Cresce il prezzo del petrolio. Presto i prezzi sopra i 100 dollari al barile?/ MATTINALE 899

25 dicembre 2022
  • Il 2023 potrebbe rivelarsi come l’anno dell’impennata dei prezzi del petrolio 
  • Perché i social occidentali con gli algoritmi ‘addomesticati’ rischiano di danneggiare se stessi 
  • La presa per i fondelli del price cape della Ue sul gas e Cina e Russia che ormai sono di fatto alleati dei Paesi petroliferi 
  • Le previsioni della banca svizzera UBS

Il 2023 potrebbe rivelarsi come l’anno dell’impennata dei prezzi del petrolio 

Che succederà nel 2023 nel mondo del petrolio? Domanda obbligatoria alla luce di quanto sta succedendo. Fino a qualche settimana fa si temeva un crollo dei prezzi per via delle restrizioni anti-Covid della Cina. Ma la stessa Cina, improvvisamente, ha cambiato strategia e ha quasi eliminato del tutto le restrizioni, ciò sta provocando un aumento del numero di infezioni a cui si sta accompagnando un’impennata della domanda di petrolio. Se l’economia cinese riparte, si sa, i consumi crescono. La nuova strategia cinese va vista e inquadrata anche alla luce degli errori commessi dall’America di Biden, entrata in contrasto anche con l’Arabia Saudita e con i Paesi del Golfo? Un fatto è certo: l’aumento della domanda di petrolio, nelle ultime due settimane, ha fatto schizzare all’insù il prezzo di questo prodotto. “Nei mercati dell’energia – scrive l’analista dei mercati internazionali, Sandro Puglisi – i prezzi del petrolio sono saliti di circa $ 3 al barile Venerdì per una seconda settimana consecutiva di guadagni dopo che Mosca ha dichiarato che potrebbe tagliare la produzione di greggio in risposta al limite di prezzo del G7 sulle esportazioni russe. Il greggio Brent si è attestato a $ 83,92, in rialzo di $ 2,94 o del 3,6%, mentre il greggio statunitense West Texas Intermediate (WTI) si è attestato a $ 79,56 al barile, in aumento di $ 2,07 o del 2,7%. Entrambi i benchmark hanno registrato i maggiori guadagni settimanali da Ottobre”.

 

Perché i social occidentali con gli algoritmi ‘addomesticati’ rischiano di danneggiare se stessi 

Lo scenario del petrolio è complicato di per sé, ma la guerra in Ucraina e gli effetti che sta provocando sta rendendo ancora più complessa la situazione. la sensazione è che i Paesi del mondo che lavorano per creare una divisa alternativa al dollaro statunitense stiano operando all’unisono. Mentre i Paesi del cosiddetto Occidente industrializzato che orbitano direttamente e indirettamente attorno alla divisa americana – Paesi occidentali che nel mondo sono sempre più minoranza – sono sempre più chiusi in se stessi: osannano il presidente ucraino Zelensky, gli continuano a fornire soldi e armi per continuare la guerra con la Russia e disinformano i propri cittadini facendogli credere di essere al centro del mondo quando ormai non è più così. Gli stessi ‘capi’ dei social occidentali – che sono tutti di matrice americana – con l’uso spregiudicato del algoritmi alterano la corretta informazione senza capire che stanno solo danneggiando se stessi, sia perché non raccontano che l’Occidente, in Ucraina, sta perdendo la guerra, sia perché perdono credibilità e lettori. Mai, come oggi, da quando negli Stati Uniti d’America sono tornati al governo i Democratici, si è vista in giro tanta arroganza e tanti errori strategici.

 

 

La presa per i fondelli del price cape della Ue sul gas e Cina e Russia che ormai sono di fatto alleati dei Paesi petroliferi 

E’ in questo scenario che si gioca la grande partita del petrolio e del gas. Sul gas l’Unione europea sta solo facendo ridere, visto che ha messo in campo un tragicomico price cape che non serve per far abbassare il costo delle bollette ma serve solo a tutelare gli speculatori ‘europeisti’ che, dal Maggio dello scorso anno ad oggi, hanno incassato una barca di soldi sulla pelle dei cittadini. Sconfitto nella guerra in Ucraina, l’Occidente continua ad appioppare sanzioni alla Russia. Il riferimento è al G7 e all’Unione europea che, dallo scorso 5 Dicembre, hanno imposto sanzioni e un prezzo massimo sul greggio russo. La Russia, per tutta risposta, ha annunciato che potrebbe ridurre la produzione di petrolio dal 5% al ​​7% all’inizio del 2023. E’ difficile, in questa fase, non pensare che la Russia sta agendo di concerto con la Cina, con l’Arabia Saudita e con i Paesi del Golfo. Certo, gli obiettivi sono diversi: Cina e Russia perseguono obiettivi geopolitici. Ma se l’offerta di petrolio nel mondo si riduce il prezzo aumenta e di questo aumento Arabia Saudita e Paesi petroliferi in generale hanno tutto da guadagnare, mentre non si capisce cosa ci guadagnerà l’Unione europea sempre più nel pallone.

 

Le previsioni della banca svizzera UBS

Lo scenario internazionale è complicato, se è vero che deve fare i conti non soltanto con la pandemia ma anche con i cambiamenti climatici. Scrive nel suo report Sandro Puglisi a proposito della straordinaria ondata di maltempo che si è abbattuta negli Stati Uniti: “Sia la domanda che la produzione di greggio potrebbero crollare nei prossimi giorni a causa delle chiusure dovute a una massiccia tempesta invernale che si è abbattuta su un’ampia fascia degli Stati Uniti. Molte delle più grandi raffinerie statunitensi hanno chiuso a causa del freddo estremo mentre la produzione è stata interrotta in Texas e nel Nord Dakota”. Ma nello stesso report si legge: “I futures sulla benzina statunitense e sul diesel a bassissimo tenore di zolfo sono entrambi aumentati di oltre il 5% grazie ai previsti tagli alla produzione di raffinazione e all’aumento della domanda di gasolio da riscaldamento. La banca svizzera UBS prevede che i prezzi potrebbero tornare sopra i 100 dollari al barile il prossimo anno a causa dei tagli alla produzione russa e dell’allentamento delle restrizioni relative al COVID in Cina, ha affermato l’analista Giovanni Staunovo. La strada per prezzi più alti rimarrà comunque accidentata”.

Foto tratta da Borsainside

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