Vi proponiamo la rilettura aggiornata di un’Inchiesta sull’olio d’oliva extra vergine fatta qualche anno fa da ‘Il Partito per il Sud’. E’ un lavoro certosino che, partendo dal 1861, racconta come prima il Nord Italia e poi il Centro Italia si sono appropriati di un prodotto che, per il 90%, viene prodotto in tre Regioni del Sud: Puglia, Calabria e Sicilia. E vi illustriamo anche cosa dobbiamo fare per riprenderci ciò che ci hanno rubato
Fino al 1861 il Mezzogiorno d’Italia – ex Regno delle due Sicilie – aveva in mano il mercato mondiale dell’olio d’oliva. Con l’avvento dell’Unità d’Italia (o ‘presunta’ tale) le cose cambiarono rapidamente in peggio. I commercianti liguri e toscani, finanziati impropriamente dalla Banca Nazionale, che poi prenderà il nome di Banca d’Italia, e dalla Banca Romana (che utilizzando moneta falsa ‘esploderà’, tra il 1892 e il 1894, nel celebre scandalo della Banca Romana di Tanlongo), grazie anche ai dazi interni che penalizzavano le produzioni meridionali, diventeranno i primi esportatori di olio d’oliva nel mondo e i protagonisti del mercato italiano.
Da allora sono passati oltre 150 anni e, sembra incredibile!, lo scenario è ancora questo: pur producendo il 90% dell’olio d’oliva extra vergine italiano, Puglia, Calabria e Sicilia non controllano il mercato italiano, che resta nelle mani dei commercianti del Centro Nord Italia. E non hanno voce in capitolo nel mercato mondiale.
Rispetto al passato, nel mercato dell’olio d’oliva extra vergine italiano si sono aggiunti gli umbri, i romagnoli e anche i veneti e i lombardi. Che cosa c’entrino i veneti e i lombardi con l’olio d’oliva non è facile comprenderlo: ma – come vedremo – ci sono. Mentre nel mondo, ormai da qualche decennio, la fanno da padroni gli spagnoli, diventati i primi produttori di olio d’oliva del Pianeta.
Per entrare subito nel vivo di questo racconto, diciamo subito che abbiamo deciso di rileggere, insieme con i nostri lettori, uno studio condotto qualche anno fa da ‘Il Partito per il Sud’. E’ un lavoro molto interessante che prova a riassumere, dati economici alla mano, cos’è successo nel nostro Paese dal 1861 ad oggi. Noi proveremo a ragionare su una parte di questo studio: la parte che riguarda l’olio d’oliva extra vergine.
Il lavoro è incentrato sull’olivicoltura da olio pugliese, perché il tema è stato approfondito in questa Regione che, com’è noto, è la prima in Italia per produzione di olio d’oliva extra vergine. Ma le considerazioni e i possibili scenari futuri descritti possono essere estesi anche alla Calabria e alla Sicilia.
Un dato salta subito agli occhi: come i lettori che seguono il nostro blog sanno – e come abbiamo ribadito all’inizio di questo articolo – ancora oggi il mercato dell’olio d’oliva extra vergine italiano è controllato da commercianti del Centro Nord Italia.
Ma se la Puglia – è questa è la notizia – riuscisse ad imbottigliare il proprio olio extra vergine creerebbe oltre 30 mila posti di lavoro, riducendo la propria disoccupazione di quasi 2 punti e mezzo!
Se lo stesso avvenisse in Calabra e in Sicilia, magari la crescita degli occupati non sarebbe uguale a quella pugliese, ma avrebbe comunque una valenza significativa.
Interessante anche questo passaggio:
“Uno scenario possibile, e quindi da perseguire nel medio periodo, sarebbe quello di produrre 112.500.000 di litri per il mercato interno italiano di extravergine originario certificato pugliese (10 €/lt), 56.250.000 di olio extravergine DOP pugliese per il mercato interno (15 €/litro) e 56.250.000 litri di olio extravergine DOP pugliese Esportazione (20 €/litro). A questo obiettivo corrisponderebbe un fatturato di 3,1 MLD di €, con un plus rispetto a quello odierno di 2,55 MLD di €; cifra che garantirebbe il reddito da lavoro, tra filiera ed indotto regionale, ad almeno 120.000 persone; un riassorbimento del tasso di disoccupazione regionale prossimo al 9%!”.
Ribadiamo: questo è uno studio di qualche anno fa che riguarda la Puglia: ma lo scenario può essere esteso a Calabra e Sicilia, rispettivamente, seconda e terza Regione italiana per la produzione di olio d’oliva extra vergine.
