In occasione dell’8 marzo, la SVIMEZ rende noti i primi risultati di uno studio sulla condizione delle donne nel Sud
Una donna laureata da quattro anni che lavora al Sud ha un reddito medio mensile netto di 300 euro inferiore a quello di un uomo (1000 euro contro 1300). A quattro anni dalla laurea il divario di reddito tra maschi e femmine, pur rimanendo, tende comunque a ridursi. Delle donne meridionali occupate, una su tre lavora al Nord, circa il 62%, e la componente femminile meridionale è molto più mobile rispetto a quello maschile.
E’ la fotografia scattata dalla SVIMEZ, l’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, in occasione dell’ 8 Marzo.
Nel dettaglio, “il tasso di disoccupazione femminile nel 2017 era il 21,9% al Sud e il 9,1% al Centro Nord, ma se si guarda alle giovani donne, tra 15 e 24 anni, il divario è ben più ampio: addirittura 55,3% nel Mezzogiorno e 27,7% nelle regioni centrali e settentrionali. Il doppio, quindi”.
Le giovani donne meridionali – scrive la SVIMEZ- vivono il curioso e terribile paradosso di essere le punte più avanzate della modernizzazione del Sud, perché hanno investito in un percorso di formazione e di conoscenza che gradualmente le sta portando a livelli di istruzione simili a quelli del resto del Paese, e al tempo stesso le vittime di una società più immobile, più ingiusta, che specialmente sul mercato del lavoro finisce per sottoutilizzarle, renderle marginali o espellerle.
Altri dati tratti dallo studio sulla condizione delle donne nel Sud:
Il mercato del lavoro
Il numero di lavoratrici nell’Unione Europea ha raggiunto un livello storicamente elevato, con un tasso di occupazione (20-64 anni) che ha raggiunto nel 2017 il 66,3%. Ma, mentre il Centro-Nord si avvicina ai livelli medi europei (61,9%), nel Mezzogiorno (34,6%) il divario con la Ue, già elevatissimo all’inizio del periodo (circa 25 punti percentuali) si è ulteriormente ampliato portandosi sopra i 30 punti. Tutte le regioni meridionali sono collocate in posizioni gravemente svantaggiate rispetto alle altre europee, con Puglia, Calabria, Campania e Sicilia nelle ultime quattro posizioni, con valori del tasso di occupazione intorno al 30%, di circa 35 punti inferiori alla media europea e sensibilmente distanti da quelle del Centro-Nord.
L’andamento dell’occupazione femminile meridionale ha subito un duro contraccolpo durante gli anni della crisi: in particolare tra il 2008 e il 2014 le giovani donne del Sud, tra 15 e 34 anni, hanno perso oltre 194 mila posti di lavoro. Negli anni immediatamente successivi alla recessione, tra il 2014 e il 2017, ne hanno recuperato appena 6 mila. La ripresa, quindi, ha giovato solo alle donne dai 50 anni in su, le quali peraltro già durante la crisi non avevano perduto sostanzialmente occupazione, che si era però trasformata da rapporti a tempo pieno in part time, in gran parte involontario.
Un welfare squilibrato che si scarica sulle donne e sulla demografia
La scarsa partecipazione femminile è connessa all’incapacità delle politiche italiane di welfare e del lavoro di conciliare la vita lavorativa a quella familiare, causando anche incertezza economica e una modifica dei comportamenti sociali, tra cui la riduzione del tasso di fertilità delle italiane.
Nell’ultimo decennio le donne meridionali sono passate dai tassi di fertilità molto più elevati rispetto a quelle del Centro-Nord a tassi di fertilità sensibilmente più bassi: 1,3 figli per donna al Sud rispetto a 1,4 nelle regioni centrali e settentrionali.
Ciò è anche una conseguenza di servizi per l’infanzia offerti dalla pubblica amministrazione alquanto carenti: nel Mezzogiorno solo un terzo dei Comuni offre degli asili nido che coprono appena il 4,6% dei bambini con età inferiore ai tre anni. Regioni come Calabria e Campania li offrono addirittura a meno del 3% dei bimbi. La copertura di asili nido pubblici al Sud è, in base agli ultimi dati dell’Istat, è attorno al 4% rispetto a un 18% nel Centro-Nord. Per quanto riguarda la cura degli anziani, altra mansione alla quale le donne sono il più volte costrette a sopperire alla carenza di servizi adeguati, sempre in base ai dati Istat, la spesa pro capite per gli over 65 anni è al Centro-Nord di 119 euro in un anno e al Sud di 55 euro.
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