Ci sono alcuni candidati alla guida della Sicilia che sono già in campagna elettorale. E ce ne sono altri che sono ancora ‘appesi’ a decisioni di partito. E’ il caso di centrodestra e centrosinistra. Dove le discussioni sono ancora in alto mare. E la legge elettorale? E’ sempre la stessa. Adattata al passaggio da 90 a 70 deputati. Con un listino di sei parlamentari che, con una certezza quasi matematica, non garantirà al vincitore la maggioranza all’Ars
Cinque, sei, sette, forse otto. Tanti potrebbero essere i candidati alla presidenza della Regione siciliana. Noi ogni tanto facciamo il punto della situazione. In realtà, il 13 luglio, visto che si voterà il prossimo 5 novembre, i ‘giochi’, in tutti gli schieramenti politici dovrebbero essere quasi fatti. Invece… Invece due schieramenti politici – centrodestra e centrosinistra – ad esempio, sono ancora nella fase dell’indecisione.
Una ‘ricognizione’ tra i candidati alla guida della Sicilia deve partire dai nomi certi.
Il primo candidato certo alla presidenza della Regione siciliana è l’editore di questo blog, Franco Busalacchi, già dirigente generale della Regione, profondo conoscitore della ‘macchina’ amministrativa regionale e della storia dell’Autonomia siciliana.
Ad appoggiare Busalacchi sono vari gruppi. A cominciare dai Sovranisti, ovvero i cittadini che si battono per il ritorno alla Costituzione italiana del 1948 e per ridare all’Italia la sovranità monetaria ceduta a un’Unione Europea che, specie nei riguardi dell’Italia, si dimostra ogni giorno sempre più avara (vedi la vicenda dei migranti che debbono sbarcare – e restare – tutti in Italia).
Coordinatore dei Sovranisti siciliani – collegati mediante un Patto con i Sovranisti costituzionali di Moreno Pasquinelli – è Beppe De Santis, già sindacalista della CGIL di Trentin e noto esperto di sviluppo economico locale.
Nel ‘cartello’ in sostegno di Busalacchi c’è anche il gruppo di Noi Siciliani di Erasmo Vecchio, leader storico dei sicilianisti, esperto di marketing.
Un altro movimento – d’ispirazione cristiana e socialista – che sosterrà Busalacchi è Forza del Popolo dell’avvocato Lillo Massimiliano Musso.
Poi, sempre con Busalacchi, c’è il movimento Sicilia Unita di Remo Pulcini, dirigente tecnico della sanità.
Un secondo candidato alla presidenza della Regione è Giancarlo Cancelleri, designato nei giorni scorsi dalle ‘regionarie’ del Movimento 5 Stelle. Da sempre vicino a Beppe Grillo, è considerato il leader dell’area ‘moderata’ del Movimento. I grillini andranno da soli, com’è nel loro stile. Anche se, questa volta, lo stesso Cancelleri ha aperto ai movimenti così detti “civici”.
Un terzo candidato sicuro alla presidenza della Regione siciliana è Alfio Di Costa, ingegnere, leader del Movimento Insieme si Può.
Un quarto candidato certo dovrebbe essere l’avvocato Roberto La Rosa, che ‘correrebbe’ per il movimento Siciliani Liberi.
Un quinto candidato che noi consideriamo certo è Nello Musumeci, alle spalle una storia nel Movimento Sociale destra nazionale, leader in Sicilia della Destra sociale, oggi fondatore e leader di #DiventeràBellissima, movimento aperto, che prova ad allargare i confini della politica tradizionale.
Musumeci è un esponente di centrodestra. Ma questo schieramento politico,almeno fino ad ora, non ne vuole sapere di appoggiarlo. Il riferimento è al coordinatore di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Miccichè, che ha qualche difficoltà a controllare il suo partito, e al Cantiere Popolare di Saverio Romano e Toto Cordaro.
Ma anche senza l’appoggio degli azzurri e dei centristi, da ottobre dello scorso anno ad oggi Musumeci ha fatto strada: in pratica, è in campagna elettorale da tempo e, secondo il parlamentare regionale di Forza Italia, Vincenzo Figuccia, non si tirerà indietro (qui l’intervista a Figuccia che comunque, nel centrodestra siciliano, non è l’unico a pensarla così).
Sul centrodestra si dovrebbe sapere qualcosa in più la prossima settimana. Anche se la sensazione è quella di divisioni politiche difficili da superare. Se, come cinque anni fa, il centrodestra siciliano dovesse arrivare alle elezioni diviso, la scelta del secondo candidato, a quanto si sussurra, cadrebbe su un catanese per provare a indebolire Musumeci nella sua provincia (cioè Catania).
