Oggi ricorre l’anniversario del disastro nucleare di Černobyl’. I fatti avvennero il 26 Aprile del 1886. Per l’Italia – come del resto per altri Paesi europei – furono giorni difficili. L’incidente coincise con le vacanze pasquali. Le esplosioni che colpirono la centrale nucleare di Černobyl’ (che non furono ma termochimiche), come si legge su Wikipedia, hanno dato luogo a quello che, ancora oggi, viene considerato “il più grave incidente della storia dell’energia nucleare e l’unico, insieme a quello di Fukushima del 2011, a essere classificato al settimo livello, il massimo, della scala di catastroficità INES”. Černobyl’ si trova nell’odierna Ucraina, che allora era la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Si trova a circa 100 Km a Nord di Kiev, al confine con la Bielorussia.
“Alla base del disastro – leggiamo sempre su Wikipedia – vi sarebbero stati errori di procedura nel corso di un test di sicurezza sul reattore nº 4 della centrale, finalizzato a ottenere la definitiva omologazione dell’impianto, che consisteva nel verificare la possibilità di alimentare le pompe del sistema di raffreddamento anche in caso di black-out elettrico, utilizzando l’elettricità prodotta dal movimento inerziale delle turbine per il tempo necessario ad attivare i generatori elettrici/gruppi di generazione Motore Diesel/diesel-elettrici di emergenza. Test identici erano già stati condotti in passato: dal 1982 se ne erano tenuti tre, con esito negativo. Il test che provocò l’incidente era stato posticipato di 10 ore rispetto all’orario programmato: ciò implicò che il personale di turno che si trovò a compierlo non era la stessa squadra che si era preparata allo scopo. Nel periodo precedente al test, il reattore era stato mantenuto a una potenza ridotta per molte ore. Durante il lasso di tempo che precedeva lo spegnimento previsto dal test, la potenza del reattore venne ulteriormente abbassata e durante la prova fu ulteriormente sollecitato fino a raggiungere condizioni instabili. La perdita di potenza del reattore per ragioni accidentali andò molto oltre il desiderio degli operatori e oltrepassò i limiti di sicurezza, anche a causa di un fenomeno detto avvelenamento da xeno, che mascherava la reale attività del reattore. Anziché interrompere il test e spegnere immediatamente il reattore come imposto dai protocolli, si decise, contravvenendo alle raccomandazioni di sicurezza, di cercare di incrementare nuovamente la potenza estraendo quasi tutte le barre di controllo. Il reattore divenne così ulteriormente instabile, inducendo i tecnici ad abortire il test compiendo la manovra di spegnimento istantaneo (procedura SCRAM) tramite attivazione del pulsante detto AZ-5. La precisa scansione temporale degli eventi immediatamente precedenti e successivi all’istante dello spegnimento è stata oggetto di ricostruzioni divergenti: il dato certo è che, in corrispondenza dell’inizio della manovra d’emergenza, il reattore non si spense e anzi guadagnò ulteriormente potenza, in modo rapidissimo e molto oltre ogni limite di sicurezza. Ciò fu dovuto a un grave difetto di progettazione delle barre, che causò un surriscaldamento improvviso, tale da deformare i condotti di discesa e bloccare il movimento dei moderatori. In pochissimi secondi la potenza superò i 30 GW, cioè 10 volte il massimo previsto, producendo grandi volumi di gas la cui pressione causò un’esplosione che proiettò in aria il pesantissimo coperchio di cemento e acciaio del reattore, il quale ricadde verticalmente sull’apertura lasciando il recipiente scoperchiato. Subito dopo seguì una seconda, potentissima esplosione, causata dall’ignizione dell’idrogeno e dalla polvere di grafite espulsi dal reattore e mescolatisi con l’ossigeno dell’aria, che distrusse l’edificio. La grafite contenuta nel nocciolo, in gran parte polverizzato e completamente esposto all’atmosfera, prese poi fuoco e l’incendio si estese alle strutture adiacenti”.
