Con l’attuale legge elettorale, con tanti candidati alla presidenza della Regione e con tante liste, il futuro governatore non avrà una maggioranza. E, forse, potrebbe avere un presidente dell’Ars non amico. E problemi anche nelle commissioni legislative. Il grillino Giancarlo Cancelleri, se eletto a Palazzo d’Orleans (ma il discorso potrebbe riguardare anche Nello Musumeci), si ritroverebbe con una Regione in sostanziale default, con Roma contro e con Sala d’Ercole ingovernabile…
A giudicare dalle dichiarazioni di tanti esponenti politici e dai commenti che si leggono qua e là, sembra che la confusione e l’indecisione continuino a regnare sovrane sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra della Sicilia. Entrambi gli schieramenti non hanno ancora deciso come presentarsi alle elezioni regionali del 5 novembre, quando i Siciliani dovranno eleggere il nuovo presidente della Regione e la nuova Assemblea regionale siciliana. Ma attenzione: quanto sta succedendo nella vecchia politica siciliana potrebbe essere una strategia per mettere in difficoltà il futuro Governo, soprattutto se a vincere le elezioni saranno i grillini.
Ovviamente, la nostra analisi politica ed elettorale parte dal presupposto che le elezioni regionali si svolgano correttamente, senza ‘intoppi’ nello spoglio delle schede. Perché se anche nello spoglio delle schede per le elezioni regionali si dovesse verificare quello che si è verificato alle elezioni comunali di Palermo, beh, analisi e previsioni salterebbero.
Cominciamo con lo scenario odierno.
Ieri, Nello Musumeci, esponente storico della destra siciliana, ha detto che il tempo è scaduto e che lui è candidato alla guida della Sicilia. Per questo blog non è una novità, visto che abbiamo scritto non sappiamo più quante volte che Musumeci è in campagna elettorale dal novembre dello scorso anno. E che molto difficilmente si ritirerà.
I suoi possibili alleati – o meglio, quelli che potrebbero essere i suoi alleati – nicchiano. Certo, mezza Forza Italia è già con lui. Non si tratta, però, del partito, ma di singoli parlamentari e dirigenti vari che hanno già scelto Musumeci.
Non è così per Gianfranco Miccichè, commissario-coordinatore dei berlusconiani siciliani, che ancora non decide. Se a Roma Berlusconi sembra deciso a dire addio al suo ‘alleato’ Renzi, ormai in caduta libera, in Sicilia Miccichè non può sciogliere i nodi, perché una parte del suo partito – soprattutto a Catania e dintorni – non sembra molto convinta di appoggiare Musumeci.
Due dirigenti storici della destra catanese – l’europarlamentare Salvo Pogliese e il parlamentare nazionale Basilio Catanoso – riflettono. Entrambi, come Musumeci, provengono dall’esperienza del Movimento Sociale Destra nazionale e poi da Alleanza nazionale. Ed è da allora che i tre – Pogliese e Catanoso da una parte, e Musumeci dall’altra parte – non vanno molto d’accordo.
L’unità del centrodestra siciliano non è minata solo dai vecchi dissapori legati alla tradizione della destra catanese. Anche i centristi tradizionalmente legati al centrodestra – il Cantiere Popolare di Saverio Romano e Toto Cordaro in testa – stanno valutando la possibilità di giocare in proprio la partita.
Conti alla mano, i candidati alla presidenza della Regione potrebbero essere da sei a sette. Se lo scenario sarà questo – e tutto lo lascerebbe pensare – si vincerebbe con il 25-26% dei voti (alle elezioni regionali non c’è ballottaggio: vince il candidato che prende più voti). In questo caso – per citare un esempio – anche l’ex rettore di Palermo, Roberto Lagalla (che venerdì prossimo, cioè dopodomani, terrà una conferenza stampa), appoggiato dai centristi (compresi il Ministro Angelino Alfano e i suoi), potrebbe giocarsi la sua partita.
Quello che sembra frutto di divisioni – soprattutto all’interno del centrodestra – potrebbe essere, come accennato all’inizio, una strategia di tutta la vecchia politica siciliana per ‘ingabbiare’ l’eventuale vincitore. Proviamo a illustrare tale ipotesi.
