Tra gli ultimi, a Palermo, al tempo del Coronavirus

23 aprile 2020

Magari ci siamo inventati una storia. O magari è una storia vera. Fa differenza? In questo grande incubo che travolge tutti e tutto può succedere qualunque cosa. Anche che qualcuno, al telefono, o in sogno, ci racconti una piccola parte della sua vita 

“Come viviamo da quando c’è il Coronavirus? Provi a immaginarlo. Siamo in cinque, in due stanzette. Qui dobbiamo fare tutto: mangiare e dormire. E vivere. Il bagno? Non c’è. E’ fuori. In comune con altre quattro famiglie. Si va a turno. Io scelgo la notte. Almeno non c’è nessuno che bussa. Ormai ci sono abituato”.

“Palermo? Prima del Coronavirus, bene o male, ci faceva campare. Aspetti, debbo essere più preciso. Quando eravamo al campo avevamo il nostro spazio. Allora eravamo ancora richiedenti asilo. Forse non lo sapete, ma da richiedenti asilo si vive bene. Hai diritto a un sacco di agevolazioni. Soprattutto nella sanità. Sì, nel campo, da richiedenti diritto, siamo stati bene”.

“C’era caos e sporcizia? Non è vero niente. Forse fuori dal campo, sì. Dentro il campo vivevamo bene. Con il nostro ordine. Che non è il vostro. Il lavoro? Mai avuto un lavoro fisso. Ma a Palermo si vive bene anche senza lavoro fisso. Non potete immaginare quanta umanità c’è in giro. Un giorno facevo un lavoretto là, un altro giorno un lavoretto da un’altra parte. Ora in campagna, ora in città. Mi arrangiavo”.

“Mia moglie? Prima lavorava qua e là pure lei. Da circa tre anni si è ammalata. Le cure? Non ne parliamo. Torniamo alla storia dei richiedenti asilo. Mia moglie si è ammalata quando eravamo richiedenti asilo. Le ricette erano gratis. Ora che abbiamo il permesso di soggiorno dobbiamo pagare il ticket”.

“Fino a quanto non c’era il Coronavirus, facendo i salti mortali, tra me e due dei miei figli che lavorano qua e là come me, le medicine per mia moglie, bene o male, si riuscivano a pagare. Da quando c’è il Coronavirus e non lavoriamo più è un problema. Come facciamo? Non lo sappiamo nemmeno noi. Qualcosa eravamo riusciti a metterla da parte. La farmacista ogni tanto ci dà le medicine. Però almeno una volta al mese le dobbiamo pagare”.

“Una volta ho detto alla farmacista: ‘Dottoressa, appena finisce ‘sta disgrazia del Coronavirus saldiamo tutto’. Mi ha risposto: ‘Ioan, non si preoccupi. Per ora andiamo avanti così. Siamo tutti sotto questo cielo”.

“Certe volte mi chiedo: ma dove siamo finiti? La madre di mia moglie vive in Francia. Ha la stessa malattia di mia moglie. Lì le danno 600 euro al mese. E tre volte alla settimana arriva l’infermiera per le cure. Qui a Palermo, nulla”.

“Quando l’ho fatto presente, un signore che era con me per prendere la ricetta mi ha detto: ‘Lei anzi è fortunato. Ho amici che vivono in mezzo alla strada. Voi avete almeno la casa’”.

“Come andiamo avanti da quando c’è il Coronavirus? Come capita. Un giorno la signora che ci ospita ci dà cinque uova. Un altro giorno riusciamo a trovare un mazzo di verdura. O un pacco di pasta. Sette giorni fa un signore che mi conosce da anni mi ha regalato tre chili di carne. Abbiamo festeggiato per tre giorni”.

“La scorsa settimana mio figlio il piccolo è stato male. Ci hanno prescritto una medicina. Non me la sono sentita di andare dalla nostra farmacista. Mi sembrava troppo approfittarne. Sono andato in un’altra farmacia. Il medicinale è stato quasi ventidue euro. Non me l’aspettavo. Mi ero portato dietro i venti euro che avevamo messo da parte per acquistare la bombola del gas. Meno male che dietro avevo due euro”.

“Due giorni dopo è finito il gas. Non sapevamo cosa fare. C’era la pasta, c’era la passata di pomodoro. C’erano le cipolle. E anche una testa d’aglio. Ma non c’era il gas. Era domenica e non si poteva trovare nemmeno un negozio aperto. E per ora, per le strade, non ci sono nemmeno quelli che vendono il pane. Una domenica a digiuno. E, anche volendo, non si poteva uscire”.

“Il lunedì sono uscito da casa il mattino presto. Ho incontrato una persona che vedo ogni tanto. Una brava persona. Non gli ho detto niente. Lui mi ha guardato. Ha letto nei miei occhi? Forse. Mi ha detto: qual è il problema? Gli ho detto: ‘Non possiamo cucinare’. E’ venuto in casa con un signore che portava in spalla la bombola. La bombola grande”.

“Questa ve la devo raccontare e poi scappo che mia moglie mi aspetta. Oggi c’è l’iniezione. Mio figlio è nato in Italia, qua a Palermo. Ha compiuto già da alcuni mesi diciotto anni. Gli dovrebbero dare la cittadinanza italiana. Ma non gliela possono dare. E sapete perché? Perché quando aveva cinque anni è tornato nel nostro Paese con sua madre. Mia moglie doveva tornare nella sua vecchia casa perché sua mamma stava molto male. E ha portato con sé il secondo dei nostri figli. Non l’avessimo mai fatto! A quanto pare, per acquisire la cittadinanza non ci si deve mai allontanare dall’Italia. Sarà stato via per un tempo breve. E ora non gli riconoscono la cittadinanza italiana”.

“Così mio figlio, nato in Italia, non è italiano. E non è nemmeno del mio Paese. Ha solo un passaporto per potersi muovere. Ha il permesso di soggiorno, ma non ha alcuna agevolazione”.

Foto tratta da BlogSicilia

 

 

 

 

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