Oggi torniamo al passato. Un passato che, in verità, non è mai diventato tale, se è vero che, 70 anni dopo, l’Italia tiene segregati negli archivi del Viminale le ‘carte’ dell’assassinio, vero o presunto, del “Re di Montelepre”, Salvatore Giuliano. Ci sono due scuole di pensiero: chi pensa che Giuliano sia stato ammazzato a Castelvetrano il 5 Giugno del 1950 e chi non ci crede. Noi propendiamo per la seconda tesi. E vi raccontiamo il perché
Oggi uno dei più famosi ‘attacchi’ del giornalismo italiano compie 70 anni! Per ‘attacco’ s’intende l’inizio di un articolo. E Tommaso Besozzi, giornalista di razza, nel raccontare quello che aveva visto la mattina del 5 Giugno 1950 a Castelvetrano, nel cortile Di Maria, dove giaceva a terra il corpo del bandito Salvatore Giuliano (o di un suo sosia: questione ancora aperta), l’aveva sintetizzato in modo magistrale nell’inizio del suo articolo:
“Di sicuro c’è soltanto che è morto”.
Oggi vogliamo dedicare il nostro Mattinale a questo doppio anniversario: l’anniversario della morte di Salvatore Giuliano (o di un suo sosia) e l’anniversario di un articolo che, nel giornalismo, ha fatto scuola.
Ufficialmente Giuliano era morto in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine. Tesi alla quale non ha mai creduto nessuno. Tra i primi a non crederci fu, appunto, Tommaso Besozzi che, osservando la scena del crimine, arrivò alla conclusione che l’unica cosa certa era la morte di Giuliano. Il resto era tutto da discutere.
Va detto che, allora, nessuno mise in dubbio l’identità del morto: il 5 Giugno del 1950 il cadavere trovato nel cortile Di Maria di Castelvetrano era quello Giuliano. E così è stato per decenni.
In verità, qualche voce girava. Ma senza molto credito. Chi non ha creduto alla morte di Salvatore Giuliano mettendolo nero su bianco è stato Giuseppe Casarrubea, storico e saggista, scomparso nel 2015, che chi scrive ha avuto il piacere e l’onore di conoscere proprio l’anno in cui dava alle stampe uno dei suoi libri più noti: Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato.
GIULIANO MORTO? MA QUANDO MAI! – Inutile tediarvi con i ricordi personali. Meglio citare un articolo scritto dall’ottimo Ignazio Coppola tre anni fa:
“Di recente, poi, il mistero della morte di Salvatore Giuliano s’è arricchito di un nuovo tassello che ha dell’incredibile. Ossia che quel cadavere che, il 5 Luglio del 1950, massacrato di colpi, giaceva a terra nell’assolato cortile Di Maria non fosse quello di Giuliano, ma di un suo sosia. Questa la tesi dello storico Giuseppe Casarubea, recentemente scomparso, che era fermamente convinto che al posto di Giuliano era stato ucciso un sosia per consentire al vero Giuliano di fuggire ed espatriare negli Stati Uniti con i suoi compromettenti segreti che coinvolgevano forze politiche ed istituzioni. Una tesi, quella di Casarrubea, se pur assurda che, in seguito alla denunzia dello stesso storico è stata, come atto dovuto, raccolta, nel 2010, dall’allora procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, e dai PM Marcello Viola e Lia Salvia”.
“La riesumazione – spiegò allora il procuratore Ingroia – è una scelta obbligata. Anche se noi continuiamo a dire che andiamo con i piedi di piombo, prima di fare ipotesi bisogna aspettare le analisi”.
“Le analisi, ossia il riscontro del DNA effettuato su Giuseppe Sciortino, nipote di Giuliano e comparato con quello del cadavere riesumato del re di Montelepre – scrive sempre Coppola – portarono all’archiviazione dell’inchiesta, arrivando alla conclusione che i due DNA, appunto con qualche riserva, erano al 90% compatibili”.