“Le autorità sovietiche – leggiamo sempre su Wikipedia – all’inizio non divulgarono la notizia, ma dovettero ammettere l’incidente dopo alcuni giorni, quando l’aumento anomalo delle radiazioni atmosferiche fu rilevato in Svezia e la notizia si diffuse a livello internazionale. Vi furono pesanti conseguenze politiche, sia internazionali sia interne, per la credibilità e il prestigio tecnico-scientifico dell’Unione Sovietica. Le nubi radioattive raggiunsero in pochi giorni anche l’Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia, toccando, con livelli di radioattività inferiori, anche l’Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l’Austria e la penisola balcanica, fino a porzioni della costa orientale del Nord America, provocando un allarme generale e grandi polemiche. Un rapporto del Chernobyl Forum redatto da agenzie dell’ONU (OMS, UNSCEAR, IAEA e altre) conta 65 morti accertati e più di 4 000 casi di tumore della tiroide fra quelli che avevano tra i 0 e 18 anni al tempo del disastro, larga parte dei quali attribuibili alle radiazioni; la maggior parte dei casi è stata trattata con prognosi favorevoli, con soli 15 decessi dal 2002. I dati ufficiali sono contestati dalle associazioni antinucleariste, fra le quali Greenpeace, che ipotizzano fino a 6000000 decessi su scala mondiale nel corso di 70 anni, contando tutte le tipologie di tumori.[3] Il gruppo dei Verdi al parlamento europeo, pur concordando con il rapporto ufficiale ONU sul numero dei morti accertati, lo contesta sulle morti presunte, che stima in 30 000-60 000… Le esplosioni non furono di tipo nucleare – non si trattò di una reazione a catena incontrollata di fissione nucleare come nelle bombe atomiche – bensì furono termochimiche: il surriscaldamento del nocciolo, dovuto all’improvvisa perdita di controllo sulla reazione nucleare, portò al raggiungimento di una temperatura elevatissima che fece arrivare la pressione del vapore dell’impianto di raffreddamento a un livello esplosivo. Si erano innescate, inoltre, reazioni fra le sostanze chimiche contenute (acqua e metalli), in particolare la scissione dell’acqua in ossigeno e idrogeno, catalizzata dallo zirconio presente nelle tubazioni del nocciolo, per effetto delle temperature raggiunte, che contribuirono a sviluppare i grandi volumi di gas altamente infiammabile che diedero luogo alla seconda esplosione”.
Come già ricordato, gli effetti negativi dell’incidente nucleare si ebbero in tutta l’Europa. In Italia, leggiamo sempre su Wikipedia, “Le prime reazioni delle fonti ufficiali tesero a minimizzare il possibile impatto della nube radioattiva sul territorio italiano. Durante una conferenza stampa ai primi di maggio, la rivista La Nuova Ecologia e la Lega per l’Ambiente resero invece noti dati che documentavano la presenza preoccupante di radionuclidi su molte aree del Paese. Nei giorni successivi le autorità vietarono perciò il consumo degli alimenti più a rischio, come latte e insalata. Il 10 maggio a Roma una grande manifestazione popolare a cui parteciparono più di 200.000 persone segnò il primo passo verso il referendum che l’anno successivo portò all’abbandono dell’energia nucleare in Italia. L’incidente e soprattutto i ritardi da parte delle autorità italiane nel dare l’allarme in una situazione che vedeva già dalla metà degli anni settanta una crescente mobilitazione contro il nucleare, rappresentarono un punto di svolta nella storia dell’ambientalismo italiano: per il referendum del 1987 vennero raccolte in pochi mesi oltre un milione di firme, l’associazione Legambiente e il WWF raddoppiarono i soci, mentre alle elezioni politiche del 1987 i Verdi ottennero quasi un milione di voti.[113] Ancora oggi sono riscontrabili nell’ambiente e nei sedimenti dei fiumi alcune tracce, innocue per la salute e per l’ambiente[senza fonte], degli elementi radioattivi depositati dalla nube (qui per esteso l’articolo di Wikipedia). In Italia la politica ha la memoria corta, tant’è vero che i fallimentari governi degli ultimi anni sono tornati a proporre il ricorso al nucleare, fregandosene della volontà popolare espressa dal referendum. Atteggiamenti tipico di un paese di Pulcinella come l’Italia, dove i referendum non servono a nulla: basti pensare al referendum sull’acqua pubblica del 2011 il cui esito – stracciante vittoria dei fautori dell’acqua pubblica – viene ignorato dalla politica.
Foto tratta da Certifico Srl