A cinque giorni dal voto i ‘giochi’ sono ormai chiari. Centrodestra e centrosinistra sono al servizio non dell’Italia e degl’italiani, ma dell’Europa dell’euro che vuole ‘grecizzare’ il nostro Paese. L’unica forza politica che si oppone al paradigma liberista delle multinazionali che oggi controllano la UE è il Movimento 5 Stelle. L’esempio l’abbiamo proprio al Sud con l’appoggio dei grillini alla battaglia per tutelare i produttori di grano duro e i consumatori
La campagna elettorale per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica è ormai alle ultime battute. Mancano sette giorni al voto, ma dalla mezzanotte di venerdì prossimo calerà il silenzio. Di fatto, restano – contando anche oggi, lunedì 26 febbraio – 5 giorni di campagna elettorale. Proviamo a illustrare, per grandi linee, lo scenario politico.
Cominciamo dalla confusione, cioè dal PD e, in generale, dal centrosinistra. Già, la confusione. Come definire altrimenti quello che succede tra Partito Democratico, Liberi e Uguali e formazioni satelliti di questo schieramento?
Dire che il segretario del PD, Matteo Renzi, ha commesso errori è poco. Ha fatto le liste a propria immagine e somiglianza. Più che includere ha escluso. E chi esclude invece di includere, di solito, ne paga le conseguenze al momento del voto.
L’immagine del PD, oggi, è quella di un partito diviso e dilaniato da ‘faide’ interne. E il guaio è che, in buona parte, chi combatte la linea di Renzi non è portatore di ‘nuovo’, ma espressione di un passato fallimentare.
Sotto questo profilo, la crisi del PD siciliano è emblematica. Basti pensare che a guidare la ‘rivolta’ antirenziana è l’ex assessore regionale Antonello Cracolici, già dirigente del Pci alla fine degli anni ’80 del secolo passato. Il ‘nuovo che avanza’, insomma…
La stessa rivolta contro la candidatura, per la terza volta consecutiva, della figlia di Salvatore ‘Totò’ Cardinale da Mussumeli nel collegio a cavallo tra le province di Caltanissetta e Agrigento, in parte è espressione di giovani e, in parte, della vecchia sinistra nissena e agrigentina ‘depoltronizzata’ da Renzi.
La Sicilia, ma non soltanto la Sicilia. Perché la confusione e le polemiche che travolgono il PD sono presenti in tutto il territorio italiano. Basti pensare alle proteste del PD in Trentino, contro la candidatura di Maria Elena Boschi.
O alla presa di distanza del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, rispetto alla linea politica renziana, ovvero l’idea di appoggiare un esecutivo grillino.
Che dire, poi, delle liste alleate? Sono la lista della ministra uscente Beatrice Lorenzin, la lista che vede insieme i Verdi, i socialisti di Nencini e i prodiani e la lista Bonino (non la lista dei Radicali di Pannella, che non partecipa a queste elezioni).
Ebbene, secondo il progetto renziano, ognuna di queste tre liste dovrebbe superare l’1%, ma non raggiungere il 3%. Nessuna delle tre liste prenderebbe parlamentari e, secondo quanto previsto dalla legge elettorale Rosatellum, il PD – maggiore partito alleato – incamererebbe questo voti.
Che sta succedendo, invece? Che due di queste tre liste – e, precisamente, quella della ministra Lorenzin e quella di Verdi, socialisti di Nencini e prodiani – sembra non siano in grado di raggiungere l’1%.
Un mezzo disastro, per un PD alla disperata ricerca di voti, perché se non dovessero raggiungere l’1% i voti di queste due liste non andrebbero al Partito Democratico, ma si disperderebbero!
Ancora più disastrosa la prospettiva per la lista di Emma Bonino. Sulla quale stanno convergendo i voti di tanti militanti del PD contrari a Renzi. L’obiettivo, in questo caso, è quello di far superare a questa lista il 3%. Se ciò dovesse avvenire, la Bonino ‘incasserebbe’ una ventina di parlamentari togliendoli al PD!
