Ascari o collaborazionisti? Indipendenza o applicazione dello Statuto? Europa o Mediterraneo? Ha suscitato un vivace dibattito l’incontro promosso dalla Società Siciliana per l’Amicizia fra i popoli che si è svolto all’Istituto Platone a Palermo e dedicato ad un tema che ci riguarda tutti da vicino: “L’ascarismo, vera cancrena che rende impossibile il riscatto”.
Relatori, Franco Busalacchi, editore di questo blog che della lotta all’ascarismo ha fattola sua bandiera e Ninni Casamento. Quest’ultimo ha aperto i lavori introducendo l’argomento per poi soffermarsi sulla sua visione del futuro per la Sicilia che dovrebbe riappropriarsi del suo ruolo al centro del Mediterraneo, sia da un punto di vista culturale che economico. Non a caso, la Società Siciliana per l’Amicizia fra i popoli che presiede, si occupa, tra le altre cose, di promuovere progetti di cooperazione tra i Paesi mediterranei.
A Busalacchi il compito di riperccorrere un po’ di storia siciliana per rintracciare quegli avvenimenti che hanno portato alla comparsa di quel fenomeno che si definisce ‘ascarismo’ e che ha condannato la Sicilia alla sudditanza. Ascari (dalla parola araba ‘askarì) significa soldato. Ascari furono militi indigeni nelle ex-colonie italiane, in Eritrea, ad esempio. Ma il termine utilizzato oggi nel mondo politico siciliano, si riferisce a quei politici che, pur essendo eletti in Sicilia, si sono posti al servizio del Governo e della politica nazionale contro gli interessi della propria terra. Ovviamente, non solo in Sicilia, anche se da noi (purtroppo) gli ascari sono stati e sono molto presenti.
Tant’è che, come ha ricordato Busalacchi, il termine in questa accezione è stato usato da quel grande meridionalista che è stato Gaetano Salvemini, anche un vero ascaro può essere considerato il siciliano Francesco Crispi, colui che, sempre secondo Salvemini, da capo del governo italiano, introdusse “nel 1887, le tariffe protezionistiche, rovinando l’agricoltura del Sud a vantaggio delle industrie del Nord”. E non fu il solo danno a lui imputabile.
Sempre Busalacchi ha ricordato che anche Machiavelli, nel Principe, parla di una gestione del potere improntata all’ascarismo, quando dice che uno dei modi per sottomettere un popolo (una città) è lasciarlo vivere secondo le proprio consuetudini, ma al contempo creare “un governo di poche persone che te lo conservino amico”. Insomma, una oligarchia di ascari che risponde ai conquistatori.
Insomma, la storia è piena di ascari e lo è particolarmente quella siciliana. Il dramma è che la Sicilia, come già accennato, ne è ricca ancora oggi e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: una regione devastata sotto tutti i punti di vista.
C’è una speranza di riscatto per i Siciliani? C’è un modo per sconfiggere quel blocco clientelare (ve ne abbiamo parlato qua) che porta sempre alla guida della Regione ascari interessati a mantenere lo status quo?
A questo punto il dibattito si è accesso. La platea si è divisa, al solito, tra pessimisti e ottimisti. Unica assente, la rassegnazione. Tra i presenti, infatti, il rifiuto ad accettare ancora una politica ascara è stato netto. Come tradurlo in azione politica? La questione è aperta.
In platea si è registrata la presenza anche di Carmelo Gumina, esponente del MIS, il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, di Giuseppe Pizzino, leader di Progetto Sicilia (l’introduzione di una moneta complementare), e di alcuni ex grillini, come l’avvocato Nello Di Prima, oggi vicino al movimento Sicilia in HD, e altri ancora.
La loro presenza ha contribuito a vivacizzare ancora di più il dibattito. Gumina, ad esempio, si è soffermato sulla differenza tra ascari e collaborazionisti. In sostanza, cambia poco e l’attuale Governo siciliano di Rosario Crocetta può vantare la presenza di entrambi.
Pizzino, invece, si è detto d’accordo con Busalacchi quando ha detto che “la piena applicazione dello Statuto potrebbe essere sufficiente per il riscatto della Sicilia”.
Brusio in sala quando qualcuno ha detto che lo Statuto siciliano è ormai svuotato. Tesi confutata da una constatazione ampiamente condivisa: se così fosse, il Governo nazionale non avrebbe fatto firmare al presidente Crocetta, la rinuncia ai contenziosi con lo Stato per i prossimi tre anni, la rinuncia, cioè, ai pronunciamenti favorevoli della Corte Costituzionale in tema di territorializzazione delle imposte. Rinuncia costata alla Sicilia, secondo le stime, 4 miliardi di euro. E che conferma che lo Statuto ha ancora una valenza costituzionale.
Non solo. I tentativi in corso di bloccare ulteriormente l’applicazione dello Statuto dimostrano che ha grandi potenzialità che solo una politica nuova, senza ascari, potrà difendere.
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