Finalmente la speculazione in corso sul prezzo del grano duro italiano approda in Parlamento. L’iniziativa è di due senatori, Gabriele Silvestri e Adriano Paroli, entrambi di Forza Italia, partito di centrodestra che sostiene il Governo di centrodestra di Giorgia Meloni. I due sentori hanno presentato un’articolata interrogazione al Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, esponente di Fratelli d’Italia. Potrebbe sembrare un po’ strano che due parlamentari della maggioranza presentino un’interrogazione a un Ministro; in realtà, non è così, perché le anomalie nel mercato del grano duro italiano – che I Nuovi Vespri segnala da mesi – ci sono e avrebbe dovuto essere il Ministro della “Sovranità alimentare” a fare chiarezza su questo problema, considerato che l’Italia è piena di grano duro estero e, segnatamente, di grano duro canadese e di grano duro ucraino: grani esteri che stridono con le parole “Sovranità alimentare” che, in materia di grano duro, suonano come una beffa. Ma andiamo ai fatti.
Cominciamo col dire che questa notizia l’abbiamo appresa leggendo il giornale on line di GranoSalus, un’associazione che raggruppa produttori di grano duro e consumatori italiani. La premessa dell’interrogazione è molto importante, perché fra il punto della situazione sul grano duro in Italia e sui mercati della pasta e del pane. “Secondo l’indagine ISTAT pubblicata pochi giorni fa – leggiamo nel giornale GranoSalus – nel 2023 è diminuito del 3,2 per cento il numero di aziende agricole che hanno deciso di seminare grano duro. Il dato è stato ricavato su un campione di 15.000 aziende agricole. Eppure le esportazioni di pasta italiana sono cresciute del 5,1 per cento nel 2022 in volume e del 31 per cento in valore”. Questa è la prima anomalia: se la produzione di grano duro in Italia è verosimilmente diminuita (anche in ragione dell’aumento dei costi di produzione) mentre la produzione di pasta italiana è cresciuta, ebbene, bisogna chiedersi: la pasta industriale italiana è stata prodotta con sono grano duro italiano? Ancora l’interrogazione: “Da alcuni anni, il mercato di questo cereale sta conoscendo un andamento anomalo dei prezzi all’origine, ed il conflitto in Ucraina, dimostrando peraltro quanto sia strategico questo comparto per la sicurezza alimentare italiana, ha acuito questa anomalia; nonostante la domanda dei prodotti finiti (pasta e semola) si mantenga sempre elevata, soprattutto sul mercato internazionale, la domanda d’acquisto della materia prima, ossia il grano duro nelle sue diverse varietà, pur mantenendosi sostenuta, presenta una dinamica che incide negativamente sui prezzi, i quali, senza adeguati aiuti comunitari, non riuscirebbero a garantire una corretta remunerazione agli agricoltori”. Questa è un’altra anomalia: se la domanda di grano duro si mantiene sostenuta com’è possibile che il prezzo del grano duro sia diminuito del 30 e anche del 40%? “Infatti – leggiamo sempre nell’articolo di GranoSalus – la pasta 100 per cento grano italiano costa dai 3 euro in su, mentre il grano 100 per cento italiano è sceso in meno di 6 mesi da 0,58 a 0,36 euro al chilo; circa 10 volte in meno il prezzo della pasta 100 per cento italiana”.
