Il vice presidente dell’Associazione dei comuni siciliani plaude all’iniziativa di Chiara Appendino che chiede indietro al Governo 61 milioni di Ici. “Un capitolo da affrontare subito anche qui, ma da noi i Comuni sono già nel caos, vivono di scoperture, i servizi sono in tilt”. Appello alla politica: “Fermatevi o sarà troppo tardi”
Sta facendo notizia la determinazione con cui, Chiara Appendino, sindaco M5S di Torino, si sta battendo contro il Governo nazionale per fare avere alla sua città quanto dovuto. Ovvero 61 milioni di euro di trasferimenti dal fondo perequativo Imu-Ici che spettano al capoluogo piemontese.
“A Torino il Comune ha una situazione di cassa molto difficile. Ritengo inaccettabile che i Comuni si debbano sobbarcare l’incapacità di un governo, in questo caso il governo Gentiloni, che non trova le risorse che sono loro dovute.- ha dichiarato il sindaco torinese- Non si può pensare di stare attenti alle fasce deboli e ai servizi essenziali, se i Comuni non sono rimessi al centro, anche dal punto di vista del supporto economico”.
E per raggiungere il suo obiettivo, Appendino ha annunciato che ricorrerà alle vie legali: una ingiunzione, come ha già fatto il Comune di Lecce, che è riuscito a recuperare 16 milioni. Via percorribile grazie a due sentenze, del Tar Lazio (n. 3804/2014) e del Consiglio di Stato (n. 5008/2015) che danno ragione ai Comuni e bocciano il metodo con il quale vennero attribuite le risorse destinate ai Comuni, “con particolare riferimento alla differenza Ici-Imu e all’inclusione nella base imponibile Imu degli immobili di proprietà comunale che non producono alcun gettito”.
Non è solo Torino ad avere questo problema: “Tutti i comuni italiani – chi più e chi meno – vantano degli arretrati o potrebbero accampare ragioni per chiedere una revisione dei conteggi. Da solo il contenzioso su Ici-Imu vale almeno 600 milioni di euro” ha denunciato il sindaco di Ascoli Piceno, Guido Castelli. 600 milioni di euro da dividere tra i Comuni, tutti in sofferenza, che il Governo nazionale si tiene nel cassetto.
E in Sicilia?
“Ha fatto benissimo il sindaco di Torino a intraprendere questa battaglia che è sostenuta da tutta l’Anci nazionale. – dice ai Nuovi Vespri, Paolo Amenta, vice presidente dell’Anci Sicilia- Certamente il caso interessa anche i Comuni siciliani, ma l’analisi va fatta comune per comune. La sua iniziativa offre uno spaccato di riflessione e un input all’azione. Ma qui il problema va ricercato alla radice nel mancato accordo tra la Regione e lo Stato sul federalismo comunale che avrebbe consentito ai Comuni siciliani di sopperire in parte ai tagli furiosi che hanno subito negli ultimi anni”.
Tagli che equivalgono a 600 milioni in cinque anni. Ecco perché i Comuni siciliani sono in dissesto. Amara realtà certificata anche dalla Corte dei Conti.
Per quanto riguarda il mancato accordo sul federalismo comunale, non c’è da stupirsi. Questo Governo regionale si è mostrato nemico di ogni prospettiva federale, di ogni prospettiva di riconoscimento di prerogative territoriali e diritti statutari (lo Statuto è il prototipo del modello federale, tant’ è che Veento e Lombardia ce lo invidiano e che le due regioni vogliono un referendum pro Autonomia). E’ andato in direzione opposta,facendosi garante del centralismo romano. Emblematico il caso della rinuncia ai contenziosi con lo Stato, ovvero a quei soldi che la Sicilia avrebbe potuto incassare grazie ai pronunciamenti favorevoli della Corte Costituzionale. Praticamente, in Sicilia, il Governo ha rinunciato a qualsiasi possibilità di alleggerire la crisi di liquidità e dare ossigeno ai Comuni. Particolare, anche questo, non sfuggito ai magistrati contabili che nella delibera della Sezione di controllo depositata lo scorso 23 Dicembre, a proposito di spettanze erariali, parla di entrate che sono state trattenute, in maniera unilaterale, dallo Stato “privando conseguentemente la Regione della liquidità necessaria per fare fronte alla chiusura del programma comunitario e ai pagamenti della PP.AA”.
