Al Senato, la Ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, per fronteggiare la mancanza di manodopera agricola, ha proposto la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari. Ma questa provvedimento, senza un sostegno concreto alle aziende agricole, non eliminerà il ‘caporalato’ e non servirà all’agricoltura italiana
La notizia non è nuova. L’emergenza Coronavirus ha fatto venire meno, per lo più nel Centro Nord Italia, la manodopera in agricoltura. Per lo più rumeni, ma anche polacchi e nord africani. Qual è la ‘ricetta’ che l’attuale Ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, ha illustrato al Senato?
“Lotta al caporalato mediante la regolarizzazione e poi l’agevolazione dei rientri in Italia e proroghe dei permessi degli immigrati e facilitazione delle assunzioni di lavoratori al momento inoccupati”.
Con le parole siamo tutti bravi. Ma qual è la realtà dell’agricoltura italiana, oggi? Tutti siamo d’accordo sulla lotta al ‘caporalato’ e allo sfruttamento. Ma a parte alcuni segmenti del settore agricolo – che richiedono, peraltro, personale specializzato (si pensi alla potatura) – quante aziende agricole italiane, oggi, potrebbero pagare un bracciante agricolo 80-100 euro al giorno (in questa cifra sono compresi anche i contributi)?
Il momento attuale è particolare: è probabile che, con il blocco delle importazioni, alcune produzioni agricole italiane potrebbero spuntare prezzi interessanti: non tali, però, da giustificare il costo giornaliero di un operaio agricolo (o bracciante agricolo, come si diceva una volta) che, a norma delle attuali leggi italiane, si attesta, come già ricordato, tra 80 e 100 euro al giorno.
Le chiacchiere – comprese quelle parlamentari – servono a poco. Fino a prima dell’emergenza Coronavirus il costo del lavoro, in agricoltura, in tante aree del mondo – a cominciare dall’Africa – è, in media, venti volte inferiore al costo del lavoro agricolo italiano (4-5 euro al giorno, quando va bene).
Cosa succederà con l’emergenza Coronavirus – che non è affatto finita, al contrario di quanto pensano in Lombardia, in Veneto e anche in Sicilia – non lo sappiamo.
Ma sappiamo che regolarizzare i permessi dei migranti in Italia, senza assicurare a questi ultimi i contratti dignitosi è solo ipocrisia. Ma il costo dei contratti dignitosi agli operai agricoli non può essere assicurato dalle aziende agricole che non possono pagare un operaio agricolo 80-100 euro al giorno!
Possiamo continuare a nascondere la testa sotto la sabbia e accontentarci che, ogni tanto, com’è accaduto nei giorni scorsi in Emilia Romagna, venga scoperto qualche caso di ‘caporalato’; possiamo anche ignorare il fatto – oggettivo – che è impossibile per la stragrande maggioranza delle imprese agricole italiane pagare i braccianti a norma di legge; possiamo anche credere al fatto che gli italiani sono vagabondi e non vogliono più lavorare nei campi, ignorando la verità: e cioè che i braccianti agricoli italiani si rifiutano di lavorare per una paga di 5, 10, massimo 20 euro al giorno, per lavorare chinati sui campi di pomodoro sotto il sole per 8-10 ore al giorno!
C’è la soluzione? Sì. La regolarizzazione accompagnata, però, da un intervento dello Stato e dell’Unione europea che dovrebbero accollarsi almeno l’80% del costo del lavoro agricolo, sgravando le imprese agricole di un costo ormai non più sostenibile. Con un provvedimento del genere anche tanti braccianti agricoli italiani tornerebbero a lavorare nei campi.
Ma senza un sostegno alle imprese agricole italiane la regolarizzazione dei lavoratori stranieri in Italia porterà a un aumento del ‘caporalato’, un po’ di voti in più a chi propone tale provvedimento e la solita speculazione della Lega di Salvini. Lasciando irrisolto un problema oggi centrale nell’agricoltura italiana: il costo del lavoro non più sostenibile!
Foto tratta da Avvenire
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