In questo caso i nomi che circolano sono quelli dell’eurodeputato Giovanni La Via, o del parlamentare nazionale, Basilio Catanoso. Si è parlato anche di Barbara Cittadini, nota imprenditrice della sanità: ma il suo nome non circola con grande convinzione. Poi, si sa, in politica tutto è possibile.
Un centrodestra spaccato come cinque anni fa produrrebbe un sesto candidato alla presidenza della Regione.
Tutto è in movimento, insomma. Una quindicina di giorni fa, dopo le elezioni comunali di Palermo, Leoluca Orlando, appena rieletto sindaco del capoluogo dell’Isola, sembrava aver preso le redini del centrosinistra siciliano. E’ stato lui a gestire la non molto fortunata richiesta di candidatura alla guida della Sicilia a Piero Grasso, già ai vertici della Procura nazionale Antimafia e già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, da quasi cinque anni presidente del Senato.
Ma Grasso ha rifiutato. Al presidente dell’assemblea del Senato Orlando pensava di offrire cinque liste: 1) la lista del candidato presidente della Regione; 2) la lista del PD; 3) la lista dei ‘Territori’ (un centinaio di sindaci ed ex sindaci); 4) una lista di sinistra alternativa al PD; 5) una lista dei centristi di Alternativa Popolare di Angelino Alfano e Giampiero D’Alia.
Il progetto del sindaco di Palermo, però, si va sfaldando. Orlando ha convocato i possibili protagonisti di queste cinque liste. Bene che gli vada, all’appuntamento fissato per lunedì prossimo, si presenteranno solo i rappresentanti di tre liste.
La Sinistra alternativa al PD – proprio perché alternativa al Partito Democratico – non seguirà Orlando. L’ala movimentista della sinistra siciliana – i vari Sonia Spallitta, Saverio Cipriano, Renato Costa – si sono pronunciati per un candidato alla presidenza della Regione alternativo al PD: e l’hanno trovato: si tratta dell’editore Ottavio Navarra, già parlamentare nazionale e regionale della sinistra.
Ottavio Navarra potrebbe essere il settimo candidato alla presidenza della Regione. Ma noi non ne siamo sicuri al cento per cento, perché a nostro avviso il PD siciliano, oggi in grande affanno, farà di tutto per impedire la presenza di una lista alla propria sinistra.
Il motivo è semplice: dopo cinque anni di Governo Crocetta, anni ‘ricchi’ disastri politici, amministrativi, economici, finanziari, sociali e – con gli incendi di questi giorni – anche ambientali, una lista alla sinistra del PD ‘rischierebbe’ di togliere un sacco di voti al PD e, persino, di fare andare a votare almeno una parte del ‘popolo’ della sinistra che non si reca più alle urne perché molto infastidito dal PD renziano e siciliano.
A sinistra – ma non si capisce in quale area della sinistra – ci dovrebbero essere pure Articolo 1 di Bersani e Sinistra italiana. Difficile – lo ribadiamo – capire dove si collocheranno questi due movimenti, sembra in via di fusione.
Da quel poco che si capisce – almeno in questa fase – non sembrano gradire molto la candidatura di Navarra. Mentre quando si è profilata la possibile candidatura di Grasso, gli esponenti di Articolo 1 hanno subito detto di essere d’accordo. La dimostrazione che Articolo 1 – benché nato da una scissione dal PD – almeno in Sicilia, non sembra molto alternativo allo stesso Partito Democratico…
Sempre a giudicare dal quel poco che si capisce, sembra che tra Articolo 1 e Sinistra Italiana il dibattito sia in corso. Alla fine potrebbe anche prevalere una linea alternativa al PD.
In ogni caso, dalla ‘macedonia’ orlandiana a base di sindaci e PD un candidato alla presidenza della Regione dovrebbe venire fuori: e sarebbe l’ottavo candidato. E, infatti, è venuto fuori il nome di Caterina Chinnici, figlia del giudice Rocco Chinnici, già assessore del Governo regionale di Raffaele Lombardo, oggi eurodeputata del PD. E’ una vera candidatura o un nome tirato fuori per prendere tempo? Chissà.