Ancora:
“Le normative europee ed italiane finanziano, in parte anche a fondo perduto, la realizzazione di centrali termoelettriche a biomassa per via della limitazione mondiale di produzione del gas ad effetto serra. La messa a frutto dello scarto biologico della lavorazione dell’olio pugliese, a partire dai 600.000.000 di kg di pellet pregiato (pari a 250.000.000 mc di metano eq.), comporterebbe la produzione di 830.000.000 di kWh elettrici ed il recupero di 1.200.000.000 kWh termici, fruibili dall’industria alimentare/conserviera/turistica/terziaria, e da cui si ricaverebbero non meno di 226.000.000 di € dalla vendita dell’energia elettrica e termica ed altri 100.000.000 di € per la produzione di certificati verdi! Oltre al piacere di contribuire alla tutela dell’ecosistema, la Puglia potrebbe attivare impianti di cogenerazione a biomassa, da filiera olearia, traendo vantaggi economici equivalenti al reddito di oltre 13.000 lavoratori!”.
Non solo importante la riconquista, quanto meno, di una parte del mercato italiano di olio d’oliva extra vergine da parte delle tre Regioni del Sud, ma c’è anche la possibilità di produrre energia. Non sappiamo quale sia la situazione in Puglia e in Calabria, ma in Sicilia la produzione di energia dagli scarti della lavorazione delle olive potrebbe accompagnarsi a un miglioramento delle condizioni ambientali, considerato che tanti depuratori non funzionano e che, purtroppo, non mancano frantoi che scaricano i residui della lavorazione nei corsi d’acqua che poi vanno a inquinare il mare.
Già qualche anno fa in questo studio si invitavano non solo la Puglia, ma tutte le Regioni del Sud Italia che producono olio d’oliva a ragionare su come fronteggiare l’avanzata della Spagna. Partendo, ovviamente, dalla riconquista del mercato italiano, del quale – come già ricordato – si è indebitamente impossessato il Centro Nord Italia.
Lo studio individua un percorso per la Puglia che, lo ribadiamo ancora una volta, può essere esteso a tutte le Regioni del Mezzogiorno che producono olio d’oliva extra vergine:
“Il rilancio dell’economia pugliese, per noi di ‘per il SUD’, passa quindi obbligatoriamente attraverso i seguenti tre punti fondamentali.
Primo punto: libero esercizio della volontà imprenditoriale e politica
regionale.
Secondo punto: nascita di una o più Banche pugliesi a carattere privato e tese al profitto (S.p.A.), vocate al territorio, ma non scevre di progetti industriali estesi anche a livello nazionale ed oltre, al fine di poter acquisire spazi di vendita e quote di mercato.
Terzo punto: coinvolgimento dei pugliesi residenti ed emigrati in Italia
o all’estero e di tutti gli amici e simpatizzanti della Puglia
attraverso i Media nazionali ed internazionali”.
Lo studio tocca un punto fondamentale: la ‘colonizzazione’ del sistema creditizio del Sud iniziata alla fine degli anni ’90 e oggi quasi del tutto completata. Banche del Meridione che sono state eliminate con la scusa che erano gestite male, per salvare banche del Centro Nord Italia che, in alcuni casi, si trovavano in condizioni ben peggiori di quelle del Mezzogiorno. E di questo sono responsabili i politici del Sud, dalla cosiddetta Seconda Repubblica fino ai nostri giorni.
Quindi, il progetto postula la presenza di banche legate al territorio.
Vediamo, adesso, di approfondire lo scenario attuale.
Nello studio si sottolinea che “6000 frantoi presenti in Italia ben 4500 si trovano, e a buona ragione, nel SUD. Tuttavia nel SUD, cui compete praticamente l’89 % della produzione olivicola nazionale, vi si imbottiglia solo il 21,4 %! Nel CENTRO si produce il 9,8 % e si imbottiglia il 44,2%! Nel NORDEST si produce lo 0,3 % e si imbottiglia il 5,5 %! Nel NORDOVEST si produce lo 0,8 % e si imbottiglia il 28,8 %” E’ del tutto evidente che l’emigrazione dal SUD al Centro Nord non interessa e non ha interessato solo i nostri emigranti”.
Come già ricordato, dal 1870, prima i commercianti del Nord e, con il passare degli anni, anche quelli del Centro Italia si sono impossessati di un mercato che dovrebbe essere, al 90%, delle tre Regioni italiane del Sud – le già citate Puglia, Calabra e Sicilia – che producono,come già ricordato il 90% dell’olio extra vergine di oliva!
“La realtà commerciale italiana – si legge sempre nello studio – è comunque molto diversa. Infatti non solo quasi tutta la produzione di olio del nostro SUD viene vantaggiosamente confezionata nel CENTRO NORD, ma anche i volumi complessivi commercializzati sono assai diversi, Infatti l’Italia è il maggior mercato di consumo di olio d’oliva del mondo per complessivi 805.000.000 di litri (pari ad un consumo procapite di ca. 14,2 lt/anno)! E a questa quantità devono aggiungersi 328.000.000 di litri destinati all’esportazione per un totale di 1.133.000.000 di litri (dati ISMEA)”.
Riassumendo: l’Italia produce olio d’oliva, ne esporta una parte e, contemporaneamente, ne importa quasi il 50% di quello che viene consumato nel nostro Paese! Che succede?
Semplice: i furbi commercianti – del Centro Nord Italia, ma anche del Sud – si prendono una parte dell’ottimo olio extra vergine prodotto nelle tre Regioni del Sud Italia e lo esportano, supponiamo guadagnandoci. Contemporaneamente importano olio da Spagna, Grecia, Turchia, Tunisia (negli ultimi anni dalla soprattutto dalla Tunisia).
