- L’importanza di coltivare il dubbio
di Diego Fusaro
Una riflessione su come i potenti utilizzano i cosiddetti complottisti
Epoca strana, la nostra: nei cui spazi di levigata e democratica non libertà le menzogne del potere, ribadite senza tregua in forma ipnotica, vengono accettate senza battere ciglio; mentre, per la verità, non bastano né la ragione, né i fatti. Poche volte si è riflettuto su come l’anticomplottismo sia solo un complottismo capovolto, egualmente distante da quell’atteggiamento critico della ragione pensante che si pone a giusta distanza dall’uno come dall’altro. Come il complottismo dubita dogmaticamente e per partito preso di ogni discorso ammesso dai più (fosse anche che 2 più 2 dà 4 o che la terra è sferica), così l’anticomplottismo crede, con eguale carica dogmatica, a ogni discorso del potere. Il complottismo finisce, in tal guisa, per essere il più fedele alleato dell’anticomplottismo e, dunque, dell’adesione acritica al regime discorsivo dominante: per evitare la posizione estrema del complottismo, si cade quasi sempre nell’anticomplottismo e quasi mai nella sfera dell’uso della ragione critica, consistente nell’assegnazione del consenso o nella sua revoca mediate dalla capacità di pensare con la propria testa. L’uso della ragione pensante viene a sua volta assimilato al complottismo e, con esso, evitato in ogni modo. Il potere, allora, necessita in forma vitale di complottisti per poter consolidare, per reazione, la posizione degli anticomplottisti (cioè di chi se le beve serenamente tutte) e per poter neutralizzare la sempre più ristretta cerchia di coloro i quali – né complottisti, né anticomplottisti – ancora pensino criticamente con la propria testa. Il vero nemico del potere non è, infatti, il complottismo, che gli è anzi funzionale: il vero nemico del potere è il pensiero critico.
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