Dalla rete orlandiana si è sganciata anche Alternativa popolare. Sulle possibili alleanze dell’accoppiata Alfano-D’Alia, il parlamentare nazionale Dore Misuraca, vicino al Ministro degli Esteri, è stato molto chiaro in un post su facebook:
“Non saremo presenti alla riunione convocata dal sindaco Orlando, pur ribadendo stima e apprezzamento per lui. Abbiamo sostenuto Orlando e il cosiddetto modello Palermo. Ma Palermo non è la Sicilia intera e noi non facciamo parte della coalizione di centrosinistra, così come non abbiamo partecipato a un tavolo del centrodestra. Abbiamo un nostro programma sul quale intendiamo costruire una coalizione. Lo ufficializzeremo a Taormina, domenica 23 Luglio, e su quello misureremo le alleanze e la candidatura alla Presidenza per la quale riteniamo di avere energie da spendere al servizio della Sicilia. Dall’adesione al programma vedremo chi vorrà stare con noi”.
Due giorni prima, il 21 luglio, è prevista una riunione del Cantiere Popolare.
Mentre Pierferdinando Casini terrà una riunione a Catania.
Si muove anche un altro centrista, l’ex rettore dell’università di Palermo, Roberto Lagalla, già assessore alla Sanità in uno dei Governi di Totò Cuffaro. Su facebook Lagalla annuncia:
“Il viaggio prosegue, senza sosta, per restituire credibilità alla #Sicilia. Ci vediamo ad #Enna con IdeaSicilia, sabato 15 luglio, ore 17. #ideasicilia #hounidea2017”. Appuntamento al Federico II Palace Hotel di Enna bassa.
Lagalla potrebbe essere il nono candidato alla presidenza della Regione.
Non chiedeteci con chi si muove Lagalla: di certo – così ci è stato riferito – non è con i centristi del Cantiere Popolare.
Se, però, li mettiamo tutti insieme, gli ex democristiani fanno ‘massa critica’: esprimeranno un candidato anche loro alternativo al centrodestra e al centrosinistra? O cercheranno un accordo con uno dei due poli? O con entrambi in funzione anti-grillina?
Un fatto è certo: con sette-otto candidati (Lagalla potrebbe essere addirittura il nono candidato alla presidenza della Regione) si potrebbe vincere con meno del 20% dei consensi, o giù di lì (le elezioni regionali siciliane non prevedono ballottaggio: vince chi prende più voti). Ciò significa che si potrebbe vincere con 500 mila 550 mila voti (qualcosa in più se dovesse aumentare il numero degli elettori che si recheranno alle urne rispetto a cinque anni fa, quando andò a votare meno del 50% degli elettori aventi diritto).
In tutto questo abbiamo tenuto fuori il presidente della Regione uscente, Rosario Crocetta. Lui dice che sarà ricandidato. Sostiene di aver fatto bene, di aver ‘risanato’ il Bilancio della Regione, di aver fatto aumentare il PIL e altro ancora.
Crocetta ha una concezione un po’ ‘dadaista’ della politica: insomma, potrebbe anche essere convinto di quello che dice. L’unico dato certo, finora, è che non si è dimesso. E le sua dimissioni sono la condizione necessaria per poter fare candidare, ad esempio, un sindaco in carica che non si è dimesso 180 giorni prima.
Va detto che, vista dalla sua parte, un po’ di ragione ce l’ha anche lui. In quasi cinque anni – soprattutto negli ultimi tre anni – ha fatto tutto quello che gli è stato imposto dal PD. Ha anche accettato una sorta di ‘commissario’ imposto da Renzi: Alessandro Baccei alla guida dell’assessorato all’Economia.
Tutto le scelte economiche e finanziarie che hanno penalizzato la Sicilia le ha volute il PD. Ed ora i vertici del Partito Democratico chiedono “discontinuità” rispetto a lui. Cosa, questa, che a Crocetta non va proprio giù.
Non è improbabile non solo che non si dimetta, ma che si ricandidi alla guida della Sicilia. A meno che il PD non gli offra qualcosa di concreto.
Questo, grosso modo, lo scenario di oggi. E poi? Poi c’è il voto.
L’Ars non ha approvato una nuova legge elettorale. Morale: si voterà con la vecchia legge adattata al passaggio da 90 a 70 deputati.
Saranno disponibili 62 seggi, più il presidente della Regione che risulterà eletto, più i sei del listino, più il secondo classificato nella ‘corsa’ per Palazzo d’Orleans.
Non si può non notare l’inutilità di un listino che, con molta probabilità, non garantirà la maggioranza in Aula al presidente eletto, ma servirà soltanto a regalare sei parlamentari alla lista vincente, o alla coalizione vincente. Togliendoli ai candidati che, invece, si sono impegnati nell’agone elettorale. Ma tant’è.
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