In più di una occasione la Corte dei Conti ha parlato di uno Stato che stressa i conti della Sicilia, ma niente, il Governo regionale, evidentemente, non è d’accordo.
Quindi, ricapitolando: tagli del Governo nazionale e tagli del Governo regionale che avrebbe potuto sopperire ai mancati trasferimenti statali, ma non lo ha fatto. Al contrario, a dettare le politiche economiche, è stato ed è un assessore inviato dal Governo nazionale che di certo tra i suoi scopi non aveva e non ha quello di battagliare con Roma. Parliamo di Alessandro Baccei:
“Baccei ha fatto il lavoro che era stato chiamato a fare. E’ giusto fare quadrare i conti del bilancio regionale, ma il modello Grecia è sbagliato. Lui ha tagliato tutto quello che poteva tagliare senza tenere conto di nulla perché questo era il suo mandato.- dice Amenta- Spettava alla politica fare in modo che il risanamento non equivalesse al sacrificio dei i servizi essenziali ai cittadini ed è quello che avviene in Sicilia dove tra tagli e difficoltà di riscossione dovuti all’incremento della disoccupazione, i Comuni sono ridotti a vivere di scoperture bancarie il che vuol dire interessi passivi enormi”.
“La situazione è già fuori controllo, tutti i settori sono fuori controllo, rifiuti, acqua, trasporti, scuole, strade. Tutto. Per questo dico che bisogna affrontare la situazione nel suo complesso, non occuparsi di volta in volta di un caso”.
Come ad esempio, il caso disabili.
“Allucinante la proposta del governatore di fare ricadere sui Comuni l’emergenza con la proposta del contributo di 30 milioni. Consideri -sottolinea Amenta- che già abbiamo l’enorme problema delle comunità per disabili psichici, 200 in tutto con 10 pazienti per struttura, per le quali la Regione contribuisce solo per 270 euro a persona, quando il costo complessivo è di 2300 euro. Ovviamente, in questa situazione di tagli, a soffrire sono anche loro. Ma i Comuni non hanno più alcuna disponibilità per nulla. Lo vedete anche a Palermo con il caso dei trasporti ai disabili”.
“Lo ripeto, la situazione è già sfuggita di mano e serve un approccio complessivo, per questo dico alla politica di fermarsi, prima che sia troppo tardi. Di occuparsi delle vere emergenze. Non si può più continuare così, non si può assistere inermi ai continui tagli e contemporaneamente all’aumento dei prelievi forzosi”.
Per concludere, non va dimenticato che proprio nei giorni scorsi il sindaco di Scaletta Zanclea, esasperato dalla situazione, ha scritto al Presidente della Repubblica riconsegnandogli la fascia tricolore.
ndr
Sul fondo perequativo chiarissima la ricostruzione della questione caso che leggiamo su La Stampa:
“Tutto inizia nel 2012 col decreto «Salva Italia». In quell’occasione il governo Monti decide di abolire l’Ici e istituire l’ Imu prelevandone direttamente un buon 30%. Ai comuni il governo assicura l’assoluta invarianza di gettito, ma poi al momento di fare i conteggi il ministero dell’Economia utilizza dati differenti da quelli reali, sottostimando nei fatti le entrate dei comuni e disponendo di conseguenza trasferimenti più bassi di quelli che le varie amministrazioni di aspettavano. Come se non bastasse quando arriva il governo Letta l’Imu cambia ancora veste, viene introdotta la Tasi e viene modificato il prelievo di sua spettanza (il 7,6 per mille di capannoni ed immobili produttivi) e la situazione si ingarbuglia ancora di più. Per rimediare alle proteste dell’Anci viene istituito un «fondo di perequazione Ici-Imu», che partendo con una dotazione di 60 milioni poi lievitati a 415 ed ora ridotti a 390 dovrebbe fare da cassa di compensazione. Ma in realtà questo fondo si rivela insufficiente. La finanza locale dal 2013 al 2016 è stata sconquassata da operazioni effettuate in maniera unilaterale dal Mef per far quadrare i conti. Oltre ai tagli reali hanno infatti praticato dei veri e propri tagli occulti a danno dei Comuni che sono affiorati solo in un secondo tempo».
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