All’alba di oggi, nel cielo di Palermo, si vedevano due scie. C’era ancora poca luce e si intravedevano appena. Cinque minuti dopo, o forse sei o sette minuti dopo, le due scie erano ben visibili. Dieci, dodici muniti dopo è spuntato un aereo che volava molto alto lasciando una grande scia. Lo sappiamo tutti qual è la storia delle scie chimiche, considerate uno dei pezzi forti dei “complottisti”. Oggi qualcosa sta cambiando, perché della cosiddetta inseminazione dei cieli, con la produzione di nuvole artificiali che poi danno luogo a piogge, parla anche la televisione. Ecco, quando una notizia arriva dalla televisione – nei programmi di approfondimento o, peggio, ‘strillata dai telegiornali – io, per definizione, sono portato a non crederci. La televisione, è noto, racconta un sacco di fesserie. La televisione, per citare un esempio, ci racconta che questa o quella pasta è fatta con “solo grano italiano”, le merendine sono preparate “con solo grano italiano” tra un po’ pure le corna che hanno in testa saranno fatte “con solo grano italiano” quando sappiamo tutti che l’Italia è piena zeppa di grano canadese e soprattutto di grano ucraino. Quindi quando sento la
Il giorno dopo la sperimentazione era un Mercoledì. Lo ricordo bene perché il capo servizio del mio giornale non era molto convinto della storia che gli proponevo. Anche perché non dovevo rivelare il luogo dove era stata effettuata la sperimentazione, né i nomi dei protagonisti. Insomma, la storia non piacque perché le notizie erano troppo frammentarie. Così la sera di quel Mercoledì ho proposto di scrivere un articolo al mio amico Federico, che era uno dei redattori di Lettera Sud, il settimanale economico e finanziario del quotidiano Il Mattino di Napoli. A Federico la storia piacque tantissimo, tanto che mi commissiono, per il Venerdì mattina, un ‘pezzo’ di centoventi righe. Centoventi righe erano quattro cartelle, lo spazio che si riservava alle notizia importanti. Per correttezza gli dissi che l’ingegnere israeliano non poteva comparire. “E tu racconta quello che ti dice senza citarlo”, mi rispose. La sera di quel Mercoledì ero a cena con il mio amico e l’ingegnere israeliano. Si era a fine Maggio e siamo andati in una pizzeria all’aperto. Mi raccontò che, in questa prima fase sperimentale, le particolari sostanze venivano ‘sparate’ in cielo con fucili piuttosto potenti. Gli spari venivano effettuati dalla
Se non avessi vissuto personalmente questa storia – e soprattutto se non avessi raccontato questa storia su Lettera Sud – con molta probabilità avrei qualche difficoltà a credere nelle scie chimiche. Ma io questa storia l’ho vissuta e l’articolo – che non ho conservato, perché non conservo mai gli articoli che scrivo – è rintracciabile nell’archivio de Il Mattino di Napoli. Questa è la prima volta nella mia vita di giornalista che scrivo delle scie chimiche, a circa 35 anni di distanza dall’articolo che scrissi per Lettera Sud (che, detto per inciso, piacque molto a Federico). Lo scrivo oggi perché metto insieme tre storie.
Prima storia: il campo fotovoltaico realizzato tra Marsala e Mazara del Vallo, dove si dice che i pannelli solari sono compatibili con l’agricoltura. Questa compatibilità suona un po’ strana. Perché è certo che con i pannelli fotovoltaici non si può coltivare il grano, a meno che non si decida di sfalciarlo a mano, come si faceva una volta. Ma con che costi? Di certo, in un campo agrofotovoltaico non può entrare una mietitrebbia. A meno che i pannelli fotovoltaici vengano ampiamente distanziati. Con costi maggiori. Cosa si dovrebbe coltivare, allora, nei campi agrofotovoltaici? Ortaggi? Frutteti? O foraggi per gli animali? I pannelli fotovoltaici vengono piazzati nei terreni a seminativo della Sicilia dove, per mancanza di acqua, non c’è un’alternativa al grano. Insomma, a noi il connubio pannelli solari-agricoltura sembra un po’ azzardato, anche se non impossibile. Seconda storia: c’è una pressione fortissima, da parte di grandi gruppi economici che
Riassumendo: prezzo del grano duro siciliano ai minimi storici, costi di produzione ai massimi storici (sementi, fertilizzanti ed energia a prezzi raddoppiati o giù di lì). A questo punto a Ottobre qualcuno dirà agli agricoltori siciliani che producono grano duro: “Ma che ci coltivi a fare il grano duro in Sicilia? Anche con l’integrazione dei fondi europei vai in perdita (per la cronaca, i fondi PAC relativi al grano destinati a Sud e Sicilia – Secondo Pilastro della Politica Agricola Europea – sono inferiori, in media, del 70% di quelli che incassano gli agricoltori del Nord Italia). Affitta o vendi il terreno a noi. Al limite, trasforma il tuo appezzamento in un campo agrovoltaico, guadagni di più rispetto al grano e ti diverti a coltivare le erbe officinali o con ortaggi se c’è l’acqua. Vuoi mettere?”. Hanno a loto modo ragione. Perché dovrebbero andare a piazzare i pannelli fotovoltaici nelle aree abbandonate della Sicilia con costi maggiorati? Meglio i campi di grano da trasformare in campi agrivoltaici, con gli agricoltori che fanno da guardiani. Risparmi su risparmi e maggiori guadagni. Vi pare niente? E il paesaggio agrario siciliano? E il grano duro siciliano? Parlatene con i deputati e senatori di Fratelli d’Italia, questo grande partito ‘sicilianista’ e ‘meridionalista’. O con i Ministri del Governo di Giorgia Meloni, ‘bravissimi’. Pensavamo che con il PD sulla plancia di comando dell’agricoltura avevamo toccato il fondo. Ci sbagliavamo.
Foto tratta da Lumi4Innovation