Non facciamo parte di uno Stato dal quale vogliamo separarci: noi siamo i discendenti di uno Stato, le Due Sicilie, che è stato illegalmente, arbitrariamente e violentemente aggredito e annesso. Nessuna secessione quindi, ma la rivendicazione e riacquisizione del nostro diritto
di Giovanni Maduli
In quest’ultimo periodo stiamo assistendo alla nascita di nuovi gruppi, partiti, associazioni, movimenti la cui azione sembra essere volta al riscatto dei Popoli delle Due Sicilie e, come ho più volte scritto, ritengo questo un fatto positivo in sé in quanto testimone, almeno, di un fermento, di un risveglio, di una voglia appunto di riscatto. Ci stiamo finalmente risvegliando e sembra abbiamo finalmente compreso che, da quasi centosessanta anni, siamo solamente una colonia dell’Italia; molti hanno poi compreso che siamo anche colonia militare, strategica e commerciale, oltre che culturale, di potenze straniere da ormai settantaquattro anni; alcuni infine, ma ancora pochi, hanno capito che siamo colonia, ma anche schiavi, della cosiddetta Unione Europea: insomma, siamo colonia e schiavi tre volte.
Nascita di partiti e movimenti dicevo, che reputo quale fenomeno comunque positivo, e indicativo finalmente, della presa di coscienza non solamente delle taciute verità storiche che hanno determinato la fine della nostra libertà e sovranità, ma anche e sopratutto della necessità di dovere intraprendere azioni concrete che siano in grado di restituirci quella libertà e quella dignità ormai da troppo tempo estorteci.
Tutti si è ormai compreso che in questa società pregna di “valori” spesso a noi estranei molte cose non vanno, non quadrano. Il Potere costituito ha un bel dire nel tentare di continuare a spacciare l’attuale condizione economica, sociale e culturale come condizioni transitorie verso un luminoso futuro migliore e perfettibile; la semplice e pura verità ci fa ogni giorno constatare e toccare con mano che sempre più “non si arriva a fine mese”, che i nostri giovani emigrano, che i servizi sociali sono sempre meno e sempre più scadenti, che i diritti dei lavoratori e dei cittadini diminuiscono, che l’egoismo e l’individualismo avanzano, che le strutture scolastiche, stradali e territoriali in genere sono sempre più fatiscenti, che la burocrazia è sempre più soffocante e tanto, tanto altro.
Ecco allora, finalmente, la riconosciuta necessità di riunirsi, di fare gruppo per cercare di arginare questa deriva nichilista sotto ogni profilo.
Ma a questo punto nasce la necessità ineludibile di capire e quindi progettare il percorso da intraprendere, la via da seguire idealmente e culturalmente. Non è sufficiente avere compreso la necessità del risveglio, del “dover fare qualcosa”: è necessario adesso valutare le possibili vie da seguire, analizzarne le possibilità e le potenzialità; è necessario un vero e proprio progetto, chiaro, limpido; un progetto che non ceda alle lusinghe di eventuali compromessi o equivoci o, peggio, si presenti già ab origine come poco chiaro, impreciso, vago. E la cosa, lo riconosco, è tutt’altro che semplice ove si consideri ad esempio che a livello internazionale i parametri economici, commerciali, finanziari ma anche culturali sono totalmente cambiati se paragonati con quelli di appena venti o trenta anni fa.
Si tratta di riformulare equilibri, modalità esecutive e relazionali totalmente nuove che tengano conto delle mutate condizioni e dei mutati paradigmi valutativi. Il bipolarismo è finito e nuove realtà si affacciano all’orizzonte dei popoli; sono realtà delle quali bisognerà tenere conto e con le quali inevitabilmente si dovranno intessere rapporti e relazioni.
Il regime turbo capitalista neoliberista instauratosi in quest’ultimo ventennio, ancorché progettato in tempi più remoti, sembra sia al capolinea e si dovrà riprogettare un “sistema” diverso in grado di soddisfare non solamente i bisogni strettamente economici, finanziari e commerciali ma, come giustamente propugnava il compianto prof. Giacinto Auriti, anche quelli sociali ed umani e perfino quelli filosofici.
Come si vede problemi estremamente complessi che necessiteranno dell’indispensabile aiuto di Economisti, Filosofi, Sociologi e quanti si reputerà necessari per una pianificazione sociale ed economica, nazionale ed internazionale, il più possibile vicina alle reali necessità dei Popoli. Su questi molteplici argomenti tuttavia ci vengono in aiuto numerosi autorevoli suggerimenti fra i quali mi permetto di segnalare quelli di Aleksandr Dugin, a mio avviso brillantemente espressi nel suo “Teoria del mondo multipolare”.