Storia chiusa? Nemmeno per sogno. Scrive sempre Coppola:
“Un margine di dubbio che è rimasto e si è accresciuto quando Gregorio Di Maria, soprannominato ‘l’avvocaticchio’, l’uomo che aveva ospitato per lungo tempo Giuliano nella sua casa di Castelvetrano ed a conoscenza dei suoi segreti, in punto di morte, e non si vede perché in tal frangente avrebbe dovuto mentire, all’età di 98 anni, all’ospedale di Castelvetrano, ebbe a confessare a due infermieri che lo assistevano, quasi a volersi liberare di un peso che lo aveva angosciato per tutta la sua vita, che quello che era stato ucciso e depositato, dai carabinieri, nel cortile della sua casa non era Salvatore Giuliano, ma bensì un suo sosia. Quindi, volendo prestar fede allo storico Giuseppe Casarubea prima e alle affermazioni dell’ ‘avvocaticchio’ Gregorio De Maria poi, e per dirla con Tommaso Besozzi ed estremizzando ancor più il suo concetto ‘Di sicuro che in quel lontano Luglio del 1950 nel cortile di Maria c’era un cadavere’, ma non si sa bene se di Salvatore Giuliano o di un suo sosia”.
“Ancora – scrive sempre Coppola -: ad avvalorare l’ipotesi di uno scambio tra Giuliano e il suo sosia vi è l’autopsia che, a suo tempo, il professore Ideale del Carpio compì, quasi a lavarsene le mani, in maniera approssimativa, raffazzonata e sbrigativa il 6 luglio nel cimitero di Castelvetrano sul cadavere che il giorno prima giaceva crivellato di colpi all’interno del cortile Di Maria. Un esame autoptico del quale se ne perse in seguito anche traccia. L’unica cosa certa, a questo punto, è che ancora, a distanza di quasi 70 anni, i misteri della morte di Salvatore Giuliano ed ancor più della strage di Portella della Ginestra sono ancora avvolte nel mistero più fitto e scandaloso. Come scandaloso è il fatto, per non fare scoprire verità scomode e compromettenti per la politica e per le istituzioni, che allora fu apposto il Segreto di Stato che doveva essere rimosso lo scorso anno nel 2016. E’ passato un anno da quella scadenza, ma il segreto di Stato sulla strage di Portella e sulla misteriosa morte di Salvatore Giuliano, con la colpevole complicità dello Stato, ancora una volta, come capita troppo spesso, non è stato rimosso, mentre le vittime di quella orrenda strage – con riferimento, sempre, alla strage di Portella della Ginestra – aspettano ancora giustizia ed i loro discendenti e il popolo siciliano attendono di sapere la verità e di conoscere i nomi dei mandanti e dei complici della prima delle tante stragi di Stato della Italia repubblicana”.
IL MEMORIALE GIULIANO MAI TROVATO – Nella morte di Giuliano, o di un suo sosia è ancora avvolta da tanti misteri.(chi scrive ha sempre creduto nella tesi di Giuseppe Casarrubea: lo scriviamo anche per rispetto verso i lettori: è giusto che, su una vicenda controversa, conoscano cosa pensa chi li sta informando). Ce ne sono due, in particolare, di misteri: il primo lo ha decritto molto bene Ignazio Coppola, il secondo mistero è il vero memoriale di Salvatore Giuliano.
Sembra che ad aiutare Giuliano a scrivere il memoriale sia stato un avvocato che lo consegnò ad un altro avvocato. Che fine abbia fatto il vero memoriale nessuno è mai riuscito a scoprirlo. Quello che possiamo dire è che di memoriali Giuliano ‘qualcuno’ ne ha fatti circolare tanti: per confondere le idee, rimescolare tutto e nascondere la verità.
Perché noi crediamo che Giuliano non sia stato ucciso? Proviamo a illustrarlo.
Dopo aver conosciuto Giuseppe Casarrubea abbiamo provato a rileggere, a ritroso, alcuni passaggi degli atti della prima Commissione d’inchiesta sulla mafia in Sicilia: Commissione Antimafia che si insediò nel 1962 per concludere i lavori nel 1976.
Andando a ritroso – e analizzando le polemiche e, soprattutto, le omissioni che caratterizzarono i lavori della Commissione Antimafia negli anni ’60 e ’70 – alcuni elementi, rivisti alla luce delle tesi di Casarrubea, acquistano un’altra luce.
L’INTRIGO FONDAMENTALE – Così come acquistano un’altra luce le parole scritte dal giornalista Pietro Zullino nel libro Guida ai piaceri e misteri di Palermo. Raccontando il ‘caso’ Giuliano – che l’autore di questo pregevole volume dei primi anni ’70 definisce “L’intrigo fondamentale” – si percepisce che, venti-venticinque anni dopo il 5 Giugno del 1950, c’era chi teneva in scacco una parte della politica italiana.
