Ancora oggi la morte di Ippolito Nievo è avvolta nel mistero. La nave sulla quale viaggiava scomparve nel golfo di Napoli, portando in fondo al mare atti amministrativi che raccontavano dell’enorme flusso di finanziamenti di cui beneficiò Garibaldi. Soldi del governo piemontese e dalla Massoneria inglese e usati, in gran parte, per corrompere generali e notabili borbonici. Quanto bastava per nascondere tutto
di Ignazio Coppola
Tutto ha inizio da quanto Garibaldi aveva fatto dopo la sua venuta in Sicilia e quando erano venuti a mancare 5 milioni di ducati dalle ‘casse’ del Banco di Palermo dei quali si era indebitamente appropriato il nizzardo e delle malversazioni di cui la sua gestione dittatoriale era stata chiamata a rispondere, in seguito, dall’amministrazione di Torino. Una gestione quanto meno chiacchierata e sospetta, al centro della quale ruotavano il segretario di Stato del governo dittatoriale, Francesco Crispi, Domenico Peranni e Giovanni Acerbi.
Peranni, il 7 giugno, cioè all’arrivo di Garibaldi a Palermo, era governatore di nomina borbonica del Banco di Palermo, istituto dove erano custoditi i denari della Stato e dei privati, e immediatamente, guarda caso, fu nominato ministro delle Finanze dello stesso governo provvisorio; Acerbi, invece, era già luogotenente di Garibaldi e intendente di finanza.
Ma la figura centrale di un giallo mai risolto nei meandri della spedizione dei Mille è quella di Ippolito Nievo, scrittore, autore de ‘Le confessioni di un italiano’, arrivato in Sicilia al seguito di Garibaldi con la spedizione dei Mille, cassiere e amministratore sin dalla partenza da Quarto e nominato vice intendente di finanza dopo la conquista di Palermo: custode, pertanto, di tutti i segreti amministrativi e della contabilità della gestione garibaldina in Sicilia.
Di tutto questo, Nievo, in seguito a sospetti e dicerie, fu chiamato a risponderne all’amministrazione centrale di Torino subito dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia. Alle 12.55 del 4 marzo 1861, Nievo parte sul piroscafo a pale Ercole dal molo arsenale di Palermo, per far tappa a Napoli prima di raggiungere il Piemonte. Con lui alcuni collaboratori: lo scrivano contabile Fontana, i due maggiori Majolini e Salviati, il direttore generale dell’intendenza Serretta e un carico di diverse casse contenenti documenti e resoconti di gestione.
La mattina seguente la nave scompare, inghiottita dai flutti nel golfo di Napoli, al largo di punta Campanella, portando in fondo al mare i segreti finanziari della spedizione dei Mille e dell’esercito meridionale.
Scomparvero così nel naufragio importanti documenti e pezze d’appoggio sulla regolarità amministrativa dei Mille riguardante un groviglio di interessi che coinvolgeva politici, banchieri, affaristi e quant’altri interessati a che quei documenti non raggiungessero la nuova capitale del regno d’Italia.
Atti amministrativi, tra gli altri, che se scoperti avrebbero evidenziato l’enorme flusso di finanziamenti dato alla spedizione, sottobanco, da parte del governo piemontese e dalla Massoneria inglese e usato in gran parte per corrompere generali e notabili borbonici.
Nel naufragio perirono 78 persone tra passeggeri e componenti dell’equipaggio. Si pensò immediatamente a un sabotaggio alle caldaie della nave ma, altrettanto tempestivamente, l’inchiesta fu insabbiata. Tutto fa supporre che ci troviamo al cospetto della prima “strage di Stato” nella storia d’Italia.
Novantadue anni dopo, nel 1953, un pronipote di Ippolito, Stanislao Nievo, volendo fare chiarezza sulle modalità del naufragio, si calò con il batiscafo Trieste al largo di punta Campanella assieme ad Auguste Picard, famoso esperto in ricerche marine e, alla profondità di 240 metri, individuarono il relitto di una nave con una grande ruota, del tutto simile all’Ercole. Tutti i tentativi di riportarlo in superficie furono vani. I resti del relitto finirono sbriciolati dalla forte pressione dell’acqua. La stessa fine fecero alcune casse simili a quelle usate nella spedizione dei Mille.
Su questa sua esperienza, Stanislao Nievo scrisse un libro: “Il prato in fondo al mare”. In seguito altri scrittori si cimentarono sull’affascinante e misterioso argomento. Tra questi Lucio Zinna con “Il caso Nievo” e Fausta Samaritani con “Per l’onore di Garibaldi”.
A distanza di 158 anni, il mistero non è stato ancora risolto. Ancora una volta è un giallo costellato di sospetti, di misteri, di morti e di intrighi massonici quello che incontriamo sull’avventurosa strada del cosiddetto “eroe dei due mondi”. Anzi, per quel che abbiamo visto, più che eroe sarebbe più opportuno definire Garibaldi “il massone dei due mondi”, considerato che la sua iniziazione alla “fratellanza universale” avvenne nelle lontane Americhe, a 37 anni, nel 1844 per poi concludersi con la sua consacrazione a Gran Maestro, a Firenze nel 1864.
Foto tratta da bdtorino.eu
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