Rimanendo in ambito per così dire “nazionale”, considerata la complessità dei problemi che si sono solo in minima parte elencati, credo sarà indispensabile procedere per fasi, individuando di volta in volta gli obiettivi che si vogliono perseguire ed i relativi mezzi o strumenti necessari. Sarà necessario individuare dei punti fermi, dei denominatori comuni in assenza dei quali non sarà materialmente possibile alcun riscatto.
In questo documento ho dimostrato la indispensabilità ed inevitabilità della indipendenza. E, sia chiaro, sto parlando di indipendenza, non di secessione: noi non dobbiamo secedere da nessuno; non facciamo parte di uno Stato dal quale vogliamo separarci: noi siamo i discendenti di uno Stato, le Due Sicilie, che è stato illegalmente, arbitrariamente e violentemente aggredito e annesso. Nessuna secessione quindi, ma la rivendicazione e riacquisizione del nostro diritto.
Chi ha un minimo di conoscenze di Economia sa bene che il primo elemento che determina de facto la sovranità e l’indipendenza di un popolo e del relativo Stato è la facoltà, ma anche il diritto, di battere moneta. Più semplicemente, uno Stato che non ha moneta sovrana non è uno Stato. Ne consegue che il secondo obiettivo da perseguire indispensabilmente è la sovranità monetaria e quindi, di conseguenza, l’uscita dall’euro.
So bene che alcuni economisti prezzolati paventano, in questo caso, conseguenze gravissime e inenarrabili, tentando così di spaventare quanti invece hanno ben compreso dove si celi il nocciolo della questione ma, d’altro canto, numerosi altri economisti, alcuni dei quali perfino premi Nobel, ma anche economisti quali Valerio Malvezzi, Nino Galloni, Alberto Bagnai, Claudio Borghi e tanti altri, hanno dimostrato ed elencato gli strumenti economici e finanziari utili per la difesa di una tale scelta stante che, inevitabilmente, si scateneranno gli strali dei poteri finanziari mondialisti i quali tenteranno in tutti i modi di ostacolare un tale legittimo e sacrosanto percorso.
Né è accettabile l’ipotesi per la quale, secondo alcuni, molti cittadini si spaventerebbero di una tale ipotesi, decretando così l’insuccesso di una compagine politica che propugnasse una tale via. Semplicemente, non è accettabile che un intero Popolo rinunci al proprio legittimo riscatto sol perché alcuni, o anche tanti, non hanno ancora compreso. Chi non ha ancora compreso, e per fortuna sono sempre meno, dovrà essere aiutato ed informato e spetta a chi ha compreso, l’onere di un tale incarico.
Parallelamente all’uscita dell’euro, altro punto ineludibile sarà l’abbandono della UE e il disconoscimento di tutti i trattati ad essa relativi e sottoscritti dallo Stato Italiano. Voglio essere chiaro su questo punto. Personalmente non solo non sono contrario ad un avvicinamento dei Popoli e, al limite, all’unità di quelli europei, ma sono a questa ipotesi favorevole solo ed esclusivamente qualora questa unità scaturisca dal volere e dal desiderio dei Popoli e non dalle oligarchie finanziarie e speculative internazionali.
Questi i punti che, a mio avviso dovrebbero costituire i punti fondanti ed ineludibili di una compagine politica che avesse davvero a cuore il riscatto del nostro Popolo.
Purtroppo, a malincuore, debbo rilevare invece che, se non vado errato, nessuno dei partiti e movimenti di recente costituzione hanno nei loro programmi questi punti. Certo, alcuni di essi si dichiarano apertamente indipendentisti, il che è certo positivo ma, come detto, se non si individuano punti fermi chiari ed ineludibili sono tutti partiti e movimenti che rischieranno di vanificare il loro pur lodevole sforzo.
Addirittura ci sono movimenti che perseguono una giustissima ed auspicabile “equità” fra le risorse del Nord e quelle del Sud, non considerando però che si tratterebbe comunque, ammesso che si riuscisse ad ottenerla – cosa della quale dubito fortemente – di una equità nella miseria e nella schiavitù (…intanto tutte le Regioni hanno appena dato il proprio nulla osta sull’Autonomia differenziata delle Regioni in assenza dei LEP, Livelli Essenziali di Prestazioni…).
Con tutto il rispetto e la stima per gli amici fautori di questi partiti e movimenti credo che ancora non ci siamo. Non credo sia questa la strada.
Come ho scritto, o si dichiareranno apertamente e con coraggio quali siano gli indispensabili obiettivi da perseguire o si rischierà, per l’ennesima volta, di profondere impegno, fatica, spese e quant’altro in attività che, gioco forza, non otterranno gli scopi per i quali quegli stessi amici, pur con tanta abnegazione, si battono.
Parafrasando il compianto Nicola Zitara, se non si mirerà apertamente all’Indipendenza e, aggiungo, alla sovranità monetaria, si otterrà al massimo di vivere solamente “momenti meno infelici…”.
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