Insomma, il prezzo della pasta 100 per cento grano duro italiano cresce, mentre il prezzo del grano duro italiano diminuisce: possibile che dalle parti del Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare non si siano accorti di nulla? A cosa serve questa “Sovranità alimentare”? A riempirsi la bocca di chiacchiere? “Già in passato – leggiamo sempre nell’articolo di GranoSalus – le rilevazioni dell’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Alimentare) mostravano che i prezzi del ‘grano duro fino’ nazionale erano estremamente variabili tra loro e non sembravano rispondere ad una logica precisa; anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, durante un’audizione in Senato nella XVIII Legislatura, ha dichiarato: ‘Sotto il profilo della dinamica dei prezzi, si sono registrate forti tensioni a partire dall’anno 2015, con una perdurante spinta al ribasso che ha preso a invertirsi solo negli ultimi mesi dell’anno 2019. Tale tendenza ha interessato il commercio di grano duro a livello mondiale, ma è un dato di fatto che in Italia le quotazioni sono risultate in media ancora più basse. Infatti, in meno di un triennio si è assistito alla perdita in Italia di oltre la metà del precedente valore medio del grano duro, con il passaggio da circa 400 euro/ton nel 2015 a meno di 200 euro/ton tra il 2016 e 2017, e la conseguente forte incidenza sulla redditività d’impresa con prolungati margini negativi per gli agricoltori’; a seguito di questi fenomeni speculativi nell’ultimo decennio è scomparso un campo di grano su cinque, con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati e con effetti dirompenti sull’economia, sull’occupazione e sull’ambiente”. Per essere precisi, nel 2015 il prezzo del grano duro non andava oltre i 18-20 euro al quintale; ciò avveniva perché in Italia arrivava tanto grano duro estero, soprattutto grano duro canadese caricato sulle navi che attraccavano nei porti pugliesi e siciliani. Erano gli anni in cui alcuni personaggi considerati ‘esperti’ dicevano che il grano uro canadese è migliore del grano duro italiano! Dimenticando che il grano duro (e anche il grano tenero) coltivato nelle aree fredde ed umide del Canada e di altri Paesi del Nord viene fatto maturare artificialmente a ‘colpi’ di glifosato.
L’interrogazione – ribadiamo, molto articolata – ha il passo di un approfondimento. “Il nostro Paese – leggiamo sempre nell’articolo di GranoSalus – a fronte di 4 milioni di tonnellate di produzione di granella, necessita di quasi 6 milioni di tonnellate per rispondere al fabbisogno dell’industria molitoria”. Due milioni di tonnellate di granella debbono arrivare dall’estero. Da qui alcune considerazioni: “Mentre le quotazioni del prezzo del grano crollano, non si assiste ad una diminuzione del prezzo della semola o della pasta che, al contrario, hanno subito un’impennata negli scaffali dei supermercati; con evidente danno per i consumatori costretti a pagare, secondo Assoutenti, 1,95 euro un chilo di pasta e 4,7 euro un chilo di pane; l’Unione nazionale consumatori ha elaborato i dati ISTAT per calcolare l’inflazione media provvisoria del 2022. Nella top ten dei rincari ci sono proprio i prodotti alimentari: se in media una famiglia italiana nel 2022 ha speso 513 euro in più rispetto al 2021, nelle classi di spesa la voce pane e cereali, che include pane, pasta, farina e riso, fa vincere la classifica dei rincari, con una spesa aggiuntiva di 100 euro rispetto al 2021, a fronte di un’inflazione media del 10,9 per cento. L’esborso può superare i 700 euro per una coppia con due figli; a causa della speculazione indisturbata, le famiglie italiane sono costrette a consumare 100 euro in più all’anno per portare in tavola pane e pasta”. Da qui un’amara conclusione: “Sono, dunque, proprio pane e pasta a svuotare le tasche degli italiani”.
