Da quando siamo in rete, a proposito della sanità pubblica siciliana, torniamo spesso su due fatti: il taglio di quasi 600 milioni all’anno, da parte dello Stato, che la sanità siciliana subisce dal 2009; e l’impropria utilizzazione di fondi della sanità pubblica siciliana per pagare settori della Regione che nulla hanno a che spartire con la stessa sanità. I risultati sono i seguenti. I dati forniti da ‘La Sicilia’. Politici e raccomandati esentati dallo sfascio della sanità pubblica siciliana
Da quando I Nuovi Vespri è in rete, osservando lo sfascio crescente della sanità pubblica siciliana, non facciamo altro che ripetere quello che è successo nel 2006, quando il Parlamento nazionale, su input del Governo Prodi, decide, unilateralmente, di portare la quota di compartecipazione della Regione siciliana dal 42% circa al 50% circa. Dopo tre anni, e precisamente a partire dal 2009, non la Regione siciliana come entità astratta, ma i 5 milioni di siciliani – più gli immigrati che vivono nella nostra Isola – avrebbero avuto a disposizione, per la sanità pubblica, quasi 600 milioni di euro all’anno (QUI IL NOSTRO ARTICOLO DEL 2016).
La responsabilità politica di questo atto scellerato è del PD, che allora guidava il Governo nazionale e della maggioranza di centrosinistra di Camera e Senato che ha approvato questo scippo di quasi 600 milioni di euro all’anno alla Regione siciliana.
Ma una responsabilità particolare va ai parlamentari nazionali eletti in Sicilia nel 2006, di maggioranza (che allora era di centrosinistra) e di opposizione (che allora era di centrodestra): nessuno di loro protestò per questa vergogna!
Nel 2016, quando abbiamo scritto il primo articolo su questo scempio ai danni dei siciliani, abbiamo previsto un peggioramento della situazione nella sanità pubblica siciliana. Anche perché il Governo regionale dell’epoca presieduto da Rosario Crocetta – in combutta con il Parlamento siciliano della legislatura 2012-2017 – utilizzava, a man bassa, fondi della sanità per pagare cose che con la sanità non avevano nulla a che spartire.
Sia chiaro: quando diciamo che Governo e Ars utilizzavano i fondi della sanità pubblica siciliana (già decimati dall’assurdo taglio di 600 milioni all’anno operato dal Governo Prodi) non ci stiamo inventando nulla: ci stiamo solo limitando a riportare quanto affermato dai giudici della Corte dei Conti per la Sicilia in un’audizione tenuta presso la commissione Bilancio e Finanze del Parlamento siciliano nel settembre del 2016 (QUI L’ARTICOLO).
La situazione non è cambiata con l’avvento del Governo regionale di Nello Musumeci che, se è vero che ha trovato macerie finanziarie, è anche vero che, nel 2018, non abbiamo capito come, ha “risparmiato” dalla sanità pubblica siciliana 115 milioni di euro poi dirottati ai Comuni (che, in teoria, con questi fondi, avrebbero dovuto pagare le rate dei mutui: è stato così?).
Il risultato dei quasi 600 milioni all’anno che lo Stato scippa al Fondo sanitario regionale della Sicilia e dei fondi della sanità impiegati per pagare le spese di altri settori dell’amministrazine regionale li leggiamo in un articolo pubblicato oggi dal quotidiano La Sicilia:
“In Sicilia il Servizio sanitario è vicino al collasso. Mancano medici e infermieri. E ammalarsi potrebbe essere davvero un problema vista la carenza di personale un po’ in tutte le strutture sanitarie dell’Isola. La denuncia arriva dal presidente dell’Ordine dei Medici di Palermo, Toti Amato, dal presidente dell’Ordine degli Infermieri del capoluogo siciliano, Francesco Gargano, e dal responsabile regionale di Cittadinanza attiva Giuseppe Greco, che questa mattina hanno partecipato a un forum a Palermo organizzato dall’agenzia Italpress”.
“Siamo preoccupati per il definanziamento della spesa pubblica, l’assenza dei Livelli essenziali di assistenza, rimasti finora sulla carta, e per il blocco dei concorsi, un problema questo particolarmente sentito in Sicilia – dice Amato -. I medici sono sempre più sotto burnout a causa di turni di guardia stressanti. L’assenza di medici specialisti, particolarmente sentito per esempio per gli anestesisti, è un problema molto serio che non ci consente di assicurare un’assistenza accettabile ai pazienti”.
