Mentre i politicanti regionali litigano per le poltrone, starebbe maturando il progetto di mandare in Sicilia i rifiuti radioattivi. Ennesimo ‘regalo’ del Governo nazionale. Ad opporsi i sindaci della zona che sarebbe stata prescelta. E, meno male, che ci sono loro…
Ci mancano solo le scorie nucleari. In una Sicilia devastata dai poli del petrolchimico (buoni solo a fare crescere l’incidenza dei tumori e a distruggere l’ambiente), minacciata dalle trivelle (che, grazie al Governo Renzi, potranno invadere e mettere a rischio il nostro mare, vedi l’allarme che arriva da Pantelleria), costellata di basi militari con appendici varie (vedi il Muos di Niscemi), depredata dal governo nazionale e governata da una politica affarista e arraffona (il caos imperversa nella raccolta dei rifiuti, nella gestione dell’acqua , nella gestione dei boschi, nella gestione dei musei, dei teatri, delle strade, delle autostrade, per non parlare della disoccupazione e dei rischi legati al flusso migratorio), si può trovare spazio anche per i rifiuti radioattivi.
Così, a quanto pare, la pensa il Governo Renzi, che, secondo notizie che circolano in rete, avrebbe individuato in una vecchia miniera dismessa nel comune di Agira (la famosa miniera di Pasquasia, in provincia di Enna), ricadente nel territorio del Simeto, il luogo ideale per un deposito nazionale di rifiuti radioattivi derivanti dallo smantellamento di vecchie centrali nucleari.
Va da sé che, in una regione governata da una classe politica decente, deputati e assessori avrebbero già fattole barricate. Non è il nostro caso. Ed, infatti, a Palermo, regno degli ascari, non se ne parla.
La protesta sta, invece, sta prendendo piede nel territorio interessato. Ed è certamente un buon segnale. Se da un lato, infatti, conferma lo scollamento tra politica regionale e nazionale con i territori (i politici siciliani, in teoria sarebbero pagati per dare voce ai territori che li hanno eletti, ma sappiamo che non lo fanno), dall’altro testimonia che i Siciliani non si sono rimbecilliti del tutto.
Così domenica scorsa, organizzato dal Presidio partecipativo del Patto di fiume Simeto, si è svolto a Troina, sempre in provincia di Enna, il convegno “Scorie radiattive nel bacino del Simeto: l’ennesima condanna?”. In prima fila i sindaci di Troina (Sebastiano Venezia), di Regalbuto (Francesco Bivona), di Agira (Maria Greco).
Relatori tre dirigenti dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: Paolo Finocchiaro – esperto di rilevazione e monitoraggio delle radiazioni; Santo Gammino, già responsabile del progetto TRASCO per il ritrattamento e la riduzione di attività dei rifiuti radioattivi; Giacomo Cuttone, direttore dei Laboratori Nazionali del Sud e delegato Euratom per il MIUR.
I sindaci hanno puntato il dito contro una ipotesi del genere soffermandosi sulla sismicità di quel territorio, sui rischi per le falde acquifere e per i bacini idrici, sullo stato pietoso delle strade non proprio idoneo al trasporto di questi veleni, e non ultimo, hanno parlato di una scelta che andrebbe a penalizzare un’area già economicamente svantaggiata.
“Viviamo in un territorio già depresso e dal destino segnato, marginale e isolato, in cui ogni giorni lavoriamo con fatica e impegno alla costruzione di un modello di sviluppo fondato sulla promozione e valorizzazione delle nostre risorse. Se questa notizia fosse confermata, – dicono i sindaci- spegnerebbe le luci sul nostro territorio. Occorre informare e sensibilizzare l’opinione pubblica. Questa non è una semplice battaglia, ma la madre di tutte le battaglie, perché riguarda il futuro del nostro territorio, dei nostri figli e delle generazioni future. Siamo disponibili a attrezzarci per una grande mobilitazione del nostro territorio”.
Preoccupazioni condivise dagli esperti che si sono soffermati sulla difficoltà del trasporto verso i territori dell’ennese e hanno auspicato che, a livello nazionale, “non prevalgano le logiche del profitto e che, in un processo trasparente, si tenga conto delle avanzate conoscenze scientifiche di cui l’Italia dispone”.
Insomma, che si mettano in campo tecnologie, che magari non alimentano il business, ma che di certo non metterebbero a rischio i territori. Come quello siciliano che ha già pagato un prezzo altissimo a questa Italia.
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