La vicenda del Coronavirus, con la sua carica di paura, insegna a valorizzare le frontiere e i confini nel senso ben tematizzato già da Aristotele nella “Politica”, con il suo elogio dell’ “oros”, del “confine”: i confini non debbono essere intesi come barriere che escludono e discriminano, ma come frontiere politiche che, all’occorrenza, proteggono le comunità umane
di Diego Fusaro
Ebbene sì, il Coronavirus è sbarcato anche in Italia. E si è esizialmente manifestato nel lodigiano, colpendo gravemente un trentottenne, le cui condizioni sono ora gravissime. Non sappiamo, ad oggi, quale sia la vera origine di questo virus nato in Oriente: ex oriente virus, si potrebbe asserire parafrasando il noto motto ex oriente lux.
Per parte nostra, abbiamo dubitato e continuiamo a dubitare della versione ufficiale, quella che trascura la questione politica e geopolitica. Lasciando da parte il tema, soffermiamoci, tuttavia, sia pure solo per cenni, sulla situazione del Coronavirus in Italia.
Il rischio di pandemia è in agguato. E dirlo non è certo una forma di paranoico complottismo. Sono i fatti a parlare, in modo diretto e oltremodo preoccupante. Hanno ragione i virologi, come Burioni tra gli altri, i quali hanno insistito sull’esigenza della quarantena per quanti giungano dall’oriente. Sono state, come sempre, parole inascoltate, verba ventis.
E ora, con la spietatamente crudele ironia con cui la storia è solita educare gli uomini, che continuano a permanere nell’insipienza, è un virus a svelarci inaggirabilmente la verità del confine e della frontiera: non come barriera che chiude, ma come soglia che regolamenta i transiti. Ciò che oggi è più che mai importante, com’è evidente. Frontiere e confini, che proteggano la comunità nazionale, in questo caso dal pericolo del globalismo virologico.
Il Coronavirus s’è incaricato, con spietata brutalità, inversamente proporzionale rispetto alle sue dimensioni reali, di confutare il teorema della openness cosmopolitica: con i suoi corollari dei porti aperti, delle autostrade aperte, degli aeroporti aperti.
Sempre elogiata dal pensiero unico politicamente corretto ed eticamente corrotto, la libera circolazione ha ora svelato un nuovo lato luciferino: non bastava quello, già noto, della libera circolazione delle persone mercificate e traslate in nome della lex del mercato. No. Ora è subentrata la libera circolazione dei virus e dei contagi.
Il mondo borderless è il mondo della delocalizzazione infelice e – ora lo sappiamo – anche della libera circolazione deregolamentata dei virus. Con, peraltro, l’errore gravissimo della mancata messa in quarantena di quanti provengono dalla Cina. E ora si rischia la pandemia, con tutte le sue conseguenze.
Una prova in più per valorizzare le frontiere e i confini nel senso ben tematizzato già da Aristotele nella “Politica”, con il suo elogio dell’ “oros”, del “confine”: i confini non debbono essere intesi come barriere che escludono e discriminano, ma come frontiere politiche che, all’occorrenza, proteggono le comunità umane. Senza sovranità nazionale non v’è democrazia. L’abbiamo detto più volte. Ora abbiamo dolorosamente scoperto che senza sovranità nazionale non v’è salute.
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