In questo momento la Regione siciliana è praticamente in default: controllato, ma pur sempre default. Nel senso che nella Finanziaria 2017 ci sono capitoli finanziati con soldi che non ci sono (e che da qui a fine anno non si dovrebbero materializzare).
Già stamattina il titolare di questo blog, Franco Busalacchi, ha raccontato che i soldi per gli operai della Forestale, in buona parte, dipendono da entrate che, allo stato attuale dei fatti, non ci sono (QUI L’ARTICOLO DI BUSALACCHI).
Lo stesso discorso riguarda altri capitoli della Finanziaria regionale di quest’anno: per esempio, i Comuni e le ex Province (i Comuni, magari tra qualche mese, potrebbero prendere un sesto o un settimo del Fondo regionale per le Autonomie locali. una cinquantina di milioni di euro circa che gli basterebbero per tirare a campare fino alle elezioni regionali).
Del resto, la Corte dei Conti, in sede di parifica del Bilancio consuntivo 2016 ha lanciato l’allarme, sottolineando il fatto che alcune sezioni del Bilancio regionale presentano problemi, con riferimento ai rischi legati alle spese legali, alla copertura di potenziali passività legate ai derivati e eventuali perdite delle società controllate dalla Regione. Per non parlare dei già citati capitoli della Finanziaria dove sono stati appostate risorse finanziarie che non si sono.
Cosa vogliamo dire? Che chi, a novembre, arriverà a Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione siciliana, si ritroverà seduto su una polveriera sociale.
L’ANCI Sicilia (Associazione nazionale Comuni Italiani), che oggi tace, potrebbe cominciare a chiedere quello che per ora non chiede: i 340 milioni di euro del Fondo per le Autonomie locali, i circa 180 milioni di euro per pagare i precari e i 115 milioni di euro che servono ai Comuni per pagare le rate dei mutui.
Tra l’altro, in questo momento i Comuni non possono approvare i Bilanci preventivi proprio perché sono senza soldi.
Le ex Province – che oggi, tutto sommato, rumoreggiano poco – dopo le elezioni regionali potrebbero cominciare a farsi sentire, anche perché i 6 mila e 500 dipendenti di queste nove amministrazioni pubbliche esistono ancora e bisognerà pagargli gli stipendi (compresi gli arretrati).
Poi ci sono gli operai della Forestale: i circa 10 mila già avviati al lavoro (151-isti e 101-isti) e gli altri 10 mila che dovrebbero essere avviati al lavoro a settembre (78-isti): tutta gente che dovrà essere pagata dal Governo regionale che arriverà a novembre.
Poi ci sono le società e gli enti regionali, altri soggetti lasciati senza soldi e con retribuzioni (per il personale) arretrate da pagare.
Non solo. Il Governo regionale che si insedierà a novembre se la dovrà vedere, per i successivi quattro-cinque mesi, con un Governo nazionale che, negli ultimi anni, ha sistematicamente penalizzato la Regione siciliana, trattenendo alla fonte entrate che sono di pertinenza regionale.
Insomma, se il presidente della Regione dovesse essere il grillino Giancarlo Cancelleri è certo che non avrà vita facile: non solo eredità una Regione in sostanziale default, ma avrà contro anche il Governo nazionale. Compresa la ‘grande informazione’ che gli riserverà il trattamento che ha riservato a Roma alla sindaca grillina, Virginia Raggi.
A nulla servirà dire che il Governo regionale di Cancelleri ha ereditato i disastri dal Governo precedente: come per la sindaca di Roma, Virginia Raggi, diranno che i grillini siciliani non sanno governare e bla bla bla.
Lo stesso trattamento – attenzione – potrebbe essere riservato a Nello Musumeci nel caso in cui, quest’ultimo, dovesse vincere le elezioni. Magari Musumeci avrà più esperienza di Cancelleri e si difenderà meglio: ma anche a lui renderebbero la vita difficile, perché né Forza Italia versione Miccichè, né i centristi lo amano.
