Primo atto/ La recente visita del ministro della Giustizia al tribunale di Nola, da noi si direbbe “u cunsolo”, l’omaggio che nei paesi si faceva alla famiglia del morto, recando in dono caffè e zucchero, merita qualche riflessione.
Ad inizio di ogni anno giudiziario da quelle sedi che rappresentano il punto più alto della civiltà vengono snocciolati senza indignazione dati e statistiche degne di una repubblichetta sudamericana il cui presidente sia nello stesso tempo il capo della cosca vincente dei narcotrafficanti . Migliaia di processi in corso, migliaia di detenuti in attesa di giudizio, migliaia di cause civili pendenti, organici inadeguati e chi più ne ha più ne metta.
Insomma, un vero campionario che di per sé dovrebbe indurre chi lo illustra a lasciar perdere e andarsene a coltivare cavoli come fece Diocleziano, quando si rese conto che l’impero romano era irrimediabilmente avviato allo sfacelo. Ma si sa, la colpa è da sempre di altri.
Iustitia fundamentum regni, si diceva una volta.
I caratteri fondamentali della giustizia sono la celerità e la ineluttabilità della pena. Senza questi attributi non c’è giustizia e, per transitività, non c’è Stato.
Quando nell’amministrazione della giustizia il tempo diventa una variabile indipendente e ininfluente si apre nel corpo dello stato una ferita mortale. E, inoltre, come diceva Saint Just: “finché vedrete qualcuno nell’anticamera dei giudici e dei tribunali, il governo non vale nulla. E’ un orrore che si sia costretti a chiedere giustizia”.
Eccoci al punto. E l’uomo? E le sue sofferenze? E’ scritto: Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli; beati gli affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati. Ma è scritto pure che l’uomo deve fare i conti anche con Cesare e prendere atto che la giustizia terrena, quella dei tribunali, è umana, tutta umana, come dice Proudhon e quindi, come dice Tolstoj, dove c’è un tribunale, li c’è l’iniquità.
Fine primo atto
continua….
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