di Nota Diplomatica
A Marzo il Vaticano ha formalmente ‘ripudiato’ – dopo 530 anni – la ‘Dottrina della scoperta’ introdotta con la bolla pontificia “Inter Caetera” emessa dal Papa Alessandro VI nel 1493. Il Papa – il cui cognome in italiano era ‘Borgia’ – era spagnolo (‘Borja’ di nascita) e il suo scopo fu palesemente quello di creare una base giuridica per i diritti acquisiti dalla Spagna sul ‘Nuovo Mondo’ attraverso la scoperta fatta da Cristoforo Colombo appena l’anno prima. La bolla stabilì che ogni terra non cristiana poteva essere ‘scoperta’, reclamata e sfruttata dai regnanti europei cattolici. “La Fede cattolica e la religione cristiana – precisava il documento – dovranno essere ovunque esaltate ed estese, le anime accudite e le nazioni barbare rovesciate e portate alla Fede”. La bolla fissò inoltre una linea di demarcazione ad ovest delle Azzorre oltre alla quale si poteva accedere unicamente con il permesso della Corona spagnola.
Alla lunga le ambizioni di Madrid risultarono vane, ma la Dottrina – che creò una sorta di ‘diritto’ degli europei a reclamare la proprietà di tutto ciò che ‘scoprivano’ anche qualora fosse già di altri – entrò nella giurisprudenza di molti Paesi per giustificare la ‘legittimità’ delle origini dei titoli di possesso sulle terre confiscate. C’era però un problema: tutto ciò partiva dalla convinzione che gli abitanti originari delle terre interessate potessero non essere del tutto umani. Così, non avrebbero necessariamente avuto un’anima da salvare, e tantomeno il diritto di disporre di una proprietà o di contrastare la volontà di un superiore diritto morale… La materia fu molto dibattuta nei primi decenni del XVI secolo. Alla fine, nel 1550, venne convocata la Giunta di Valladolid per dirimere la questione della natura giuridica e spirituale delle popolazioni native delle Americhe, specialmente per quanto riguardava l’esistenza – o meno – di un’anima negli indios. Il parere di uno dei relatori, il frate domenicano Tommaso Ortiz, dà un’idea dei termini del discorso: “Gli uomini di terra ferma delle Indie mangiano carne umana e sono sodomiti più di qualunque altra gente… Vanno in giro nudi, dementi e insensati… Si ubriacano persino con il fumo e con certe erbe che fanno loro perdere la ragione… Sono stregoni, indovini e negromanti; codardi come lepri, osceni come porci… Insomma, sostengo che mai Dio creò gente tanto intrisa di vizi e di bestialità”. Altri sostennero il contrario. Il Vescovo Bartolomé de Las Casas, citando episodi di sacrifici umani e di cannibalismo anche nell’antichità classica, affermò il diritto degli indigeni di poter fare la guerra agli spagnoli. Non si raggiunse nessun accordo nel primo incontro, così la Giunta venne convocata nuovamente l’anno seguente, ma nemmeno lì fu trovata una risoluzione condivisa, nonostante entrambe le parti contendenti si fossero dichiarate vincitrici. Alla fine, la controversia – almeno in termini teologici – si è chiusa, forse per stanchezza e solo col passare del tempo, anche se tanto odio e tanto dolore non vengono necessariamente cancellati in un mero mezzo millennio.
Foto tratta da Vatican News