In questo scenario Forza Italia potrebbe presentare un proprio candidato: e si avrebbero, così, tre candidati e tre liste di centrodestra. Del resto, con l’attuale legge elettorale – e con le divisioni e la molteplicità di candidati – un fatto è quasi matematico: nessun presidente eletto riuscirà ad avere la maggioranza a Sala d’Ercole.
Lo stesso Movimento 5 Stelle – che sembra il più accreditato – dovrebbe conquistare la metà più uno dei 70 seggi della prossima Assemblea regionale.
Con l’attuale legge elettorale, più liste ci saranno in grado di raggiungere il quorum del 5%, meno seggi avrà a disposizione, in Aula, il vincitore delle elezioni.
Lo stesso discorso vale per il centrosinistra, con la sola eccezione del PD, partito che ha tutto da perdere da una frammentazione delle liste.
Il PD siciliano è in grande affanno, perché è considerato il principale responsabile dei disastri provocati dalla presidenza di Rosario Crocetta.
La presenza della lista dei territori sponsorizzata da Leoluca Orlando (in pratica, sindaci ed ex sindaci candidati) rischia di penalizzare il Partito Democratico sia nel caso in cui gli esponenti di questo partito dovessero decidere – come hanno fatto alle elezioni comunali di Palermo – di ‘nascondersi’ dentro questo ‘contenitore civico’, sia nel caso in cui dovessero decidere di restare fuori e di presentarsi con il proprio simbolo.
Senza il proprio simbolo, bene che andrà, gli esponenti del Partito democratico dimezzerebbero la propria rappresentanza; con il simbolo del PD sarebbero più visibili, ma non per questo più forti: anzi.
Il vero problema per Orlando – e soprattutto per il PD – è l’eventuale presenza di un candidato alla presidenza della Regione alternativo al PD e di una relativa lista alternativa al PD.
Alla luce dei risultati più che deludenti del Governo Crocetta, tanti elettori di sinistra della Sicilia potrebbero decidere di votare sia il candidato alla presidenza della Regione alternativo al PD, sia la stessa lista alternativa al PD.
A conti fatti, una vera lista di sinistra, alternativa al PD e ai giochi di ‘prestigio’ di Leoluca Orlando toglierebbe voti sia alla lista dei territori di Orlando, sia al PD.
La presenza di una lista alternativa al Partito Democratico (la decisione dovrebbe maturare sabato prossimo a Palermo) potrebbe anche guadagnare l’appoggio di Articolo 1 e di Sinistra Italiana, due formazioni che, in presenza di un candidato alternativo al PD, molto difficilmente resterebbero con i vari Cracolici, Raciti, Marziano e compagnia bella, perché andrebbero incontro a una sconfitta.
E’ probabile che i dirigenti di Articolo 1 provino a convincere la Sinistra alternativa al PD di fare una lista unitaria con lo stesso Partito Democratico: ma questo snaturerebbe l’idea stessa di una Sinistra siciliana alternativa al renzismo.
Va da sé che, con queste divisioni, non solo il futuro presidente della Regione non avrà una maggioranza a Sala d’Ercole, ma non avrà nemmeno la certezza di un presidente dell’Ars vicino alle proprie posizioni.
Co la presenza di tante liste, centrodestra e centrosinistra potrebbero giocare insieme per accaparrarsi la presidenza del Parlamento dell’Isola e, magari, il controllo delle commissioni legislative. Così un eventuale governo regionale grillino dovrebbe vedersela con il sostanziale default della Regione, con un Governo nazionale ‘nemico’ e persino con un’Assemblea regionale messa di traverso.
Che fare per scongiurare un simile scenario? La ‘ricetta’ ce l’hanno i Siciliani: sia quelli che sono andati a votare cinque anni fa, sia – soprattutto – quelli che cinque anni fa non sono andati a votare. E la ricetta è una sola: andare a votare in massa e non votare più per i partiti politici nazionali: basta PD, basta Forza Italia, basta UDC e basta anche alle operazioni trasformiste di Leoluca Orlando che servono soltanto a ‘nascondere’, sotto l’ombrello del ‘civismo’, gli impresentabili della vecchia politica!
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