E’ stato messo in croce. Dileggiato e sbeffeggiato. Pochissime le voci fuori dal coro che avevano espresso dubbi su una accusa che sembrava fare comodo ai poteri che aveva preso di mira con le sue inchieste. Ora il castello accusatorio comincia a traballare…
Eravamo stati tra i pochissimi a dubitare delle accuse di estorsione a carico di Pino Maniaci, direttore di Telejato e autore delle inchieste giornalistiche che hanno scoperchiato il vaso di Pandora della Sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e dell’allegra gestione dei beni sequestrati alla mafia. Ricordate? Lo scorso Maggio il giornalista, raggiunto da un provvedimento giudiziario, fu messo in croce sui social e sui giornali. Prediche e sermoni sulla sua antimafia che molti non hanno esitato a definire finta, anche dinnanzi al coraggio della sua piccola televisione che osava attaccare il giudice allora a capo di quella Sezione, Silvano Saguto, poi puntualmente indagata e oggi abbastanza inguaiata.
Solo l’Associazione antimafia Rita Atria sembrava condividere i nostri dubbi, come potete leggere qua (insieme a pochi altri, come vi abbiamo raccontato qua).
Oggi, dopo mesi infernali per un Maniaci ripudiato, il castello di accuse comincia a sgretolarsi. Il giudice per le indagini preliminari, Nicola Aiello, nel revocare il divieto di dimora a Partinico, ha sostenuto che probabilmente il giornalista è stato insistente, forse anche “molesto” nel chiedere sponsorizzazioni per la sua piccola Tv, ma l’estorsione è un’altra cosa. Il quadro probatorio, insomma, è molto debole.
Non possiamo che essere lieti di questa notizia. Maniaci potrà tornare a dirigere il suo telegiornale. E se abbiamo ricordato i nostri dubbi e le voci fuori dal coro, non è per dire che siamo bravi, né tanto meno per attribuirci poteri divinatori, ma solo per sottolineare che, in casi come questi, quando cioè un giornalista si scaglia contro poteri di quella portata, non è da escludere che la sua strada venga tappezzata da trappole.
Non è il primo caso e non sarà l’ultimo. Anche noi potremmo raccontarvi storie piene di ombre che abbiamo vissuto in altre redazioni. Di come siamo rimasti vittime di un inganno da parte di un personaggio che proclamava libertà di stampa e legalità (quella vera) e che invece era solo al servizio dei poteri che avevamo osato attaccare (anche a loro non è finita bene). Altri ancora potrebbero raccontarvi di metodi subdoli, talvolta raffinati, di imbavagliare la stampa.
Ma, come sempre, il tempo è galantuomo e restituisce tutto a tutti.
Tutto questo per dire che, quando la qualità del lavoro giornalistico è evidente, come nel caso di Maniaci, bisogna andarci cauti con i giudizi, anche dinnanzi ai quadri che possono sembrare foschi. Altrimenti si finisce col fare il gioco di quei poteri che vogliono continuare ad agire ‘indisturbati’.
Maniaci è il suo avvocato, Antonio Ingroia, avevano parlato subito di “una polpetta avvelenata per zittire Telejato”. E, il tempo, anche in questo caso, sembra dargli ragione. E se tutto quanto sarà confermato, vedremo se chi lo ha messo in croce avrà almeno la dignità di chiedergli scusa per la violenza con cui è stato condannato a priori.
Caso Maniaci, quelle voci fuori dal coro …
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