- Il problema denunciato dall’Unione spagnola dei sindacati degli agricoltori riguarda anche alcuni ortaggi. In realtà la questione è più estesa e non viene fuori per carenza di controlli
- Perché pur sapendo tutto questo l’Unione europea continua a importare questi prodotti che fanno male alla salute?
- Il vero problema è la globalizzazione agricola applicata all’agricoltura, perché alcuni Paesi, per produrre di più e guadagnare di più, eccedono con pesticidi ed erbicidi avvelenando le produzioni agricole
- La specializzazione in agricoltura, oltre a incrinare gli equilibri ecologici e ad inquinare l’ambiente, rende i Paesi non autosufficienti in materia alimentare: gravissimo errore in tempo di cambiamenti climatici
Il problema denunciato dall’Unione spagnola dei sindacati degli agricoltori riguarda anche alcuni ortaggi. In realtà, la questione è più estesa e non viene fuori per carenza di controlli
“Turchia ed Egitto sono accusate di aver esportato nell’Unione Europea prodotti ortofrutticoli, in particolare agrumi, con presidi fitosanitari non autorizzati dalla legislazione comunitaria o oltre i limiti consentiti. La denuncia arriva dall’Unione spagnola dei sindacati degli agricoltori, il cui team tecnico ha messo in luce la situazione. Nello specifico, i due Paesi nordafricani hanno ricevuto 1.189 segnalazioni nel periodo compreso tra il 2020 e il 2022 per l’importazione in Europa di arance, mandarini, limoni, peperoni e pompelmi contenenti sostanze non consentite o che superavano il limite massimo di residuo permesso. Come riporta la testata spagnola Revista Mercados, le esportazioni di ortofrutta verso l’Unione Europea dalla Turchia e dall’Egitto sono aumentate negli ultimi anni. Il primo Paese ha esportato 30.600 tonnellate e il secondo 89.000 nel 2021. Per quanto riguarda la Turchia, ha ricevuto un totale di 1.072 segnalazioni negli ultimi tre anni. Nel 2020 ne aveva 267, la cifra è salita a 424 nel 2021, il resto nell’ultimo anno anche grazie alle pressioni delle organizzazioni europee, come l’Unione dei sindacati, al fine di aumentare le ispezioni fino al 20% delle spedizioni di limoni, arance e mandarini”.
Perché pur sapendo tutto questo l’Unione europea continua a importare questi prodotti che fanno male alla salute?
Così scrive ITALIA FRUIT NEWS, il giornale dell’ortofrutta. Scrive, di fatto, quello che I Nuovi Vespri scrive da quando è in rete e cioè che Iddio solo sa che prodotti agricoli arrivano in Italia da certi Paesi esteri. Da anni scriviamo che bisognerebbe intensificare i controlli sanitari su tutti i prodotti agricoli che arrivano nell’Unione europea. In parte questi controlli sono partiti ma le notizie che arrivano sono frammentarie. nello stesso articolo di ITALIA FRUIT NEWS si parla sì pesticidi, ma se ne parla in modo generico: in parole semplici, non ci sono i nomi delle sostanze chimiche presenti nei prodotti agricoli arrivati da Turchia ed Egitto. Si dice che sono sostanze che fanno male alla salute umana ma questo si sa già. Nell’articolo si dice anche che con un ulteriore aumento del 5% delle segnalazioni su qualsiasi prodotto le importazioni turche o egiziane dovrebbero essere “automaticamente bloccate”. Il vero problema – che correttamente l’articolo segnala – è che nei Paesi dai quali l’Unione europea importa tanti prodotti agricoli freschi e trasformati si utilizzano pesticidi ed erbicidi che l’Europa ha bandito da anni perché dannosi per la salute umana. La vera domanda è: perché pur sapendo tutto questo l’Unione europea continua a importare questi prodotti che fanno male alla salute? Le risposte sono molteplici. Proviamo a illustrarle per grandi linee.
