Ieri “Il Sole 24 Ore” è stato chiarissimo: “Nel 2016 i prestiti delle banche alle imprese sono rimasti sostanzialmente invariati. Come può crescere un’economia in cui il credito stagna?”. La mancanza di credito per le imprese è ormai un’emergenza. Pagano in primo luogo, le imprese agricole, ma anche quelle artigianali e commerciali. Le proposte per uscire dalla crisi
di Francesco Aiello
esponente Tavolo Verde Sicilia
In un editoriale dal titolo “Rimettiamo in moto il circuito del credito”, apparso su Il Sole 24 Ore di ieri, Domenica 22 Gennaio, pag. 1, Guido Tabellini scrive:
“Nel 2016 i prestiti delle banche alle imprese sono rimasti sostanzialmente invariati. Come può crescere un’economia in cui il credito stagna?”.
Il riferimento, che è corretto, fondato su dati statistici, disegna un quadro generale della situazione delle aziende italiane a dir poco drammatico. E lo sapevamo.
I soldi per salvare le banche si trovano, invece i soldi per salvare le aziende non solo non esistono, ma non possono esistere ed è proibito per legge che possano esistere.
Quando poi ci si rende conto che il mondo agricolo, in crisi totale da almeno un quindicennio, può attingere al credito esclusivamente su basi patrimoniali e che nel Sud Italia non si trova neanche con la lanterna una sola banca che faccia credito ad aziende in sofferenza, e sono quasi tutte in sofferenza, ci si rende conto che i capitali di esercizio necessari per continuare a lavorare e non soccombere vengono ormai quasi totalmente approntati dall’usura, nelle mille forme in cui la stessa si presenta sul campo.
Occorre una politica per affrontare l’emergenza credito.
Occorre rivedere i vincoli imposti dagli accordi comunitari con cui è stato cancellato il credito agrario assistito, a partire dal De Minimis, che determina la ridicola soglia di aiuto consentito verso le aziende agricole.
Occorre una nuova legge per affrontare su scala nazionale il tema dell’indebitamento delle aziende, innanzi tutto della piccola e media impresa agricola, ma anche artigiana e commerciale.
Una nuova legge Mannino-Saccomandi per l’agricoltura, che salvi ciò che ancora può essere salvato. Le pratiche usuraie sono prevalenti oggi nel quadro della ricerca di soldi per la prosecuzione delle attività e non solo in agricoltura.
Probabilmente, tuttavia, mancano statistiche che quantifichino il rapporto fra credito legale e credito illegale nel nostro Paese. Ma se le banche, come i dati statistici dimostrano, non erogano più credito, da dove attingono le aziende le risorse le finanziarie necessarie per lo svolgimento della propria attività?
Tutti lo sanno, ma si fa finta di non saperlo: dall’usura, che prospera corrispondendo a esigenze non considerate dal credito legale.
Parlare soltanto di credito però non basta. Occorre cambiare politica. I patti di interscambio con il mondo esterno sono possibili e auspicabili, ma non possono essere contratti in concorrenza clamorosa con gli interessi delle imprese agricole italiane o siciliane.
Un tempo la UE aveva considerato e previsto alcuni meccanismi di salvaguardia del mercato interno, fondati sulle quote e il rispetto dei prezzi di riferimento. Ora invece si tira a strazzari. E lo Stato, che chiede agli imprenditori agricoli di pagare le tasse per potere esistere e al fine di potere continuare a produrre, nello stesso tempo, nella stanza accanto, organizza con la Gdo e i Gruppi finanziari, accreditati nei posti di comando, il modo di fare le scarpe alle aziende, agli agricoltori e agli allevatori italiani. E ai nostri territori.
Invece di difendere i suoi contribuenti, lo Stato organizza il loro fallimento.
Non penso a un ritorno ai dazi. Penso a un rapporto commercialmente aperto al mondo su un terreno di confronto alla pari, sul piano dei costi di produzione, della commercializzazione e dei costi di trasporto, e dell’etica del lavoro. Niente caporali, niente sfruttamento, parità di costi e uguaglianza dei diritti per i lavoratori.
Il credito rimane comunque lo strumento principale sul quale fare leva per uscire dalla crisi e salvare dalla catastrofe il settore primario della agricoltura e l’intero universo della piccola e media impresa, che un tempo qualificavano la specificità e specialità del nostro Paese.
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