Altra considerazione importante: “Sul tema inflazione in altri Paesi – leggiamo sempre nell’articolo di GranoSalus – soprattutto in Francia, è stato avviato un dibattito pubblico tra produttori e distribuzione su chi abbia la responsabilità di questo andamento anomalo. In Italia il dibattito non è nemmeno cominciato e si rischia prima o poi lo scoppio di una rivolta dei consumatori e dei produttori. Sarebbe necessario, addirittura, ricorrere ai prezzi amministrati per un paniere di beni indispensabili di cui le famiglie non possono fare a meno”. Nell’articolo si ricordano “i fatti accaduti nelle Camere di Commercio di Foggia e di Bari, in cui i prezzi sono stati modificati al ribasso per oltre 30 euro a tonnellata, appare ancora più evidente la necessità di formare un prezzo unico nazionale; l’accresciuta volatilità dei listini delle commodity agricole sui mercati internazionali ha acceso in passato un forte dibattito su un possibile intervento pubblico capace di mitigare gli stessi effetti indesiderati; una delle misure dei precedenti governi è stata la Commissione prezzi Unica Nazionale (CUN), frutto di intese al tavolo di filiera e unico strumento in grado di garantire equità e trasparenza nella previsione dei prezzi del grano; ma la sua attività, sia pur sperimentale, è stata interrotta da Ottobre 2022 senza motivazioni plausibili, mentre tutto il mondo agricolo aspettava che diventasse effettiva; l’istituzione della CUN si rende necessaria perché le borse merci sono uno strumento ormai obsoleto, come riconosciuto anche da una sentenza del TAR di Foggia (n. 01200/2019) da cui emerge che ‘le rilevazioni dei prezzi non si basano su dati documentati da fatture o da altri riscontri certi e facilmente verificabili, ma su dati riportati solo oralmente dai presenti; e, pertanto, frutto di un’istruttoria deficitaria, in contrasto con le delibere di giunta nn 52 del 2009 e 67 del 2016 a mente delle quali le quotazioni devono essere basate su elementi certi di valutazione”. Vizi formali e sostanziali hanno portato il TAR ad annullare i listini settimanali dei prezzi del grano duro della camera di commercio di Foggia per gli anni 2016 e 2017″.
“Quali urgenti iniziative il Ministro in indirizzo intenda assumere, anzitutto per contrastare la speculazione in atto da parte dei molini nel mercato italiano, che sta causando l’aumento dei prezzi del pane e della pasta, in un momento così difficile per la popolazione in cui si mescolano fenomeni di inflazione importata e fenomeni speculativi;
se non ritenga di dover vigilare sulla grave situazione che riguarda la dinamica dei prezzi, quale quello di semola, pasta e pane, anomalo rispetto a quello del grano duro nazionale, anche attraverso il coinvolgimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;
se non ritenga di riavviare subito, nell’attesa di quella effettiva, l’istituzione di una commissione unica nazionale sperimentale, e l’istituzione del registro telematico di carico e scarico della merce che entra ed esce dai mulini”.
L’interrogazione ha grande valenza politica per almeno tre ragioni. In primo luogo, perché mette a nudo l’inadeguatezza del Governo – e segnatamente del Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida – che fino ad oggi non ha certo tutelato i produttori di grano duro italiani e, segnatamente, gli agricoltori di Puglia e Sicilia, dove si coltiva l’80% circa del grano duro italiano. Al pari dei governi che l’hanno preceduto, il Governo di Giorgia Meloni, su questo fronte, si presenta come il solito Governo a ‘trazione’ nordista, pronto a fare gli interessi delle industrie del Nord Italia, sacrificando gli interessi del Sud e della Sicilia. In secondo luogo, l’interrogazione non arriva dalle opposizioni ma da un partito dello stesso Governo – Forza Italia – al quale il Ministro Lollobrigida dovrà dare risposta. In terzo luogo, l’interrogazione dimostra, con la forza dei fatti, l’atteggiamento di un partito, Fratelli d’Italia – al quale fanno capo la presidente del Consiglio Meloni e il Ministro Lollobrigida – che non esita a penalizzare il Sud e la Sicilia anche sul fronte dell’agricoltura. Lo stop alla CUN grano duro da quando si è insediato il nuovo Governo italiano è incredibile e dà la misura di un totale disinteresse dello stesso Governo verso i produttori di grano duro che si concentrano per lo più nel Sud e in Sicilia. E’ bene che tra un mese, quando si andrà a votare, i produttori di grano duro del Sud e, in generale, tutto il mondo agricolo del Mezzogiorno d’Italia si ricordino di questi fatti e ne traggano le opportune conseguenze.
P. s.
‘Complimenti vivissimi’ alle opposizioni di centrosinistra pressoché ‘latitanti’ sul grano duro italiano. Chissà, magari gli esponenti di queste forza politiche sono a dieta e preferiscono evitare i carboidrati…
QUI L’ARTICOLO DI GRANOSALUS E IL TESTO DELL’INTERROGAZIONE
Foto del Ministro Lollobrigida tratta da L’Informatore Agrario