di Massimo Costa
Raffaele Lombardo, ex presidente della Regione siciliana, assolto definitivamente dopo tredici anni dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, passerà alla storia come un Giano Bifronte. Il primo presidente della Regione dai tempi lontani di Rino Nicolosi ad avere tentato di fare rispettare il dettato statutario della Sicilia, almeno in piccola parte, ed anche uno dei pochi ad avere fatto rispettare la Sicilia in quanto tale. Ma anche un presidente incapace di separarsi dalla tradizione feudale e democristiana nella quale era cresciuto e che per lui era metodo politico, sistema di potere, unico orizzonte. Mentre lui lanciava sinceri messaggi di riscatto della Sicilia, i suoi colonnelli erano TUTTI i soliti “cambiacasacca” del più decadente centro-destra, senza un briciolo di “amor patrio”; senza il quale non può esistere alcun riscatto della Sicilia. Fece il miracolo di portare gli autonomisti nel Parlamento nazionale e di totalizzare il 22% dei consensi sulle sue liste autonomiste. Ma poi lo buttò, non comprendendo sino in fondo le potenzialità dell’Insularità (eh! Lui è per il “Ponte”!), né la basilare differenza tra Sicilianismo e Meridionalismo. Non riuscì mai ad emanciparsi veramente dall’abbraccio subalterno con il centro-destra italiano. Con il quale avrebbe dovuto contrattare almeno da pari a pari. Neanche quando il leghista Roberto Calderoli – oggi ministro delle Regioni – lo umiliò introducendo lo sbarramento alle Europee (che è poi rimasto), al solo scopo di farlo fuori da Bruxelles, o quando Bossi, all’indomani delle elezioni, disse “mai più vertici” (sottinteso a “tre”, fuori i “terroni” dai vertici di governo). Potremmo ricordare anche la subalternità a Confindustria e gli “inciuci” con la sinistra isolana, il governare con maggioranze a vista, la vanagloria del suo assessore all’Economia, il “nominificio” compulsivo, fin oltre il tempo massimo, e tanto altro ancora. Come, ad esempio, essersi lasciato prendere in giro dall’operazione di Grande Sud, quando pezzi importanti della sua stessa maggioranza “meridionalista” e sicilianista apertamente flirtavano con Rosario Crocetta per affondare lo stesso Gianfranco Micciché (o era partecipe del “complotto”? Non lo sapremo mai: Lombardo certe volte resta sfinge indecifrabile).
Però oggi non vogliamo parlare delle ombre, pur molteplici. Ma dobbiamo dare a Cesare quel che è di Cesare. Con tutti i suoi difetti Lombardo fece qualche riforma, tentò di aggiustare qualche falla qua e là nella sgangherata macchina lasciata da Totò Cuffaro, ma soprattutto seppe coraggiosamente dire qualche no. E qualcuno gliela “fece pagare”. Il suo processo per mafia era falso sin dal principio. Lo si capiva subito. Le intercettazioni dicevano che “avrebbe mancato le promesse”. Primo imputato per mafia ad essere accusato non per aver favorito la mafia, ma proprio per non averla favorita. Semplicemente ridicolo. E perché Lombardo divenne mafioso da sera a mattina? Per una questione che – perdonate l’immodestia apparente – solo io e pochi altri sappiamo veramente. È arrivato il momento di dirlo, chiaramente. La stagione autonomista di Lombardo, sia pure tra molte contraddizioni, aveva suscitato speranze in una Sicilia afflitta e disperata. Alcuni gruppi, minoritari ma molto attivi, manifestavano per l’attuazione dello Statuto. Uno dei momenti più alti fu quello dello Statuto Fest del 2011. Alcuni giornalisti coraggiosi come Giulio Ambrosetti e Antonella Sferrazza puntavano i riflettori su questo mondo. Un giovane economista aziendale si prodigava come un apostolo a diffondere il Verbo dello Statuto, insieme all’Associazione “La Sicilia e i Siciliani per lo Statuto” cui la Sicilia deve molto. In questo barile di polvere, nel Gennaio del 2012, scoppiò infine la Rivolta dei Forconi, che si colorò subito di vero e profondo sicilianismo di popolo. Nel 2012 la Sicilia fece tremare l’Italia di Mario Monti. Centinaia di migliaia di bandiere siciliane inondavano le nostre strade e fu persino bruciata la bandiera italiana. In una nota riunione di popolo di Catania, quando Mariano Ferro chiese cosa volevano i “rivoltosi” a gran voce dissero in molti “Statuto! Statuto!”. Lo Statuto era diventato una battaglia comune, un ideale. Non era solo la difesa dei terreni agricoli o del carburante per gli autotrasportatori o i pescatori. Lo Statuto e l’Autonomia erano il collante di un movimento di popolo vero, vero ma relativamente acefalo.
