“Il cibo si produce in campagna. Chiude Upward Farms, la fattoria verticale più grande del mondo”. Si apre così un post della pagina Facebook di Foodiverso, che racconta la fine di un’esperienza che si è dimostrata sbagliata, nonostante i grandi capitali investiti per sostituire i terreni agricoli tradizionali con un’agricoltura da sviluppare in verticale, magari per utilizzare gli stessi terreni agricoli per produrre energia solare, come certi personaggi vorrebbero fare in Sicilia. “A quanti credono che l’agricoltura, come l’abbiamo sempre conosciuta, sia un’attività fungibile – leggiamo sempre nel post di Foodiverso – a quanti pensano che i terreni agricoli possano essere sede di #impiantifotovoltaici e a quanti immaginano un futuro di #polverediinsetti e #carnesintetica, ci permettiamo di segnalare che la più grande realtà di vertical farming al mondo ha cessato l’attività. Non sono stati sufficienti i 141,7 milioni di dollari di finanziamenti raccolti dai suoi fondatori, che hanno concluso affermando: “Abbiamo scoperto che l’#agricolturaverticale è infinitamente complessa: mentre affrontavamo le sfide, ne sono emerse di nuove… I coltivatori indoor hanno molto da imparare dall’#agricoltura rigenerativa e dalla gestione del suolo…”. Nel post si parla anche di Just Food che ha scritto: “La maggior parte di queste aziende non sono redditizie in quello che è ancora un settore relativamente nascente e che richiede un certo tipo di dimensioni e di investimenti per rimanere redditizio e competere con le colture tradizionali”. Da qui le conclusioni di Foodiverso: “Meditate gente, meditate. #verticalfarming”.
Anche FM Fruitbook Magazine dedica qualche riflessione alla chiusura di Upward Farms: “Fondata nel 2013, Upward Farms con sede a Brooklyn, (NY) operava da 10 anni nella produzione di verdure a foglia secondo il metodo del vertical farming, coniugato con l’antica pratica agricola dell’acquaponica (foto tratta da Regioneambiente.it)– già utilizzata in modo più rudimentale dagli indigeni – e che Upward Farms ha sviluppato in modo più tecnologico, in modo tale che le deiezioni dei pesci da loro allevati potessero
La verità è che queste aziende che puntano a sostituire l’agricoltura tradizionale richiedono ingenti investimenti che rendono diseconomico il processo di produzione. Insomma, le leggi dell’economia – con le quali l’agricoltura tradizionale si scontra da sempre – hanno avuto la meglio sull’agricoltura verticale. Con molta probabilità, anche l’aumento del costo dell’energia non ha certo aiutato un settore che, per andare avanti, ha bisogno di tanta energia a basso costo. Nell’articolo si racconta delle difficoltà che ha incontrato la tedesca Infarm, altra grande realtà di vertical farm. Lo stesso discorso vale per la francese Agricool, che si è scontrata con costi di produzione insostenibili. La fine di queste esperienza deve fare riflettere il cosiddetto Occidente industrializzato, che sembra entrato in un periodo di grande crisi non privo di contraddizioni. Da qualche settimana, ad esempio, con grande superficialità, l’informazione occidentale ha celebrato la carne in vitro o carne sintetica o, se si preferisce, carne da laboratorio. Ancora oggi stiamo assistendo a una sorta di festival demenziale con la celebrazione di un prodotto che verrebbe prodotto nel rispetto dell’ambiente, con una riduzione del consumo di acqua e via continuando con una serie di inesattezze degne della disinformazione del nostro tempo. Del resto, se per fare guadagnare una barca di soldi alle multinazionali farmaceutiche l’Occidente ha ‘riscritto’ la Microbiologia presentando un mirabolante ‘vaccino’ contro un Coronavirus ad Rna, cosa volete che sia la presentazione come ‘cosa fatta’ del sogno di sostituire gli allevamenti con la carne da laboratorio ‘ecologica’, prodotta nel rispetto dell’ambiente? Detto e fatto. Ma…
Ma ci sono tanti ma e tanti però. Che sono legati a fatti oggettivi, che è impossibile smentire. Non è vero, ad esempio, che la carne da laboratorio si produce con poca acqua; e non è vero che si produce con poca energia. Ma se i problemi della carne in vitro fossero solo questi sarebbe nulla. La carne da laboratorio è stata presentata dall’informazione occidentale già bell’e pronta: la televisione ha immortalato l’immagine di una fettina di carne impanata e pronta per essere gustata. Stupendo, no? Poche, o addirittura pari a zero le informazioni sui bioreattori grazie ai quali tale carne artificiale viene prodotta. Già, i bioreattori che richiedono una quantità di energia non indifferente. Qualcuno ha effettuato un raffronto? E’ stato calcolato se l’energia che occorre per produrre la carne in vitro sia inferiore o superiore all’energia che viene utilizzata per produrre la carne convenzionale? Come mai la televisione non ha affrontato questo aspetto? Ci si lamenta – correttamente – dei gas serra emessi dagli animali negli allevamenti. Come mai nessuno ha messo in evidenza il fatto, tutt’altro
Foto tratta da Produce Grower