I nostri lettori potrebbero trovare un po’ astrusi questi ‘conti’ elettorali. Vi assicuriamo, però, che per chi si picca di conoscere i meccanismi elettorali, commettere gli errori commessi dai renziani nella presentazione di queste tre liste è veramente grave!
In tutto questo c’è la presenza dell’Europa controllata dalla signora Mekel. I tedeschi hanno capito che Renzi e il PD sono ‘bolliti’. E non è da escludere che dalla Germania, in modo ‘carsico’, sia già partito l’ordine di ricorrere al voto utile in favore di Forza Italia che, insieme con gli alleati – o presunti tali – del centrodestra è l’argine non per vincere, ma per non fare vincere il Movimento 5 Stelle.
Insomma, per dirla con estrema chiarezza, i poteri forti che fino ad oggi hanno appoggiato il PD, in questi ultimi cinque giorni potrebbero dirottare i voti su Forza Italia: cosa, questa, che farebbe perdere ulteriore consenso al PD.
Non va meglio in Liberi e Uguali. Formazione nata da una scissione dal PD, anche questo schieramento elettorale non sta brillando. Avrebbe dovuto picchiare duro sul PD e presentarsi come una forza di sinistra. Ma, a quanto pare, Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani debbono aver intuito che la formazione politica che hanno messo su non sta sfondando.
Anche per il modo un po’ assurdo con il quale sono state fatte le liste: posti sicuri solo per i fedelissimi e gli altri tutti fuori. Così facendo, però, hanno perso credibilità e consensi.
E’ in questo scenario che Piero Grasso, il leader di Liberi e Uguali, qualche giorno fa ha lanciato un appello per una sinistra unita dopo il voto: parole che, a pochi giorni dalle elezioni, suonano come una mezza resa.
Infatti, un elettore di sinistra che non vuole votare Renzi e i suoi accoliti, sentendo Grasso che parla di riunificazione anche con il PD, giustamente si chiede:
“Perché dovrei votare Liberi e Uguali se questi qui, già prima del voto, mettono le mani avanti e dicono che si rimetteranno insieme con il PD”.
Forse, Grasso, avrebbe dovuto precisare meglio il senso delle sue parole: magari spiegando che parla di una sinistra unita mandando a casa Renzi. Sennò dov’è la logica politica?
La verità è che, in questa campagna elettorale, a sinistra, l’unica sorpresa potrebbe arrivare dalla lista Potere al Popolo, se non altro perché, a partire da Napoli – baricentro di questa forza politica – vanno in rete tutti i centri sociali italiani e ‘pezzi’ sparsi della sinistra alternativa al PD.
Non è una scommessa facile: ma, a differenza delle ambiguità di Liberi e Uguali, è di certo una scommessa di sinistra.
Del centrodestra c’è poco da dire. Basti pensare che, mentre i grillini si accingono a rendere noti i nomi dei possibili ministri, Berlusconi – che è il leader di Forza Italia, ma non di tutto il centrodestra – non ha ancora detto chi dovrebbe essere il Presidente del Consiglio in caso di una sempre più improbabile vittoria del centrodestra con primo partito Forza Italia.
Certo, con l’appoggio dei poteri forti ‘europeisti’ che stanno mollando il PD di Renzi, Forza Italia dovrebbe superare la Lega di Salvini. Ma molto difficilmente vincerà le elezioni.
Di più: ammesso e non concesso che le elezioni le vinca il centrodestra con Forza Italia primo partito. Su questioni cruciali, Berlusconi da una parte e la Lega di Salvini e Giorgia Meloni sono agli antipodi.
Salvini ha attenuato i dubbi sull’euro. Ma è una mossa tattica. Ormai è chiaro che a Bruxelles pensano a due euro: uno forte, con Germania e Francia in testa, e un euro debole per i Paesi UE più poveri e più ‘indebitati’, se non già ‘colonizzati’: e Italia e Grecia saranno i primi Paesi a far parte del cosiddetto ‘Euro 2’.