Lo Stato profondo d’Italia ebbe buon gioco a disinnescare la bomba. Agli autotrasportatori fece uno sconto, levando agli altri rivoltosi, centinaia di migliaia, la “forza d’urto” che questi garantivano. Agli agricoltori promise un “tavolo tecnico” sull’agricoltura al quale qualcuno credette per qualche tempo, ma di cui non si seppe più niente. A tutti gli altri, e alla stessa Regione, promise un tavolo tecnico (questo realmente istituito) nientemeno che sulla Questione Finanziaria Siciliana, la madre di tutte le battaglie. Sia Lombardo, sia l’allora assessore regionale Gaetano Armao, furono onestamente dalla parte della Sicilia in quella occasione, va riconosciuto. Il tavolo tecnico si costituì, con l’assessore, e con il Ragioniere Generale Dott. Biagio Bossone, chiamato direttamente dal Fondo Monetario Internazionale ad aggiustare i conti della Sicilia; uno dei migliori ragionieri che abbia mai avuto la Sicilia, e mio personale amico e compagno di ricerche scientifiche. Naturalmente “cacciato” in malo modo da Rosario Crocetta poco dopo il suo arrivo. Il tavolo tecnico con Roma si dotò a Palermo di un ampio comitato consultivo dell’assessore: c’erano funzionari della Regione di prim’ordine, rappresentanti della Corte dei Conti, professionisti e professori universitari. Tra questi, a “furor di popolo”, del “popolo sicilianista”, bontà loro, si volle che il sottoscritto entrasse in quel comitato. Subito si entrò in fase operativa. Io, e posso dirlo con la massima schiettezza, chiesi ad Armao perché non tagliassimo subito la testa al toro: “Non chiediamo niente allo Stato, ci diano soltanto le nostre risorse, quelle previste dallo Statuto”. Preparai una bozza di relazione da sottoporre al Ministero dell’Economia e della Finanze allo scopo. Preparai anche una serie di decreti attuativi risolutivi; decreti che la Regione pubblicò a mia firma nel suo sito istituzionale (forse sono ancora là, da qualche parte). Di fronte a questa mia bozza, il Prof. Armao ci mise dentro tutta la sua non comune cultura giuridica (sarà stato in futuro anche assai poco coraggioso nei confronti dello Stato, ma non è certo la competenza giuridica che gli difetta), per farne un prodotto migliore. Produsse un documento ufficiale che era un vero capolavoro. Lombardo avallò tutto. La Sicilia voleva il 100% delle imposte maturate, non riscosse, in Sicilia, con una Agenzia delle entrate propria, una rideterminazione equa del contributo al risanamento della finanza pubblica erariale, una rideterminazione del Fondo di Solidarietà Nazionale nel suo dettato letterale e…. basta! Non voleva più niente. Lo Stato doveva andarsene dalla Sicilia: Difesa ed Esteri e nient’altro. Al resto avremmo pensato noi. Non avremmo chiesto più un centesimo, e avremmo provveduto da soli a tutti i bisogni della Sicilia. Con la possibilità di manovrare i tributi, facendo leva sulla Sentenza “Azzorre”. La Sicilia sarebbe rinata, non sarebbe stata più il bancomat dello Stato italiano. Facevamo anche i conticini (sono un po’ bravino in questo), per dimostrare che allo Stato non stavamo chiedendo nulla e la manovra era totalmente coperta dal punto di vista finanziario.
