- ‘Sindrome sgombroide’: occhi puntati sull’istamina
- La contaminazione. I cibi che potrebbero inibire l’azione detossificante degli enzimi intestinali nei confronti dell’istamina
- Il pesce azzurro è buono ma va conservato bene
- L’istamina è una brutta bestia: una volta prodotta, non si degrada più, neppure con le alte temperature della cottura o con le basse temperature del congelamento/surgelamento, né tanto meno con l’affumicatura o la marinatura
- I sintomi della ‘Sindrome sgombroide’. Le forme gravi sono abbastanza rare (e bisogna sperare di evitarle)
- I quattro precetti da osservare scrupolosamente per evitare la ‘Sindrome sgombroide’
di Maddalena Albanese
‘Sindrome sgombroide’: occhi puntati sull’istamina
Siamo di nuovo a Maggio. La “Tunnina” fa di nuovo bella mostra di sé sui marmi dei stanziali rivenditori di pesce nelle belle botteghe sovrabbondanti di prodotti ittici o sul retro delle “motolape” nomadi, ondeggianti sotto il peso di tonni, grandi quasi quanto il mezzo di trasporto, circondati da tremolanti cubetti di ghiaccio.
Siamo di nuovo nel periodo della sindrome sgombroide. La sindrome sgombroide è una patologia acuta, di solito autolimitantesi, massimo nell’arco di 48 ore, caratterizzata da manifestazioni di tipo simil allergico, legati all’attività di un’amina biogena: l’istamina. L’istamina endogena, liberata dai mastociti è il principale mediatore delle reazioni allergiche, che altro non sono che reazioni massive ed eccessive contro agenti esterni, reazioni che si manifestano con vasodilatazione (iperemia al volto o a tutto il corpo), prurito, difficoltà respiratoria, alterazioni della pressione con ipotensione, fino allo shock anafilattico. L’istamina esogena, quella della quale stiamo parlando, deriva dalla decarbossilazione di un’aminoacido, l’istidina, ad opera dell’enzima istidina decarbossilasi.
La contaminazione. I cibi che potrebbero inibire l’azione detossificante degli enzimi intestinali nei confronti dell’istamina
L’istidina è presente in grande quantità nei muscoli dei pesci e degli animali, l’istidina decarbossilasi è in dotazione ad alcuni batteri, della famiglia delle Enterobacteriacaee, abbondantemente presenti nelle interiora dei pesci (branchie ed intestino) o anche presenti nell’ambiente come contaminanti. Il suddetto processo chimico non è l’unica causa patogenetica nella sindrome sgombroide. Anche la produzione di acido urocanico (altro prodotto di degradazione dell’aminoacido istidina) e la presenza di putrescina e cadaverina (diammine che compaiono nei normali processi di decomposizione delle carni pescate) entrano come concause nella sindrome sgombroide. In più sembrerebbe che l’associazione del consumo di questo tipo di pesci con alcuni cibi, come i formaggi fermentati, che contengono tiramina (altra diammina) o con insalate, non sempre ben lavate e quindi potenzialmente contaminate da enterobatteri, o anche l’associazione con alcuni farmaci (isoniazide o antimalarici) che inibiscono l’azione detossificante degli enzimi intestinali nei confronti dell’istamina, o anche solo il consumo contemporaneo di alcol possano potenziare l’effetto dell’istamina presente nei prodotti della pesca.
Il pesce azzurro è buono ma va conservato bene
I pesci che potrebbero creare problemi se conservati male fanno parte dei cosiddetti “pesci azzurri”: tonno, tonno pinna gialla, tonnetto striato o “bonito”, sarda, acciuga, lampuga, aringhe. Specie ittiche soggette a lunghi e costanti spostamenti, che contengono l’istidina nei muscoli in forma libera e facilmente catabolizzabile. In questi pesci, l’istidina in forma libera ha lo scopo di contrastare gli effetti dell’acido lattico che si accumula nei muscoli dei pesci migratori. Inoltre i pesci a carne rossa (es. il tonno) contengono quantità di istidina nettamente superiori rispetto ai pesci a carni bianche (15 gr/kg rispetto ad 1 gr/kg9. In ultimo, la concentrazione di istidina nei muscoli dei pesci aumenta progressivamente dall’Inverno all’Estate. Ecco perché la sindrome sgombroide è legata più strettamente al consumo primaverile di tonno. Va detto che anche alcuni crostacei sono stati occasionalmente coinvolti in episodi di sindrome sgombroide.
