La farmacologia ha sperimentato composti che eliminano dal nostro corpo le “cellule zombie”: cellule normali che smettono di dividersi e producono sostanze che danneggiano i nostri organi provocando Alzheimer, Parkinson, artriti, molti tipi di tumori e anche il declino cardiaco. Siamo all’Elisir di lunga vita sognato dagli alchimisti? Lo studio della Mayo Clinic
di Nota Diplomatica
I senolitici sono una nuova categoria di farmaci che dovrebbero servire a contrastare e forse perfino far regredire il processo d’invecchiamento. Il prolungamento della vita, specialmente della vita “vitale”, è da sempre una sorta di pietra filosofale della ricerca biomedica.
I senolitici sono arrivati occasionalmente sulla stampa negli ultimi anni, seppure spesso nella forma “una mela al giorno toglie il medico di torno” in quanto uno dei composti studiati si trova effettivamente nelle mele.
Il recente annuncio di grandi progressi da parte della molto rispettata Mayo Clinic americana cambia però le carte e suggerisce che forse questa volta non si tratti del solito falso allarme. I nuovi composti su cui i suoi ricercatori stanno lavorando servirebbero ad eliminare dal corpo le cosiddette “cellule zombie”, cellule normali che poi smettono di dividersi e cominciano a secernere sostanze che danneggiano gravemente gli organi vicini.
Il meccanismo sembra essere presente in molte malattie della vecchiaia: Alzheimer, Parkinson, artriti, molti tipi di tumori, il declino cardiaco e respiratorio.
In prove con i topi, due farmaci somministrati insieme – dasatinib, un anti-leucemico, e quercetina, un flavonoide presente nel tè verde, nel vino rosso e nelle mele – ne hanno prolungato la vita del 30%. Sono già in corso i primi test con soggetti umani, finora con risultati eccellenti. Forse la cosa
più importante di questa terapia è che non solo allunga la vita, allunga la vitalità.
Il Dr. James Kirkland, che dirige le ricerche sull’invecchiamento alla Mayo, spiega:
“La maggiore parte della gente non vuole vivere fino a 130 anni sentendosi dei 130enni, ma non gli dispiacerebbe affatto vivere fino a 90 o 100 anni
con la funzionalità dei sessantenni. Questo si fa già ora con gli animali di laboratorio”.
È ovviamente presto per cantare vittoria, ma forse non per porsi qualche domanda riguardo all’impatto sociale dell’improvviso allungamento fino al 30% della vita umana. Il tema è stato spesso affrontato nella
fantascienza, ma abbiamo davanti anche qualche esperienza concreta.
Secondo dati ONU, l’attesa di vita media alla nascita in Italia nel 1950 era di 65,6 anni. L’ISTAT, l’anno scorso, ha annunciato che questo dato è ormai di 80,6 anni per gli uomini e 85 anni per le donne.
Sappiamo già che, davanti a quest’ottima notizia, il sistema pensionistico sta dando forfait. Sappiamo che più si vive, più si tende a diventare conservatori, pessimisti riguardo alle novità di tutti i tipi.
Sappiamo – questo è particolarmente vero per l’Italia – che il rapido prolungamento della vita ha creato una sorta di “tappo” alle ambizioni dei giovani, sempre più irritati per quella sorta di gerontocrazia che continua a
occupare i nodi decisionali e di potere e che, comprensibilmente, non sembra avere molta voglia di morire presto.
Non abbiamo nemmeno citato l’effetto sulla crescita della popolazione globale…
Già oggi, la “giovane” generazione spesso non accede a una vera carriera se non da trentenni, quando la generazione dei genitori passava quasi direttamente dagli studi universitari a posizioni di responsabilità.
In un’economia che è generoso definire “statica”, i posti semplicemente non ci sono, né – se le ricerche di cui parliamo dovessero dare il frutto sperato -ce ne saranno prossimamente. Cosa dobbiamo dire ai nostri figli mentre attendono?
Foto tratta da macrolibrarsi.it
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