Messa con le spalle al muro dalla gente che chiede giustizia per i danni subiti dal’inquinamento,l’ Eni minaccia di abbandonare Gela. Cosa che ha già fatto. Non a caso, il movimento Terra e Liberazione parla di bluff…
Gela non interessa più all’Eni, e questo è un fatto risaputo. Solo gli ingenui credono al piano di riconversione verde delle raffinerie e sono rimasti in pochi, almeno a giudicare dalla massiccia adesione alle proteste degli operai che hanno capito di non avere più un lavoro. In un contesto diverso, la notizia della ritirata del gruppo sarebbe stata accolta con entusiasmo: l’Eni, come vi abbiamo raccontato dettagliatamente qui, ha solo fatto danni ambientali e sanitari in cambio di posti di lavoro che piano piano sono diminuiti fino al niente di oggi. Ma in una terra affamata come la Sicilia, con una classe politica inetta come quella Siciliana che non riesce a costruire alternative, c’è gente- gli operai appunto- che si trova a costretta a sperare che il gruppo resti. Anche se non mancano, come vedremo, gelesi che hanno preso consapevolezza della grande fregatura che va avanti da 50 anni.
Nonostante il disimpegno concreto e tangibile, l’Eni, però, continua a fare leva sul ricatto occupazionale: “Se il ricorso cautelativo d’urgenza per il presunto danno da inquinamento ambientale venisse accolto, salterebbe il protocollo d’intesa e i 2 miliardi e 200 milioni di euro di investimenti previsti per il sito di Gela. Nonché la presenza di Eni in città” dice un legale della società che poi aggiunge:”Non è un ricatto ma una constatazione. Il provvedimento va perciò contro gli interessi della cittadinanza ed è improponibile per i costi che avrebbe”.
Se non è un ricatto ci somiglia molto e sembrerebbe indirizzato anche alla magistratura chiamata ad esprimersi sul ricorso d’urgenza di cui parla i legale che è stato sottoscritto da oltre 500 cittadini gelesi che chiedono un indennizzo per danni morali ed esistenziali, il fermo degli impianti ancora attivi, la sospensione delle nuove trivellazioni previste e l’immediata attivazione delle bonifiche. Anche Il Comune di Gela ha aderito ed avanzato un’ulteriore istanza di risarcimento di 80 milioni di euro per creare un reddito di sussistenza ai lavoratori rimasti fuori dal ciclo produttivo.
Non solo. C’è poi la madre di tutte le cause, quella di un gruppo di familiari di 12 bambini nati con malformazioni dovute all’inquinamento industriale. Vite devastate che almeno hanno trovato il coraggio di chiedere il riconoscimento del danno subito e 15 milioni di euro di risarcimento: “Nulla potrà risarcirci dal dolore che abbiamo provato e che continueremo a provare per tutta la vita, ma almeno- dice un papà- sia fatta un po’ di giustizia”.
Insomma l’Eni, dopo 50 anni, è chiamata a rispondere – solo in parte- dei danni fatti, e questo proprio non gli va giù.
Ecco allora la minaccia, il ricatto o il “doppio bluff” definizione calzante il cui copyright va al movimento Terra e Liberazione, che in un comunicato dice che gli investimenti di cui parla “sono investimenti finalizzati, come sempre, esclusivamente ai suoi stessi profitti coloniali. Nessun investimento capitalistico viene mai realizzato per sviluppare l’occupazione e migliorare l’ambiente. L’Eni considera la SiciliAfrica una sua colonia-piattaforma strategica nel Mediterraneo”.
“E’ in corso anche il procedimento giudiziario intentato dai genitori di 12 bambini nati malformati ai quali è stato riconosciuto il nesso con l’inquinamento industriale. Da 30 anni lo sosteniamo, – sottolinea Mario Di Mauro, fondatore di Terra e Liberazione– perfino un Report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rilevò la tragedia gelese. Siamo stati tra i pochi a rilanciare quel Report”.
“Quanto alla riconversione industriale nell’area gelese, sia chiaro che una Bio-Raffineria ad olio di palma viene pagata col sangue e la fame di intere popolazioni africane, col saccheggio di suoli e foreste. Non ci pare né bio, né equa, né solidale. Quello che fanno a Gela, lo fanno alla Sicilia tutta. E’ vergognosa la mancanza di una vera risposta sociale contro il saccheggio coloniale dell’Isola dei Siciliani. Non abbiamo altro da dire”.
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