L’istamina è una brutta bestia: una volta prodotta, non si degrada più, neppure con le alte temperature della cottura o con le basse temperature del congelamento/surgelamento, né tanto meno con l’affumicatura o la marinatura
La sindrome sgombroide si può già manifestare quando l’istamina è presente nelle parti edibili dei pesci in una quantità superiore a 200 parti per milione (vale a dire 20 mg /100 gr di pesce). Per le premesse suddette è facile capire che si forma nei pesci in cui vengono mantenute le interiora, o che vengono puliti in maniera poco accurata, o che vengono conservati a temperature alle quali è facile che si accrescano le popolazioni batteriche che colonizzavano le interiora dei pesci: temperature superiori a 1/2 gradi centigradi, quindi temperature superiori a quelle proprie dei frigoriferi. È sufficiente che questa protezione data dal freddo – dalla pesca del pesce al suo consumo e che prende nome di “catena del freddo” – venga interrotta anche solo per poche ore, che subito gli enterobatteri, produttori di istidina decarbossilasi, proliferino e comincino a trasformare l’istidina in istamina. La normativa vigente prevede che i prodotti del pescato vengano conservati a temperature vicine a quelle di fusione del ghiaccio. L’istamina, una volta prodotta, non si degrada più, neppure con le alte temperature della cottura o con le basse temperature del congelamento/surgelamento, né tanto meno con l’affumicatura o la marinatura. Quindi, se è già presente nel pesce che viene comprato per essere portato in tavola, verrà assunta dai commensali con tutte le conseguenze che questo comporta.
I sintomi della ‘Sindrome sgombroide’. Le forme gravi sono abbastanza rare (e bisogna sperare di evitarle)
Le manifestazioni della sindrome sgombroide sono numerose e di diversa entità e si cominciano a manifestare nell’arco di un’ora dall’assunzione del pesce. Vanno dal lieve malore, con un po’ di cefalea e nausea transitoria, al rossore al volto associato a prurito (come una vera e propria reazione allergica), fino a disturbi respiratori, ad alterazioni del ritmo cardiaco (dalle semplici palpitazioni alla letale fibrillazione ventricolare), ad alterazioni pressorie, a disturbi cardiaci di tipo ischemico per arrivare anche allo shock cardiogeno con edema polmonare. Le forme gravi, comunque, sono abbastanza rare, anche se richiedono ospedalizzazione, perfino in terapia intensiva, quando presenti. Le forme lievi, che sono le più comuni, di solito regrediscono in 24 ore, autonomamente o dopo terapia con brevi accessi di Pronto Soccorso. L’ampio spettro sintomatologico può essere legato alla diversa quantità di istamina ingerita o anche ad una diversa reattività al l’istamina dei soggetti interessati (ad esempio le donne sembrano essere più sensibili degli uomini, o i soggetti con storia di reazioni allergiche sono più suscettibili all’istamina esogena, ingerita con il cibo). Avere la certezza che il pesce che si sta consumando non contenga dosi tossiche di istamina non è possibile; infatti le qualità organolettiche delle carni non vengono alterate da questa ammina biogena. Abbiamo già detto che la cottura o il congelamento “a posteriori” di carni di pesce contaminate non purifica i cibi, che, quindi, rimangono contaminati. Lo stesso pesce in scatola, una volta aperto, si può contaminare di batteri dall’esterno e cominciare a produrre istamina, quindi va rigorosamente conservato in frigorifero e consumato, se possibile, entro 24 ore.
I quattro precetti da osservare scrupolosamente per evitare la ‘Sindrome sgombroide’
E allora? Come fare per essere ragionevolmente certi di consumare un cibo che ci nutra invece di avvelenarci?
- Andare da un rivenditore di fiducia per il tonno fresco, osservare come viene tenuto sul banco di vendita: il tonno è un pesce voluminoso, che deve essere ben coperto di ghiaccio durante l’esposizione, o che deve essere conservato in frigorifero. Assicurarsi che i locali pubblici dove si va per consumare cibo pronto espongano i certificati HACCP, i quali nascono per garantire la corretta gestione degli ingredienti in fase di conservazione e dei cibi in fase di preparazione.
- Evitare le insalatone in cui ci sono tonno, sardine e altro pesce azzurro mischiato a verdura da insalata (se questa non è ben lavata può contenere proprio quei batteri che, contaminando il pesce, cominciano a produrre allegramente istamina).
- Evitare a casa propria di aprire la scatoletta di tonno e tenerla per tempi immemori in frigorifero (abbiamo detto di consumarlo in breve) per poi farne uno spuntino “al volo”, perché altrettanto “al volo” si verrà sdraiati su una barella e portati in Pronto Soccorso.
- Evitare di consumare sushi, sashimi e altri pesci crudi in salamoia se non si è sicuri dei metodi di preparazione. Sia nei ristoranti che a casa propria i pesci da utilizzare in questi casi andrebbero messi in abbattitore e portati rapidamente a -40 gradi centigradi e tali mantenuti per almeno 24 ore o conservati in congelatore a -18/20 gradi per almeno 48 ore, poi scongelati, rapidamente preparati e rapidamente consumati (con conservazione intermedia in frigorifero). Esistono delle regole precise di preparazione a cui si rimanda.
Insomma la conservazione e la preparazione dei cibi, nella fattispecie del pesce, non è una questione da dilettanti allo sbaraglio o da cuochi improvvisati che mescolano fantasie di ingredienti di cui non conoscono la gestione: la conservazione e la preparazione del cibo costituiscono una vera e propria scienza rivestita dal manto dell’arte.
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