Così si potrebbe leggere l’iniziativa dell’assessore all’Istruzione e alla Formazione professionale Roberto Lagalla. Da cosa lo deduciamo? Che i tentativi messi in campo fino ad oggi di portare nelle scuole siciliane di ogni ordine e grado dialetto e storia della Sicilia sono falliti. la nostra sensazione è che vogliano utilizzare i fondi della Formazione professionale per ‘insegnare’ in questi corsi dialetto e storia… Magari con le risorse del Fondo Sociale Europeo
Perché mai a distanza di quasi dieci anni la Regione sente il bisogno di riesumare una legge mai applicata, rimpannucciarla, definirne le “Linee guida per le modalità di attuazione” e avviarla ad un nuovo fallimento? Sono scemi a Palazzo d’Orleans? E’ scemo l’assessore della Pubblica istruzione e della formazione professionale Roberto Lagalla? Tutt’altro, sono furbi, anzi troppo furbi.
Qualche doverosa spiegazione e un po’ di storia.
Nella primavera del 1981 il Parlamento siciliano approvò una legge su un argomento consimile, intitolata “Provvedimenti intesi a favorire lo studio del dialetto siciliano nelle scuole dell’isola”. Legge mai attuata, perché nata morta.
Con legge regionale 31 maggio 2011 n. 9, la Regione approvò le “Norme sulla promozione, valorizzazione ed insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole”.
Anche questa legge nacque già morta, per gli stessi due motivi della precedente. Infatti, inopinatamente, non fu prevista nessuna spesa per avviare nelle scuole la prevista promozione e soprattutto non si volle considerare che l’introduzione e lo studio di nuove materie nei programmi scolastici, programmi che dovrebbero essere di competenza della Regione, ma che, grazie alla servitù politica a Roma, sono ancora di competenza del Ministero della Pubblica istruzione, vitatissimi sono!
Infatti la legge non era e non è obbligatoria per le istituzioni scolastiche e solo loro possono decidere se attuarla o meno.
Si tentò, nonostante questi handicap, di fare partire lo stesso la legge, cui avevano lavorato con entusiasmo e competenza le Università siciliane e i Centri di studi filologici e linguistici siciliani, e fu elaborato un decreto attuativo che fu pubblicato con la firma delle buonanima del Prof Mario Centorrino. Ma, come dice un vecchio adagio, “Tu puoi portare il cavallo all’acqua ma non puoi costringerlo a bere”.
Che ti inventa allora l’illustre radiologo autoprestatosi all’Istruzione, Roberto Lagalla?
Un revival della legge 9 e, appunto, le nuove linee guida per l’attuazione. Linee che, da una parte, vengono arricchite con studi sullo Statuto, alla cui attuazione, proprio in fatto di istruzione (per tutti l’art. 14, lett. r) il Lagalla non è minimamente interessato, e dall’altra vengono immiserite dal disprezzo per la causa indipendentista, degradata a fenomeno folkloristico (chissà sé Gaetano Armao, leader di Sicilia Nazione, era presente in Giunta e se si è sentito offeso al sentirsi equiparare a Peppe Nappa).
Il revival è stato affidato a un mirabolante “Tavolo tecnico di lavoro” che ha scopiazzato allegramente, e malamente, i contenuti del primigenio decreto di Centorrino.
Cui prodest allora “tuttu stu traficu” se i destinatari, ovvero gli studenti delle scuole della Sicilia, statali e paritarie di ogni ordine e grado non possono usufruirne?
Et voilà! Con una giravolta illegittima e illegale degna del grande Arsenio Lupin, ecco che destinatari potrebbero diventare i discenti dei corsi di Formazione professionale (che studenti non sono a stretto rigore).
Il tutto a cura degli Enti di formazione professionale.
Ovviamente occorre anche “un programmato impegno per l’aggiornamento e la formazione dei docenti”.
Così, viene rispettato formalmente l’obbligo normativo di non finanziare gli interventi e, nella sostanza, ecco che il flusso dei fondi destinati alla Formazione professionali potrebbe aver trovato una nuova ricca derivazione da cui gli euro potranno sgorgare “mansi”…
Foto tratta da magaze.it
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