Qui il discorso si complica, perché un conto è pensare a un memoriale scritto da un Salvatore Giuliano morto ammazzato a Castelvetrano, mentre è cosa ben diversa, negli anni ’60 e ’70, pensare a un memoriale scritto da una persona che sapeva tanto su tante cose, per averle vissute di persona.
Con l’ipotesi di Giuliano vivo negli Stati Uniti d’America andrebbe riletta, in modo diverso, la lunga scia di assassinii che insanguinerà la Sicilia dal 5 Giugno fino ai primi anni ’70, se non altro perché a morire furono anche personaggi che si erano giocati Giuliano (dando per buona la morte di Giuliano nel cortile Di Maria di Castelvetrano), o che pensavano – sbagliando – di essersi giocati Giuliano (dando per buona la tesi del sosia ammazzato a Castelvetrano e Giuliano vivo negli Stati Uniti).
Perché diciamo questo? Perché c’è un filone, nella vicenda Giuliano, che è sempre rimasto nell’ombra e che, con molta probabilità, potrà essere chiarito solo quando si apriranno gli archivi del Viminale.
GLI ARCHIVI CHIUSI DEL VIMINALE – Il fatto che gli archivi del Ministero degli Interni non siano mai stati aperti nella Prima Repubblica e nella Seconda Repubblica ci dice che centrosinistra e centrodestra non hanno mai avuto voglia di fare chiarezza su questa storia. E bisognerebbe chiedersi il perché.
Gli esponenti del Movimento Sociale Italiano destra nazionale si sono vantati di essere sempre stati immuni dal fenomeno mafioso e di essere stati intransigenti nella prima Commissione Antimafia e nelle successive Commissioni parlamentari che si sono occupate di mafia.
I fatti, però, smentiscono la destra italiana, se è vero che Cesare Mori, il ‘Prefetto di ferro’, mandato in Sicilia da Mussolini per combattere la mafia, venne fermato e trasferito proprio dal regime fascista quando cominciò a toccare gli esponenti della borghesia mafiosa di Palermo, di Trapani e della provincia di Agrigento. Quindi sempre immuni non lo sono mai stati.
Anche gli eredi dell’MSI sono stati al Governo dell’Italia, ma non hanno mai fatto nulla per aprire gli archivi del Viminale. Si sono adeguati anche loro. Al limite – questo va detto per onestà – ha fatto di più qualche parlamentare nazionale siciliano dell’MSI, che è stato bloccato con metodi molto spicci, forse perché non sui voleva adeguare…
Poiché il plagio di se stessi è consentito, riportiamo alcuni passi, commentandoli, di un articolo che abbiamo scritto lo scorso anno, dopo aver partecipato, da ascoltatori, alla commemorazione del magistrato Pietro Scaglione, la cui morte ha anche un legame con la vicenda Giuliano.
La vicenda Giuliano va inquadrata, in primo luogo, con quello che si conosce: gli atti della citata prima Commissione Antimafia e gli atti giudiziari.
LA STRAGE DI PORTELLA E I COLPI “RADENTI” – “Pensate un po’ – scrivevamo lo scorso anno -: già nel processo di Viterbo, che si conclude nel 1953 – sei anni dopo la strage di Portella (già allora i processi in Italia andavano per le lunghe, non per responsabilità dei giudici, ma perché i fatti, se non erano controversi, lo diventavano: con molta probabilità, per confondere le acque) – si mette in dubbio la tesi che a sparare erano stati gli uomini della banda Giuliano. Il processo accerta che molti dei colpi mortali erano stati ‘radenti’ (colpi di arma da fuoco effettuati, per quanto possibile, a livello del piano terra). Ora, se i colpi mortali erano stati ‘radenti’ e gli uomini della banda Giuliano si trovavano sui monti che sovrastano il piano di Portella della Ginestra, come potevano gli uomini della stessa banda Giuliano avere ammazzato undici persone, ferendone tante altre?”.
Su questo punto Giuseppe Casarrubea è stato molto chiaro, anche se negli anni successivi i suoi studi andarono ben al di là, sorretti dalla consultazione degli archivi che gli americani hanno aperto agli studiosi (in Italia, invece, rimangono chiusi, forse perché ci sono ancora troppi legami con il presente). Casarrubea scoprirà che, nella strage di Portella della Ginestra, un ruolo lo ebbero i servizi segreti americani e la X MAS di Junio Valerio Borghese.
