La Sicilia rinascerà alla faccia di Crocetta, Raciti, Cracolici, Alfano, D’Alia, Miccichè e ascari vari

13 agosto 2017

Anche nella “Storia della Sicilia antica” lo storico Mose I. Finley individua gli ascari: erano gli “intermediari”, cioè “i maggiorenti locali, sia ‘indigeni’ sia immigrati”, che aiutavano i dominatori a vessare i Siciliani “esercitando i poteri amministrativi e di polizia” e partecipando “in misura notevole ai profitti”. Proprio quello che fanno oggi gli esponenti siciliani del PD e di Forza Italia. E’ per questo che noi Siciliani dobbiamo cacciarli via  

Nella sua “Storia della Sicilia antica” Mose I. Finley scrive:

“Dalla fine del terzo secolo a.C., quando i Romani ridussero a provincia l’intera isola, la dominazione straniera fu la regola, tranne che per brevi periodi di indipendenza nel Medioevo. Questo comportò in un modo o nell’altro vantaggi materiali per la potenza straniera ai danni dei siciliani. Non è possibile valutare le quantità di prodotti e di denaro che sono stati sottratti alla Sicilia nei passati 2000 anni sotto forma di affitti, imposte, e anche semplici ruberie, ma le cifre occasionali di cui casualmente disponiamo sono abbastanza cospicue da spiegare la persistente propensione degli stranieri a prendere le armi per impadronirsi dell’isola. Questo atteggiamento parassitico non poté non procurare (sia pure in modo lento ed intermittente) gravi danni alle campagne e agli abitanti. Non a tutti, però, è necessario aggiungere, poiché il tipo di dominazione tradizionalmente affermatosi in Sicilia ha utilizzato come intermediari i maggiorenti locali, sia ‘indigeni’ sia immigrati, che, in cambio dei servigi resi esercitando i poteri amministrativi e di polizia, parteciparono in misura notevole ai profitti. Impoverimento massiccio,ribellione e violenza sono diventati perciò il secondo tema dominante della storia siciliana”.

Dunque, sfruttamento attraverso intermediari “indigeni”. La storia purtroppo non si è fermata, la storia è sempre la stessa. Anche oggi la Sicilia ha un dominatore che è lo Stato italiano il quale, oggi, indossa i panni dell’invasore e del conquistatore di ieri, lo Stato sabaudo, e viene dominata ancora e sempre con l’antico e collaudato sistema degli intermediari indigeni.

Lo Stato italiano, dall’annessione (al Piemonte non dimentichiamolo mai!) a oggi ha affidato ed affida ad una congrega di politicanti in vendita il controllo dell’Isola con il patto, non scritto ma non per questo meno cogente, di rispondere sempre comunque agli interessi romani e di anteporre gli interessi esterni all’isola agli interessi della Sicilia. E’ un patto che stipulano tutti. Da destra a sinistra, tutti si comportano allo stesso modo: ne abbiamo avuto le prove con questa miserevole prima volta del centrosinistra al potere a seguito delle ultime elezioni regionali. La subordinazione di Rosario Crocetta e del PD a Roma è stata persino imbarazzante.

Dunque, impoverimento massiccio, sia pure in modo lento. Un esempio per tutti: il rendimento di cereali oggi in Sicilia non supera quello dell’epoca dei Romani, forse è addirittura inferiore. E poi, la Sicilia antica era un Paese ricco di foreste specie nelle regioni montagnose. Oggi la drastica riduzione delle superficie boschiva ha causato una trasformazione dell’ecologia, nella piovosità, con effetti devastanti sulle risorse idriche. Molte sorgenti sono scomparse e nessuno di suoi fiumi è più navigabile.

Dunque, ribellione e violenza. Oggi quella macchina di costruzione di consenso e di sfruttamento sistematico, complice una incapacità politica di livello nazionale, è fortemente a rischio. Il sistema di dominio che lasciava libera la dialettica politica in Sicilia purché, quale che fosse il vincitore, non disubbidisse ai diktat romani, vacilla. Nessuna delle due coalizioni, avendo raggiunto ognuna per proprio conto lo stesso fondo di abiezione politica, ha la certezza di vincere alle prossime elezioni di novembre.

Da qui una revisione dolorosa degli schemi collaudati, delle vecchie alleanze, nel dubbio tremendo che, se riproposte, non funzioneranno, e nella certezza che ogni nuovo tentativo porti lontano.

Da qui la ricerca affannosa di trovare un’improbabile ma necessaria strada comune alle due (finte) parti politiche, nella speranza che  unendo tutte le debolezze e gettandosi tutti nello stesso bidone dell’indifferenziata, si possa ancora una volta vincere.

Ecco, di fronte al baratro, di fronte alla risorgenza e alla ripartenza del movimento sicilianista, quello dei veri siciliani, l’ultimo disperato balletto trasformistico. Indegni di raccogliersi sotto i simboli che hanno, a scelta, sfruttato o disonorato, tutte le vecchie mutande della politica nostrana si riscoprono strenui difensori di quella stessa Sicilia che hanno consegnato ai loro padroni, a cominciare dal più miserabile e squallido personaggio che mai abbia posato il suo culo sulla poltrona più alta di Palazzo d’Orleans.

A seguire, tutti i vecchi tossicodipendenti associati che vorrebbero nascondere i propri nasi aspiratori in mezzo a liste civiche, loro che di civismo non sanno nulla. Chiudono la trista processione i vecchi politici genitori di giovinette e giovani da prostituire alla politica e per i quali intravedono un futuro fatto di (non oso dirlo) lavoro.

Nessuna paura però, signor Stato: la nostra sarà una rivoluzione tranquilla, quello che spetta ai siciliani i siciliani l‘otterranno, senza ribellioni né violenze. Sta scritto infatti tra gli istituti di garanzia del diritto internazionale che se uno Stato, con azioni deliberatamente omissive e repressive (ed è il caso della Sicilia e lo possiamo dimostrare) non consente ad una sua parte e alla popolazione che vi abita di perseguire raggiungere e dispiegare la propria realizzazione economica, sociale, culturale, identitaria e politica all’interno dello Stato stesso, ebbene questa parte ha diritto di vedersi riconosciuta la propria indipendenza. E così sarà.

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