E voi pensate veramente che la Lega di Salvini accetti questo declassamento? Berlusconi sì, perché salverebbe le sue ‘aziende’ – che sono l’unica cosa che gli interessa. Ma per i leghisti sarebbe un suicidio politico!
Non solo. Rientrare nel cosiddetto ‘Euro 2’ o ‘Eurozona debole’, significherà non soltanto accettare la vendita di ‘pezzi’ di Italia (non soltanto imprese – cosa che sta già avvenendo – ma anche porti, aeroporti, autostrade e anche tratti di mare), ma ulteriori penalizzazioni già operative in Grecia: e cioè tagli alla spesa pubblica, licenziamenti, tagli alle pensioni.
Pensate un po’: la Lega di Salvini, che vuole abolire la legge Fornero, dovrebbe sostenere un Governo di centrodestra che dovrebbe attuare quanto detto sopra.
Tutto questo gli elettori italiani lo hanno percepito benissimo. E a parte le solite promesse vacue di Berlusconi, alle quali crede solo lui, non c’è, nell’aria, un’atmosfera da 1994 o da 2001.
Berlusconi è già stato ‘avvertito’: quando ha contribuito a far perdere a Renzi il referendum, sulle riforma costituzionali che erano state scritte da Bruxelles, i poteri forti ‘europeisti’ hanno lanciato un messaggio preciso: l’inizio di una ‘scalata’ alle sue aziende.
Della serie: stavolta ha disobbedito e te la facciamo passare, ma d’ora in poi o ‘trotti’ come diciamo noi, altrimenti…
E infatti l’ex Cavaliere, in questa campagna elettorale, non fa altro che ripetere che il suo candidato alla guida del Governo italiano, nel caso di una sua vittoria “è molto gradito all’Europa”
Della serie: se vinco vi do in ‘pasto’ l’Italia, ma lasciate in pace le mie aziende…
Va da sé che, in questo quadro deprimente, l’unica forza politica che può avviare un cambiamento, non ‘inginocchiandosi’ alla UE delle multinazionali è il Movimento 5 Stelle.
In politica contano i segnali. Luigi Di Maio sta mediando bene. Ha detto che, se il Movimento 5 Stelle vincerà le elezioni, non ci sarà un’uscita dall’euro. Ma non ha mai parlato di resa incondizionata all’Europa dell’euro, come hanno fatto e fanno Renzi, Gentiloni e Berlusconi.
Anzi, i grillini hanno candidato in Basilicata il leader di GranoSalus, Saverio De Bonis. E’ un segnale preciso: su alcuni punti – in questo caso sull’agro-alimentare – i grillini, a differenza del centrodestra e del centrosinistra (che nel Parlamento europeo e in Italia sono schierati in favore del CETA), non sono disposti a sacrificare l’agricoltura e l’agro-alimentare per fare posto ai prodotti-immondizia che spesso arrivano da chissà dove.
La candidatura di De Bonis è importante. E’ un riconoscimento a un’associazione, GranoSalus che, insieme con I Nuovi Vespri, porta avanti una battaglia in favore del grano duro del Mezzogiorno d’Italia. E, soprattutto, in favore dei consumatori, oggi costretti a sorbirsi una pasta industriale fatta in parte con grano duro non italiano di incerta qualità.
Nei fatti – e non con le parole demagogiche di Renzi, Berlusconi, Gentiloni e Salvini – il Movimento 5 Stelle è l’unica forza politica che difende gli interessi reali del Sud e che si oppone alla follia del CETA (grano duro canadese pieno di glifosato e micotossine, ma anche altre possibili importazioni, sempre in danno dell’agricoltura e dell’agro-industria italiana).
Di fatto, il Movimento 5 Stelle mette in discussione il paradigma di una UE liberista, controllata dalle multinazionali, che rischia di condannare l’Italia al declino economico e sociale. Cosa, questa segnalata dall’economista Antonio Piraino sulla propria pagina facebook.
Foto tratta da investireoggi.it
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