“Indubbiamente, qualche colpo partì anche dalle parti della banda Giuliano. Ma è stato accertato che nella banda Giuliano non mancava qualche ‘infiltrato’ del nascente Stato repubblicano italiano che, ancor prima dell’entrata in vigore della Costituzione, lasciava già intravedere cosa sarebbe stato capace di fare negli anni successivi… La verità è che la latitanza del bandito Giuliano – come del resto la latitanza siciliana di grandi capi mafia negli anni ’60, ’70 e ’80 del secolo passato – era una farsa. Giuliano, da ‘latitante, era di casa a Monreale, tra mafiosi e Arcivescovi; in estate prendeva il sole a Scopello (volendo – questo dobbiamo riconoscerlo – è stato il primo a valorizzare questo splendido tratto di costa); almeno un paio di volte la settimana si recava a trovare i suoi a Montelepre; una Fiat 110 lo ‘scarrozzava’ ogni tanto a Palermo per incontrare politici democristiani, socialisti e comunisti: con questi ultimi trattò il passaggio di alcuni separatisti a lui vicini di Partinico, Borgetto e Montelepre nelle file del Pci”.
LI CAUSI & VARVARO – Forse la storia più ‘complicata’ dei rapporti tra Giuliano e i politici siciliani dell’epoca non riguarda, come in tanti ipotizzano, i democristiani Mario Scelba e Bernardo Mattarella: riguarda invece il Pci: e su questo punto vi invitiamo a leggere l’illuminante articolo di Ignazio Coppola dove si parla dei rapporti tra Giuliano e due esponenti del Pci siciliano di quegli anni: Girolamo Li Causi e Antonino Varvaro (quest’ultimo abbracciò la causa comunista proprio in quegli anni).
Scaglione aveva indagato, e anche bene, sulla vicenda Giuliano. A un certo punto l’Italia dei misteri decide non soltanto di eliminarlo, ma di distruggere anche la sua reputazione. Confessiamo che anche noi, da giovani, siamo stati toccati da alcune tesi, costruite ad arte, per screditare Scaglione.
La nostra fortuna, mettiamola così, è che siamo originari di Sciacca e, avendo studiato l’omicidio di Accursio Miraglia – e conoscendo le tesi di Giuseppe Montalbano, comunista siciliano mai allineato alle tesi del suo partito – qualche dubbio sulla sinistra post comunista siciliana lo abbiamo sempre nutrito.
Se volete approfondire la vicenda Giuliano non potete non leggere il piccolo volume che Montalbano, ormai avanti con gli anni, diede alle stampe nei primi anni ’80. Il libro s’intitola Mafia politica e storia. Non è soltanto la storia di Giuliano, ma qualcosa in più: la descrizione di coloro i quali Montalbano considerava i mandanti della Strage di Portella della Ginestra, la storia della citata scia di sangue successiva al 5 Luglio del 1950 e, soprattutto, i nomi dei politici a suo avviso coinvolti in questa vicenda. E tra questi non mancano gli esponenti del Pci.
I MISTERI DA SANTA MARGHERITA BELICE – Con molta probabilità, questo volume è l’unica cosa che l’Italia che tiene ancora oggi chiusi i cassetti del Viminale non è riuscita a controllare, perché Giuseppe Montalbano, originario di Santa Margherita Belìce – cittadina apparentemente fuori contesto, ma invece, come ad esempio Castelvetrano, centrale in tanti fatti importanti e controversi della Sicilia – è stato un protagonista di quegli anni: è stato segretario del Pci in Sicilia nel 1944 (nominato da Palmiro Togliatti), deputato all’Assemblea costituente, sottosegretario di Stato e parlamentare dell’Assemblea regionale siciliana dal 1947 al 1959.
Docente di Procedura penale all’università di Palermo, Giuseppe Montalbano non era controllabile. Chiudiamo con un ricordo personale legato agli ultimi anni della sua vita. Una mattina di metà anni ’80 – allora chi scrive lavorava al giornale L’Ora di Palermo – arrivò un necrologio dei vertici del Parlamento siciliano. Giuseppe Montalbano era stato dato per deceduto. In realtà era vivo. E non senza ironia ringraziò per la premura.
La cosa ci colpì. Avevamo letto il suo libro. Era chiaro che ‘loro’ non avevano grande simpatia per Montalbano.
Foto tratta da Crema on line
Oggi 67esimo anniversario della morte di Salvatore Giuliano. Ma il morto era lui?
La strage di Portella della Ginestra, gli eterni silenzi della sinistra e il ricordo di Pietro Scaglione/ MATTINALE 270
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