Questa proposta prese quindi il via per la Capitale. Seguì un silenzio tombale da Roma. Gelo, totale. Saranno raggelati al vedere questa proposta: la Sicilia fa da sola? Non vuole più niente e non dà più niente? Vuole applicare lo Statuto? Ma sono pazzi? Dopo alcune settimane di silenzio arriva, senza protocollo e senza firma, non si sa scritto da chi, un foglietto in cui si accenna che la proposta della Regione sarebbe stata “senza copertura finanziaria”. Cosa buttata là, “ad casum”, o qualcosa che assomiglia alla parola “casum”… La Regione chiede spiegazioni; spiegazioni che non arrivano. Improvvisamente, come se qualcuno avesse lanciato il “la”, tutti i giornali del giornale unico nazionale lanciano l’allarme sulla “Sicilia che sta fallendo”. Naturalmente nulla di tutto ciò era vero. La Sicilia sarebbe fallita più tardi, come avremmo denunciato in un celeberrimo articolo sulla Voce di New York del 2015. Profezia puntualmente avverata: la Sicilia di Rosario Crocetta e Nello Musumeci è come se fosse fallita, come se avesse portato i libri in tribunale, e da allora fosse commissariata. Ma questa è un’altra storia. Ai tempi di Lombardo, ciò non era affatto vero. Era la risposta mediatica dell’Italia a una Sicilia che non ci stava a farsi derubare. Subito dopo, resistendo ancora Lombardo, ed essendo quindi saltato il “Tavolo Tecnico”, arrivò, puntuale come un orologio svizzero, la sempiterna accusa di “mafia” per il Siciliano ribelle di turno. Aveva funzionato con Cuffaro, perché non avrebbe dovuto funzionare con Lombardo? Ecco, la mia interpretazione, l’unica possibile, è che Lombardo fu dichiarato mafioso perché ribelle al sistema italiano. Doveva essere fatto fuori. E fu fatto (almeno temporaneamente) fuori. Tardivamente tentò di imprimere allora una svolta al suo partito, ridenominandolo “Partito dei Siciliani”. Troppo tardi, i giochi erano fatti. L’accusa di mafia per Lombardo fu quindi una grande ingiustizia, verso di lui, ma anche verso la Sicilia tutta. Buttata là, orchestrata chissà da chi (io un’idea ce l’ho) per danneggiarci, anzi, a giudicare da cosa sarebbe venuto dopo, letteralmente per sbranarci. Io che ho vissuto in prima persona quella stagione, fui realmente turbato dalla slealtà, dalla cialtronaggine di uno Stato che ancora non conoscevo molto bene. Non avrei più avuto modo di riacquistare alcuna fiducia in esso, anzi, se posso dire, ben altre cose mi avrebbero stupito sfavorevolmente in anni a noi più vicini. Più si va avanti e più l’Italia non finisce di stupirmi in negativo, andando sempre al di là di ogni più tetra immaginazione.
Ora sento dire che il Lombardo “risorto” potrebbe volersi rimettere in pista. Alcuni lo vociferano anche Sindaco di Catania, magari alleandosi nuovamente (ma quante volte si sono pigliati e lasciati?) con il capopopolo di Messina. Bene, quel riconoscimento glielo dovevo. Ma gli devo anche dire che il suo momento storico è finito. La sua carica propulsiva si è esaurita con il suo governo nel 2012. Dia consigli, se vuole, potrebbero anche essere preziosi. Ma i Siciliani ormai devono imparare a fare da soli e a non farsi rappresentare da metodi e paradigmi vecchi e logori, da democristiani travestiti da sicilianisti. Il nazionalismo siciliano è maturo e deve dare prova di esserlo, oggi più che mai.
Foto tratta da Cataniaoggi.it