Sarà interessante capire cosa succederà domani nel mercato internazionale del petrolio. Alla fine della scorsa settimana i prezzi del petrolio sono aumentati di oltre il 2%. “I future sul greggio Brent sono infatti saliti attestandosi a 1,89 dollari, o al 2,2%, a 86,39 dollari al barile – leggiamo nel report di ieri – 11 Febbraio – dell’analista dei mercati internazionali, Sandro Puglisi -. I future sul greggio WTI (West Texas Intermediate) degli Stati Uniti sono aumentati di $ 1,66, o del 2,1%, a $ 79,72. Il Brent ha registrato un guadagno settimanale dell’8,1%, mentre il WTI ha guadagnato l’8,6%”. Quindi la notizia che, come si usa dire in Sicilia, ha fatto un po’ di scruscio (leggere rumore): “La Russia ha annunciato che ridurrà la sua produzione di petrolio del 5% (circa mezzo milione di barili) nel Marzo 2023. Il taglio alla produzione è una risposta di ritorsione del Cremlino alle recenti sanzioni occidentali sui prodotti energetici russi. Le sanzioni – leggiamo sempre nel report – hanno limitato il prezzo del petrolio russo a 60 dollari al barile, quindi la rappresaglia della Russia riflette probabilmente le crescenti sfide per la Russia di vendere il suo petrolio ad un prezzo redditizio a livello internazionale”. Puglisi cita un articolo del Wall Street Journal a firma del reporter Georgi Kantchev dove si osserva che “la mossa di Venerdì è stata la prima in cui Mosca ha telegrafato una specifica risposta dei mercati petroliferi alle misure occidentali, sollevando lo spettro che ora stesse brandendo il petrolio come arma nella guerra economica in corso tra la Russia e l’Occidente”. Puglisi aggiunge che “ci sono state dichiarazioni contrastanti da parte del Governo russo sul fatto che questa mossa avesse ricevuto la benedizione dell’OPEC+”.
Per la cronaca, l’OPEC+ è un’organizzazione di Paesi esportatori di petrolio, fondata nel 1960. Ne fanno parte 14 Paesi dislocati tra il Medio Oriente, l’Africa e il Sudamerica. A rigor di logica, questi Paesi hanno due buone ragioni per non ostacolare la Russia aumentando la produzione di petrolio. La prima ragione è che si tratta di Paesi che non sembrano in sintonia con gli Stati Uniti d’America. A parte i 14 Paesi africani ancora sotto il giogo della Francia, quasi tutti gli altri Paesi africani sono oggi vicini alla Cina, Paese alleato della Russia; lo stesso discorso vale per i Paesi del Medio Oriente e del Sudamerica, dove gli Stati Uniti stanno tentando disperatamente di tenere nell’Occidente Brasile e Perù tra elezioni ‘taroccate’ (in Brasile) e colpo di Stato (in Perù). In più, i Democratici che oggi governano l’America hanno dovuto registrare l’addio dei Paesi del Golfo, oggi sempre più vicini alla Cina. La seconda ragione è che non aumentando la produzione di petrolio i prezzi di questo bene si mantengono elevati: e da questo i Paesi dell’OPEC hanno tutto da guadagnare. Questa potrebbe essere la strategia vincente do Russia e Cina nella guerra in Ucraina: facendo alzare i prezzi del petrolio aumenterebbe l’inflazione penalizzando in parte gli Stati Uniti ma soprattutto l’Unione europea, che non è autosufficiente in materia di gas e di petrolio. Questa potrebbe essere la risposta dei russi per mettere in grande difficoltà l’Unione europea che continua a fornire soldi e armi all’Ucraina. Per l’Italia sarebbe una rovina, perché finirebbe ‘schiacciata’ dalla Banca Centrale Europea (BCE) che potrebbe essere costretta a nuovi innalzamenti dei tassi di interesse e da un aumento dei prezzi di benzina e gasolio che manderebbero in tilt l’economia, se è vero che nel nostro Paese il 90% delle merci viaggia su mezzi gommati. In parole semplici, un aumento sensibile del prezzo di benzina e gasolio agirebbe come effetto moltiplicatore dell’inflazione, perché aumenterebbero i prezzi di tutti i prodotti trasportati con i mezzi gommati. Caos economico totale! Peggio di Zelensky al festival di Sanremo…
Foto tratta da Prezzo del Petrolio