A parte la sanità pubblica (e privata) di Catania città, non c’è luogo abitato della Sicilia, piccolo o grande, dove le strutture sanitarie non siano in sofferenza, tra mancanza di posti letto e mancanza di medici. Per non parlare dei Pronto Soccorso nel caos, dove i medici sono sottoposti a turni massacranti. Peraltro, la mancanza di posti letto costringe i Pronto Soccorso a tenere per giorni e giorni pazienti con patologie anche gravi, in attesa che nei reparti si liberino – ammesso che si liberino – i posti letto. Lo scorso 20 Marzo abbiamo pubblicato un’inchiesta sul fondi della sanità siciliana. Sulla carta i soldi non mancano – circa 9 miliardi di euro e mezzo all’anno – che non sono esattamente pochi. Eppure non c’è settore della sanità pubblica siciliana che non abbia subito tagli. In queste ore – per citare un esempio eclatante – non mancano le polemiche sull’incredibile chiusura della Cardiochirurgia pediatrica di Taormina. Come può una Regione chiudere una struttura sanitaria così importante per la provincia di Messina non si capisce. Non solo. Appena si profila una mezza possibilità, la politica siciliana si catapulta per chiudere strutture sanitarie, salvo a ripensarci per via delle proteste popolari e, forse, per via di qualche avvertimento un po’ più ‘pesante’. A Milazzo – sempre provincia di Messina – c’è stato il tentativo di chiudere il Pronto Soccorso con la scusa della ristrutturazione. Questa follia dovrebbe essere stata bloccata. Ma la politica ci ha provato. Lo stesso tentativo è stato fatto a Palermo, dove hanno provato a chiudere il Pronto Soccorso dell’ospedale Cervello, altra follia poi rientrata. Ma, anche in questo caso, la politica ci ha provato. Ormai, in Sicilia, è regola generale che i medici pubblici che vanno in pensione non vengano sostituiti. La politica sanitaria siciliani, di fatto, incentiva i giovani medici della Sicilia ad abbandonare la nostra Isola per andare a lavorare all’estero, dove si guadagna di più e si rischia molto meno. Anche perché le retribuzioni dei medici pubblici in Italia sono le più basse d’Europa.
In Sicilia, per i medici, lavorare nelle strutture sanitarie pubbliche, soprattutto nei Pronto Soccorso, è diventato sempre più rischioso: turni massacranti e pazienti che arrivano in condizioni sempre più difficili. Nella nostra Isola, di fatto, è stata abolita la medicina preventiva, ormai riservata solo a chi ha i soldi per potersela permettere. Di fatto, centrosinistra e centrodestra che dal 2008 ad oggi hanno amministrato la Sicilia, hanno creato una sanità classista, che privilegia chi ha i soldi e i pazienti raccomandati e condanna al caos gli altri cittadini. Con l’aumento spaventoso della povertà, che solo gli ‘scienziati’ che a Roma ‘magheggiano’ con l’inflazione nascondono, chi arriva nei Pronto Soccorso siciliani è quasi sempre in condizioni gravi. Chi non sta veramente male ormai evita i Pronto Soccorso, perché sa che per essere visitato dovrebbe aspettare da 12 a 24 ore, così cerca un’altra soluzione. Tant’è vero che a Palermo stava per aprire un Pronto Soccorso privato per ora rimasto nel limbo. Grazie a questa forma di ‘darwinismo’ sanitario la politica siciliana è riuscita a ridurre non la pressione sui Pronto Soccorso ma solo il numero di pazienti. Perché, pur con la riduzione dei pazienti, non si è ridotta la pressione nei Pronto Soccorso? Perché, come già accennato, i pazienti arrivano spesso in gravi condizioni e necessitano di più tempo per essere gestiti; in più, come già accennato, i medici di Pronto Soccorso debbono occuparsi anche dei pazienti ricoverati, dal momento che nei reparti degli ospedali pubblici mancano i posti letto. A completare il quadro pensa una martellante pubblicità, soprattutto radiofonica, che invita i siciliani colpiti da malasanità a rivolgersi a studi legali specializzati per intentare cause e chiedere risarcimenti. In più ci sono anche i tagli senza fine ai Laboratori di analisi con la prospettiva, per i cittadini siciliani, di pagare per intero le analisi cliniche. Per non parlare delle prescrizioni mediche, che per tantissimi farmaci sono ormai una presa in giro, dal momento che il risparmio per i cittadini è molto spesso irrisorio.
A questo punto una domanda è d’obbligo: com’è arrivata a questo punto la sanità siciliana? Dove finiscono i 9 miliardi e mezzo di euro della sanità della nostra Isola? Negli ultimi dieci anni i fondi per la sanità siciliana sono sempre gli stessi, almeno sulla carta: 9 miliardi e mezzo circa, poco meno del 50% a carico del Bilancio regionale e poco più del 50% a carico del Bilancio dello Stato (in realtà non è così, perché viene considerato statale il gettito Irap, imposta pagata dalle imprese siciliane: nella logica dell’Autonomia differenziata cara al Ministro leghista Roberto Calderoli l’Irap pagata dai siciliani deve restare tutta in Sicilia, fondi che diventano quindi siciliani a tutti gli effetti: o no, Ministro Calderoli?). Come mai, se i soldi per il servizio pubblico sanitario della Sicilia sono sempre gli stessi, oggi tali fondi non bastano più e i Governi regionali continuano a tagliare i servizi della sanità pubblica siciliana? C’entra l’inflazione? Forse solo per una parte minima. Sia perché gli stipendi del personale medico non sono mai stati adeguati all’inflazione, sia perché lo stesso personale medico delle strutture sanitarie siciliane – con riferimento agli ospedali pubblici – da dieci anni a questa parte si è ridotto. Un aumento del costo delle forniture causato dall’inflazione non può assolutamente giustificare quello che sta succedendo, anche perché in quasi tutti gli ospedali pubblici siciliani mancano le forniture. E allora dove finiscono ‘sti 9 miliardi e mezzo di euro all’anno, considerato, tra l’altro, che da un anno la Regione siciliana, grazie alla Corte dei Conti e alla Corte Costituzionale, non scippa più al Fondo sanitario regionale 280 milioni di euro all’anno? Le nostre tesi sono due. La prima tesi è che i conti della sanità pubblica siciliana siano falsati e che la spesa sanitaria siciliana sia inferiore a 9 miliardi e mezzo. Sarebbe un fatto gravissimo ma noi non lo escludiamo. La seconda tesi è che, con i soldi della sanità pubblica siciliana, la politica, con la connivenza di alcune organizzazioni sindacali, ha fatto lievitare a dismisura il personale non sanitario (gli ultimi arrivati sono i precari Covid adibiti a mansioni non sanitarie per i quali politici e sindacalisti siciliani sono tutti ‘cassariati’…). Come scriviamo da qualche settimana, ci aspettiamo che la Corte dei Conti per la Sicilia, in sede di ‘parifica’ del Bilancio, faccia un po’ di luce sui conti della sanità siciliana, possibilmente facendo chiarezza sul rapporto tra personale medico e personale non medico a carico del Fondo sanitario regionale.
Foto Sud chiama Nord
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