(Per la cronaca, illustriamo cosa è la sindrome di Burnout:
La sindrome di burnout o «dell’esaurimento da lavoro» è la risposta ad uno stress emotivo cronico e persistente, caratterizzato da esaurimento fisico ed emotivo, tendenza a considerare le persone come oggetti, sensazione di perdita di significato del proprio operato e ridotta produttività. In genere colpisce coloro che sono impiegati nelle professioni di aiuto, nelle emergenze, nel sociale come medici, infermieri, poliziotti, vigili del fuoco, assistenti sociali, caregiver , ma può colpire anche altre categorie di lavoratori, quella forza lavoro iperattiva, iperconnessa e schiacciata da mille impegni tra lavoro e famiglia. Le donne sarebbero più esposte degli uomini al pericolo di esaurimento psico-fisico” (tratto da Neuroscienze del Corriere della Sera – QUI L’ARTICOLO) PER ESTESO).
Come potete notare, il presidente dell’Ordine dei Medici di Palermo, Toti Amato, chiama le cose per nome e cognome: cita la parola “definanziamento”.
Non meno diretto il presidente dell’Ordine degli Infermieri del capoluogo siciliano, Francesco Gargano:
“Con i parametri attuali gli infermieri non sono in grado di assicurare un’assistenza dignitosa ai malati, che sempre più spesso sono pazienti con pluripatologie e di età avanzata. C’è uno studio scientifico che evidenzia come il rapporto ideale tra infermiere e paziente dovrebbe essere oggi di uno a sei. Non pretendiamo tanto e auspichiamo che tale rapporto sia di almeno uno a otto, ma ci sono strutture sanitarie in Sicilia dove si arriva anche a un infermiere ogni 21 pazienti, e un infermiere ogni 18 pazienti è molto diffuso. Questo è inaccettabile. Un infermiere in meno aumenta del 20% il rischio mortalità del paziente. Gli ultimi concorsi sono stati banditi nel 2009. Ne abbiamo parlato con l’assessore regionale che naturalmente non può far altro che allargarci le braccia perché obbligato a rispettare i tetti di spesa”.
Ovviamente, nell’Unione Europea dell’euro i “tetti di spesa” vengono prima della salute delle persone. Ci mancherebbe!
Non siamo molto d’accordo con il responsabile regionale di Cittadinanza attiva Giuseppe Greco quando afferma:
“C’è la necessità di aumentare il legame forte fra malato e medici, fra malato e strutture ospedaliere. Bisogna lavorare perché il Servizio Sanitario Nazionale migliori questo rapporto. Noi auspichiamo che il Governo della Sanità possa essere affidato a persone competenti, perché si possano recuperare sprechi e inefficienze che ci hanno portato alla situazione attuale”.
Gli sprechi, soprattutto nel passato, non sono mancati. Ma la situazione attuale – anzi, lo sfascio della sanità siciliana di oggi – ha poco a che vedere con gli sprechi e le inefficienze e molto a che vedere con i tagli dello Stato e con l’utilizzazione impropria dei fondi destinati alla sanità pubblica.
Comunque, è nostro dovere avvertire i cittadini siciliani che rimangono nei Pronto Soccorso un giorno intero prima di essere visitati (se va bene…) e poi ‘accampati’ nelle sale – o nei corridoi – degli stessi Pronto Soccorso prima di trovare un posto nei reparti degli ospedali (dove, ovviamente, i posti letto sono stati tagliati) che i politici, gli alti burocrati e, in generale, i raccomandati, se stanno male, non vanno negli ospedali pubblici-bolgie dove vanno ‘accatastati’ i siciliani normali: politici, burocrati e raccomandati trovano subito posto nei centri privati di ‘eccellenza’ lautamente foraggiati con i soldi della Regione (cioè con soldi tolti, ovviamente, alla sanità pubblica siciliana).
Sappiate, per vostra informazione, che i centri sanitari privati di ‘eccellenza’ che operano in Sicilia con i fondi regionali non hanno subito tagli: i tagli hanno colpito gli ospedali pubblici della nostra Isola.
Così, tanto per essere precisi.
Foto tratta da Codacons.it
QUI L’ARTICOLO DE ‘LA SICILIA’
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