Il vero problema è la globalizzazione agricola applicata all’agricoltura, perché alcuni Paesi, per produrre di più e guadagnare di più, eccedono con pesticidi ed erbicidi avvelenando le produzioni agricole
Partiamo dall’assioma in forza del quale i liberisti hanno imposto all’Occidente industrializzato la globalizzazione dell’economia. Ci dicono che, grazie alla globalizzazione, Paesi dove prima si moriva di fame hanno oggi hanno risolto i loro problemi alimentari. Questo è vero in minima parte, non a caso, ancora oggi, ci sono tanti Paesi del mondo dove si muore di fame. E allora dove sta il problema? Semplice: la globalizzazione dell’economia trascina con sé la specializzazione delle produzioni agricole. Ogni Paese del mondo, stando al ”Credo’ della globalizzazione dell’economia, deve produrre in grande quantità i prodotti agricoli congeniali ai propri territori. Se ogni Paese del mondo fa così, ebbene, aumenta la produzione mondiale di prodotti agricoli è c’è cibo per tutti. Ebbene, sotto il profilo agronomico economico ed ecologico questa è una grandissima fesseria con risvolti criminali nei confronti dell’ambiente. Cominciamo proprio dall’ambiente. La specializzazione produttiva, in agricoltura, è deleteria: si tratta di un’agricoltura forzata che riduce la biodiversità e fa aumentare il consumo di fertilizzanti, di pesticidi e di erbicidi. I costi ecologici e sociali sono elevati. Chi guadagna veramente con la specializzazione dell’agricoltura sono le industrie – in molti casi multinazionali – che producono fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi. E siccome l’ambiente diventa insalubre (basti pensare alle immense distese di soia dell’Argentina dove pesticidi ed erbicidi vengono irrorati con gli aerei) e i prodotti agricoli sono pieni di residui chimici, ci guadagnano anche le multinazionali farmaceutiche. La globalizzazione agricola applicata all’agricoltura è un grave errore. Perché alcuni Paesi, per aumentare le produzioni e quindi per guadagnare di più, eccedono con pesticidi ed erbicidi avvelenando le produzioni agricole. Con il denaro si possono corrompere le autorità che controllano i prodotti in entrata in vari Paesi e il gioco è fatto. Riuscite a collegare questo scenario con qualche istituzione europea?
La specializzazione in agricoltura, oltre a incrinare gli equilibri ecologici e ad inquinare l’ambiente, rende i Paesi non autosufficienti in materia alimentare: gravissismo errore in tempo di cambiamenti climatici
La specializzazione agricola è un grave errore perché ogni Paese, specializzandosi nella produzione di alcune colture ed eliminandone altre, perde la sovranità alimentare. Nel 2021 l’Unione europea, a causa della siccità che ha colpito alcune aree del mondo, ha scoperto di non essere autosufficiente nella produzione di grano, soia e mais. Il risultato è che tantissimi allevatori sono stati costretti ad abbattere gli animali da allevamento, perché senza soia e senza mais non si possono allevare animali da carne. Contrariamente a quello che dicono i cantori della globalizzazione dell’economia, ogni Paese deve invece tutelare la propria sovranità alimentare, puntando su una pluralità di colture agricole, soprattutto in tempo di grandi cambiamenti climatici. Eliminando, piano piano, la specializzazione agricola l’ambiente migliora, perché si riduce l’uso di pesticidi ed erbicidi. E, soprattutto, ogni Paese, per quello che può fare, riduce la dipendenza dall’estero per le produzioni agricole. E’ chiaro che lo scenario è più complesso e le implicazioni sono altrettanto complesse e noi, per problemi di spazio e per non tediare i lettori, sintetizziamo. L’aspetto importante è che, puntando su una pluralità di colture, ogni Paese riduce l’importazione di prodotti agricoli e, di conseguenza – con riferimento ai Paesi dove sono stati eliminati i pesticidi e gli erbicidi dannosi per la salute umana – riduce la probabilità di importare prodotti agricoli pieni di pesticidi ed erbicidi. I pomodori, per esempio. Non è un’assurdità che la Sicilia importi pomodori e passata di pomodori dalla Cina e dall’Africa che non si sa come vengono prodotti e che sostanze chimiche contengono? Non è più logico aiutare gli agricoltori siciliani a produrre pomodori di pieno campo? Non è un’assurdità che in Sicilia debbano arrivare agrumi da Turchia ed Egitto? Questo sistema che abbiamo sinteticamente illustrato, con molta probabilità, non farà piacere alle multinazionali che producono pesticidi ed erbicidi: e questo è già un altro buon motivo per ridurre la specializzazione agricola.
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