Una proposta semplice: l’Istituto regionale per la Vite e l’Olio cominci a produrre vino con l’uva siciliana. Per venderlo nel mercato interno (ma non solo). Spiegando ai siciliani che acquistando vino siciliano si sostiene l’economia della Sicilia e gli agricoltori della nostra Isola. Si tratterebbe di “vino a km zero”. La Ue? Non ha motivo di parlare, perché altri Paesi della Ue sostengono le proprie economie
C’è un modo per evitare il collasso di gran parte della viticoltura da vino della Sicilia, evitando che gli agricoltori della nostra Isola svendano i propri terreni, magari a soggetti esteri? La possibile ricetta non è facile da individuare, ma bisogna provarci.
Lo scenario è noto. Tanti agricoltori siciliani, piccoli proprietari di appezzamenti coltivati a uva da vino, sono in difficoltà perché il prezzo dell’uva da vino è troppo basso. Dietro questo scenario di crisi c’è la mano dell’Unione europea che ha reso legale lo zuccheraggio dei vini, sia per favorire chi produce i vini con acqua e zucchero, sia per far fallire gli agricoltori di alcune aree del Sud Europa per costringere gli agricoltori a cedere i terreni a prezzi stracciati, magari a soggetti esteri.
Non ci dobbiamo stupire delle politiche agricole truffaldine dell’Unione europea: sono la regola dagli anni ’80 del secolo passato: da allora è quasi normale sacrificare gli interessi dell’agricoltura per favorire prima le industrie, oggi le industrie e i servizi.
Il CETA – trattato commerciale internazionale tra Ue e Canada che i Parlamenti dei 27 Paesi dell’Unione non hanno mai ratificato (così, giusto per ricordarlo, altro impegno mancato dei grillini: ma ormai con questo Movimento ci siamo abituati) – serve proprio a questo: a sacrificare gli interessi dell’agricoltura in favore degli interessi delle multinazionali che vanno ad investire in Canada.
Che proposta formulare, allora, per provare a sostenere la viticoltura da vino della Sicilia e, in particolare, i produttori di uva da vino della nostra Isola? La nostra idea è semplice: la Regione siciliana, attraverso l’Istituto regionale della Vite e dell’Olio, dovrebbe cominciare ad acquistare l’uva da vino dagli agricoltori siciliani per produrre vino e venderlo sul mercato interno ed estero.
Qualcuno dirà: la Regione siciliana imprenditrice? E allora qual è il problema? In Germania ci sono banche dello Stato, in Francia aziende di Stato. Per quale motivo la Sicilia non dovrebbe sostenere la propria viticoltura da vino? Perché nell’Unione europea solo alcuni Paesi possono fare quello che vogliono mentre l’Italia è ormai un Paese con l’anello al naso?
Nessuno avrebbe titoli politici o procedurali per contestare la scelta della Sicilia. Tra l’altro, l’Istituto regionale per la Vite e l’Olio ha al proprio interno grandi professionalità per produrre ottimi vini. E se non ricordiamo male, qualche anno fa, la Regione aveva iniziato a produrre propri vini.
Oggi si tratta solo di affinare il sistema. Per alcuni versi, si tratterebbe di rispolverare – rivisitandolo in termini produttivi – quanto avveniva nel secolo passato, quando l’IRCAC (Istituto Regionale per il credito alle Cooperative) faceva in modo che agli agricoltori siciliani venisse corrisposto, al momento della consegna dell’uva da vino, il 90% della somma pattuita.
Il sistema era giusto. Quella che è mancata è stata la managerialità delle cantine sociali, che – tranne rari casi – non sono mai state in grado di trovare mercati di sbocco per i vini prodotti, che spesso non venivano nemmeno imbottigliati. Allora la Regione non aveva problemi di soldi e tutto passava in cavalleria.
Oggi, invece, bisogna trovare un mercato di sbocco del vino: e questo l’Istituto regionale della Vite e dell’Olio lo può fare con un’attenta campagna, spiegando ai siciliani che acquistare prodotti siciliani – in questo caso il vino – conviene a tutta l’economia della nostra Isola.
Tra l’altro, la Sicilia ha a disposizione vitigni che hanno fatto la storia dell’enologia mondiale, come il Nero d’Avola, il Catarratto, l’Insolia, il Nerello Mascalese e via continuando. Si tratta solo di organizzarsi, puntando prima al mercato interno e, poi, al mercato estero.
Non è vero che tutto il mondo è ormai ‘infettato’ dal liberismo economico, affaristico e demenziale. Ci sono Paesi con i quali si può e si deve discutere. La Cina, ad esempio, usa il capitalismo, in modo spesso spregiudicato, ma non è un Paese liberista. Anche la Russia di Putin non è liberista. E non è liberista nemmeno l’America di Trump, che ha assestato colpi durissimi al liberismo e che sostiene la propria economia con una gestione keynesiana del dollaro.
Gli spazi per agire ci sono. I padroni dell’Unione europea – cioè i tedeschi – si opporranno? Pazienza, ce ne faremo una ragione. Però se la guerra arriverà, arriverà per tutti: anche per le due banche tedesche piene di ‘derivati’ che non dovrebbero più esistere e che, invece, esistono ancora alla faccia del mercato e del liberismo, solo perché così ha deciso la prepotenza della Germania.
E’ arrivato il momento di ribellarsi a un’Unione europea truffaldina e, per certi versi, anche criminale. Ribadiamo: la Sicilia ha mezzi e professionalità per produrre un ottimo vino e per commercializzarlo nella nostra Isola e anche all’estero. La Sicilia, nel mondo, è un nome molto conosciuto.
Per la Sicilia si tratterebbe di “vino a km zero”. Chi è che, oggi, può contestare il km zero?
L’Unione europea impedirebbe alla Sicilia di utilizzare i fondi europei per sostenere la propria viticoltura da vino? Non succederà, perché sennò i tedeschi dovrebbe spiegare perché loro possono aiutare le banche pubbliche con il denaro pubblico (anche nostro!): e non sarebbe una spiegazione semplice.
In ogni caso, la Regione siciliana, se proprio la Ue si metterà di traverso, può sempre pensare a una moneta complementare che, a questo punto, potrebbe servire per far circolare, in tutta la Sicilia – e magari anche nel Sud Italia – i prodotti agricoli siciliani. Ma non succederà.
Foto tratta da Corriere Etneo
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