di produzione, in costante aumento . Quest’anno, come denunciano tanti manifestanti, i prezzi hanno subito un tracollo grave nel pieno della stagione invernale provocando un disastro dalle proporzioni mai viste.
Gli accordi europei – dichiara Valentina Spata di Possibile – senza alcuna norma di salvaguardia per i Paesi UE che si affacciano nel Mediterraneo rischiano di travolgere il comparto agricolo siciliano e del Mezzogiorno che è attraversato da una profonda crisi di carattere strutturale e congiunturale soprattutto nel comparto decisivo dell’ortofrutta, una crisi esasperata dalla globalizzazione dei mercati e da una concorrenza agguerrita e spesso sleale. Invece di perorare ulteriori accordi dannosi per il settore agro-alimentare, ultimo in ordine di tempo quello sull’olio tunisino proposto dal capo della diplomazia Federica Mogherini, esponente del Partito Democratico, occorre attivare le clausole di salvaguardia previste dagli articoli 7 e 25 del trattato, per tutelare i nostri produttori che soffrono la concorrenza di una ortofrutta qualitativamente inferiore e meno controllata, esportata da territori ove la manodopera comporta oneri economici inferiori, dove i costi di produzione sono più bassi e dove vengono utilizzati prodotti vietati in Italia. Questa concorrenza scorretta ha già provocato un grave danno all’agricoltura siciliana a seguito dell’accordo Ue-Marocco: la produzione delle arance siciliane ha un costo minimo di produzione di 35 centesimi al chilo ma sul mercato vengono vendute a 8 centesimi; i pomodori ciliegino costano un euro ma si vendono a 25 centesimi; le melanzane e il grano duro al chilo costano 50 centesimi, contro i 5 centesimi sul mercato delle prime e i 2 centesimi del secondo.
Alla protesta hanno partecipato, oltre ai produttori agricoli, anche le associazioni di categoria e i Sindaci del Sud-Est siciliano, nonché l’Assessore Regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici che ha annunciato l’arrivo di 15 milioni di euro di fondi Crias.
I produttori agricoli hanno chiesto lo stato di crisi del comparto, oltre a misure più incisive a supporto della crescita: riduzione della pressione fiscale, semplificazione delle procedure burocratiche-amministrative, incentivi alle imprese, maggiori tutele .
Alla crisi – dichiara la Spata – si deve rispondere con la differenziazione e l’integrazione di filiera e con una politica agricola che sostenga il reddito. Si tratta tuttavia di strategie di lungo periodo che avrebbero dovuto individuare e applicare sia il Governo regionale che quello nazionale. L’agricoltura italiana ha bisogno di politiche strutturali che sostengano scelte strategiche e coraggiose e il Governo Renzi è lontano anni luce dai problemi reali di questo comparto che nel mezzogiorno rappresenta un perno importante per l’economia. I 15 milioni di euro in arrivo non sono sufficienti a far ripartire un intero comparto ormai al collasso. Sono assolutamente d’accordo invece sul fatto che vada riconosciuto lo stato di crisi del comparto agricolo siciliano e ciò permetterebbe la sospensione del pagamento degli oneri contributivi e fiscali e delle rate di credito agrario in scadenza.
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