Pensate; già qualche anno fa questo studio svelava l’inghippo che c’è dietro il mercato ‘truccato’ dell’olio d’oliva ‘extra vergine’ (sulla carta…):
“L’industria olearia italiana (praticamente tutta settentrionale) – si legge sempre nello studio de ‘Il Partito del Sud ‘ – compra all’estero l’olio a prezzi tanto bassi da deprimere quello nazionale (che come abbiamo visto è praticamente tutto meridionale!), fino al limite inferiore di due o tre €/kg e non ha importanza se extravergine o lampante, tanto l’industria, con la rettificazione, fa veri e propri miracoli, il marketing fa il resto!”.
Acquistano prodotto che, in certi casi, è di pessima qualità, a prezzi bassissimi e poi lo immettono sul mercato italiano come “Olio d’oliva extra vergine italiano”: questo spiega il perché, nei supermercati, con tanto di manifesti diffusi nelle città, si vende “olio extra vergine di oliva”, prodotto con olive italiane, a 3 euro la bottiglia…
Un prezzo impossibile: perché per produrre in Italia un litro di extra vergine di oliva occorrono da 7 a 14 euro!
A conti fatti, i grandi gruppi italiani – tutti del Centro Nord – controllano il 70% circa del mercato interno del nostro Paese.
E gli olii d’oliva extra vergine blasonati? “Gli olii DOP o IGP (i cosiddetti grandi olii) – si legge sempre nello studio – comunque anch’essi distribuiti dai gruppi sopra richiamati, questi sì, veri EXTRAVERGINE di prima spremitura, rappresentano oggi in Italia solo il 5,2 per mille, in termini di
volumi, con una vendita di ca. 6.000.000 di litri e ricavi per 63 milioni di €. In sostanza, il mercato dell’olio d’oliva italiano, vero o mistificato che sia,
comporta una cifra d’affari al termine della filiera, tra consumo interno ed
export, non inferiore ai : 7 MLD di € (7 miliardi di euro ndr) …tutti saldamente in mano alle aziende del CENTRO NORD Italia!”.
Siamo giunti, così, alle conclusioni. Nello studio del ‘Partito per il Sud’ – che, lo ricordiamo ancora una volta, è di qualche anno fa – i Paesi da dove i commercianti italiani importavano olio d’oliva erano Spagna, Grecia, Turchia e Tunisia. Oggi la Tunisia è preponderante, grazie anche all’Unione Europea che ha consentito a questo Paese nord africano di esportare nella UE 90 mila tonnellate di olio d’oliva (COME POTETE LEGGERE QUI).
Proprio in questi giorni, in Sicilia, e precisamente a Sciacca, in provincia di Agrigento, sono arrivati dalla Tunisia 800 tonnellate di olio! (QUI L’ARTICOLO).
Cosa dobbiamo fare noi meridionali? La prima cosa è riprenderci il nostro mercato interno. Come abbiamo provato a illustrare nel seguente articolo:
Qui non ci resta che ribadire quanto abbiamo già detto: cari cittadini del Mezzogiorno d’Italia, non acquistate più olio d’oliva extra vergine nei supermercati. Ricordatevi che per produrre un litro di olio d’oliva extra vergine servono da 7 a 14 euro, con una media che, quest’anno, si attesta intorno ai 10 euro.
Quando vi presentano una bottiglia di “olio extra vergine italiano” al costo di 3 euro, 4 euro, o 5 euro, ebbene, dovete porvi la seguente domanda: cosa diavolo hanno infilato in questa bottiglia?
Cittadini del Sud Italia: non risparmiate sull’olio d’oliva extra vergine. Recativi ad acquistarlo presso le aziende olivicoli delle vostre zone o presso i frantoi.
Sui frantoi, alla luce di quello che sta succedendo, dovete fare molta attenzione. Ricordatevi che, quest’anno, i commercianti italiani stanno importando fiumi di olio d’oliva tunisino. Ma se provate a cercare, non troverete una sola bottiglia di olio d’oliva extra vergine con la scritta “Olio d’oliva extra vergine prodotto in Tunisia”.
E allora – lo ribadiamo – niente più olio d’oliva extra vergine dei supermercati. E se vi recate ad acquistarlo presso i frantoi, attenzione: perché c’è la possibilità l’olio appena prodotto dalla spremitura delle olive venga mescolato con quello tunisino: ricordatevi che, in un modo o nell’altro questo fiume di olio tunisino lo devono sbolognare!
Occhio ai frantoi, allora: solo quelli di fiducia. Avvertimento che vale anche per i piccoli agricoltori che portano le proprie produzioni di olive presso i frantoi. Un tempo i contadini passavano lì le notti per evitare che le olive venissero sostituite…
La nostra impressione è che si debba tornare ai vecchi metodi. Per evitare che sostituiscano direttamente una parte o tutto l’olio…
Foto tratta da investireoggi.it
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