Dall’evoluzione dell’inchiesta sulle cosiddette “spese pazze” dei gruppi parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana emerge un dato: se la spesa impropria di questi fondi non presenta “dolo” da parte dei parlamentari, per la magistratura penale non c’è reato. Invece, per la Corte dei Conti, basta una colpa lieve. Ma questo non crea confusione? E poi: l’assenza di “dolo” giustifica tutto?
Qual è il criterio che guida l’inchiesta sulle cosiddette “spese pazze” all’Assemblea regionale siciliana? Confessiamo che seguiamo con sempre maggiore difficoltà l’evoluzione – o l’involuzione, a seconda dei punti di vista – di questa storia. Eppure la vicenda è semplicissima: i fondi dei gruppi parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana debbono essere utilizzati solo per l’attività politica e istituzionale degli stessi gruppi parlamentari.
Rientrano, tra queste spese, altre forme di utilizzazione? No.
E’ di queste ore la notizia che tre ex parlamentari dell’Ars sono stati rinviati a giudizio.
“Il 5 novembre, davanti alla terza sezione del Tribunale di Palermo – leggiamo sul Giornale di Sicilia – prenderà il via il processo a Michele Donegani, ex deputato del PD, Franco Mineo, ex parlamentare di Grande Sud, e Giuseppe Greco, del Movimento popolare siciliano”.
Detto questo, con tutta la buona volontà, non riusciamo a capire perché certe utilizzazioni di tali fondi da parte di parlamentari ed ex parlamentari sono state ritenute sbagliate dalla Corte dei Conti, che ha sanzionato deputati ed ex deputati con condanne. Mentre alcuni tra i deputati ed ex deputati condannati dalla magistratura contabile sono stati assolti dalla magistratura penale.
Passi che la magistratura penale, per arrivare a una condanna, abbia bisogno di provare il dolo. Mentre per la Corte dei Conti è sufficiente anche la colpa lieve.
Però, così facendo, un po’ di confusione si crea. Anche perché i parlamentari assolti dalla magistratura penale non è che si siano comportati correttamente: hanno sempre utilizzato in modo improprio i fondi dei gruppi parlamentari.
Si dirà: è stato il Governo di Mario Monti, all’insegna del risparmio, a volere una legge, nel 2012, che ha fatto chiarezza su come si possono utilizzare tali fondi.
Giusto. Ma non è vero che, fino al 2012, non si sapeva come i gruppi parlamentari potevano e dovevano utilizzare questo denaro pubblico.
Il fatto che, prima delle legge voluta dal Governo Monti, si potevano spendere i fondi dei gruppi parlamentari per acquistare regali e pagare caffè e panettoni è falso: anche prima del 2012 queste cose erano vietate dal regolamento che sovraintende alla spesa dei fondi dei gruppi parlamentari.
Lo sapevano benissimo i giudici della Corte dei Conti per la Sicilia che, negli anni ’90 del secolo passato, vennero bloccati – proprio mentre indagavano su come i gruppi parlamentari dell’Ars spendevano i fondi e su altre “spese pazze” – con il ricorso al “difetto di giurisdizione”. Che tradotto significa: i giudici contabili non debbono mettere il naso su come il Parlamento siciliano spende i propri soldi.
La memoria, qualche volta, aiuta. E noi ricordiamo cosa succedeva negli anni ’80 e negli anni ’90 con i fondi dei gruppi parlamentari.
Dopo di che – e siamo ai nostri giorni – tutti ‘scandalizzati’ quando il Parlamento dell’Isola appena insediato ha contrattualizzato trecento collaboratori dei parlamentari.
Prendersela con i lavoratori da mille euro al mese è facile. Dopo di che alcuni parlamentari dell’Ars che, negli anni passati, hanno fatto ‘carne di porco’ con i fondi – pubblici! – dei gruppi parlamentari si godono l’assoluzione…
Insomma, all’Ars, con i fondi dei gruppi parlamentari, senza “dolo”, si può fare di tutto. Non per i giudici della Corte dei Conti che, forse, non senza qualche buona ragione, sono rimasti l’ultimo baluardo contro i furbetti dell’Assemblea regionale siciliana.
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