Oggi dedichiamo il nostro MATTINALE a un altro possibile ‘furto’ all’Identità siciliana in campo agricolo. Quella che raccontiamo è una storia particolare: la storia di un particolare grano che, purtroppo, non è una varietà e, così, non può essere iscritto nel Registro delle Varietà da Conservazione. In parole semplici, stiamo parlando di un ‘gioiello’ della granicoltura siciliana che le attuali leggi non proteggono e che, di conseguenza, potrebbe essere oggetto di furbi che potrebbero impossessarsi delle spighe per coltivarlo in altre parti d’Italia o in altri Paesi del mondo, magari cambiandogli il nome! Lo sappiamo: chi non è dentro queste storie agronomiche siciliane ci prenderà per esagerati, ma vi possiamo assicurare che è in corso, purtroppo, lo scippo dei grani antichi della Sicilia e forse di tutto il Sud Italia e non sempre, anche a causa della burocrazia italiana di scuola kafkiana, esistono strumenti giuridici per tutelare l’identità siciliana in agricoltura. La Regione siciliana ha aggiunto le parole “Identità siciliana” all’assessorato ai Beni culturali, ma non sempre – soprattutto on materia di agricoltura – riesce a proteggere la propria storia e le peculiarità della propria agricoltura che ha radici antiche. Ma andiamo alla storia che raccontiamo oggi.
Anche in questa occasione dobbiamo ringraziare il professore Paolo Caruso, agronomo e consulente esterno del Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania. E’ merito suo se abbiamo letto un post sulla pagina Facebook Foodiverso: “Grazie a una piacevolissima conversazione con Nello Blangiforti, ricercatore della Stazione di Granicoltura di Caltagirone e maggiore conoscitore dei grani antichi siciliani, ci siamo fatti raccontare la storia che ha determinato il recupero della popolazione locale di grano duro denominata ‘Manto di Maria’. Tutto inizia nel territorio Ibleo, storicamente interessato dalla coltivazione della varietà ‘Ruscia’, che, a partire dal 1950, fu oggetto di una selezione di spighe che portò alla creazione di una nuova popolazione che gli agricoltori locali riprodussero e propagarono con il nome di ‘Russieddu’, oggi iscritto, dopo tante peripezie, da 7 agricoltori custodi al Registro Nazionale delle Varietà da Conservazione con il nome di ‘Russello Ibleo’. All’interno del Russello Ibleo si distinguevano delle spighe ricoperte da uno spiccato strato di cerosità che gli conferiva una colorazione bianca tendente al celeste. Alcuni agricoltori cominciarono a coltivarlo e a chiamarlo Manto di Maria grazie a questa particolare colorazione, dovuta alla presenza di una patina cerosa, che si manifesta soltanto in presenza di particolari condizioni climatiche, tale da far apparire le colline coltivate come ricoperte dal mantello della Madonna. Fu per caso che Nello Blangiforti, insieme a Silvia Turco e al Prof. Iannizzotto, incontrarono un’anziana donna seduta sull’uscio della sua casa di campagna di Scicli, che gli confidò che il marito coltivava da sempre questo grano particolare. Nel campo della signora era effettivamente presente un grano dalla colorazione tendente al celeste che venne identificato come il ‘Manto di Maria’. Il ‘Manto di Maria’ non è una varietà, ma solo un’espressione fenotipica delle spighe di Russello Ibleo, questa caratteristica sommata all’assenza di reperti storici ne impedisce l’iscrizione al Registro delle Varietà da Conservazione. Speriamo però che questa tradizione sopravviva alle pastoie burocratiche e che nessuno si approfitti di questo patrimonio”.
Siamo arrivati al punto cruciale di questa bella storia. Il timore è che questo particolare grano duro – che, lo ribadiamo, non è una varietà ma un’espressione fenotipica delle spighe del grano duro Russello Ibleo, possa essere oggetto di qualche ‘furbata’. Questo timore non va presa alla leggera, perché purtroppo ci sono già stati casi controversi che non stanno certo aiutando la granicoltura siciliana. Che dire, ad esempio del Khorasan? La storia l’ha raccontata qualche tempo da Giuseppe Li Rosi, tra i protagonisti di Simenza: “Stiamo assistendo ad una ennesima colonizzazione post-moderna della Sicilia che continua a non avere alcuna giustificazione morale e politica. Da circa un anno, alcuni soggetti non aggettivabili hanno approfittato di una legge truffa (leggasi Registro Volontario) che ha permesso di iscrivere come varietà ‘Khorasan‘, quello che con buona probabilità è il nostro ‘Perciasacchi’. La Sicilia ha tanti difetti, ma possiede il più straordinario patrimonio di agrobiodiversità d’Europa” (qui trovate l’articolo per esteso). Insomma, c’è il dubbio che stiano utilizzando il Perciasacchi, un’antica varietà di grano duro siciliano al quale hanno cambiato il nome! Per carità, è un dubbio ma è bene che questa storia venga chiarita. Non è il solo caso: qualche giorno fa, sempre grazie al professore Caruso, abbiamo raccontato la storia dei nostri amici del Veneto, che si sono presi la varietà di grano Timilia o Tumminia – anche in questo caso un’antica varietà di grano duro siciliano – e producono la pasta, dimenticando che le varietà antiche di grano iscritte al Registro Nazionale delle varietà da conservazione possono essere coltivate solo nelle regioni di appartenenza, in questo caso in Sicilia. Ma i veneti fanno finta di non capire… E dire che gli stessi veneti, come abbiamo scritto più volte, hanno denunciato agli appositi uffici dell’Unione europea il ‘caso’ del Prošek, un vino da dessert che viene prodotto in Croazia ‘scimmiottando’ il celebre Prosecco veneto. Insomma, per i veneti la cosiddetta etica della reciprocità – in questo caso l’adagio “non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te” – non funziona: loro, i veneti, contestano la Croazia che vorrebbe sfruttare la notorietà del Prosecco veneto, però fanno ciò che non dovrebbe essere fatto alla Sicilia, ovvero utilizzare una varietà di grano antico siciliano facendo finta di non sapere che non si può fare.
Che dire? Che il timore che il grano ‘Manto di Maria’ finisca chissà dove è fondato. Quando sei anni fa abbiamo lanciato l’allarme sul possibile scippo dei grani antichi siciliani non mancarono i commenti ironici. Alcuni dicevano che esageravamo. “Queste varietà di grano – ci dicevano – esistono da sempre e nessuno se n’è mai impossessato”. I fatti stanno dimostrando l’esatto contrario. Le speculazioni sono in atto e, già da tempo, c’è di sta utilizzando, in un modo o nell’altro, il patrimonio, o meglio, la biodiversità legata al mondo dei grani antichi della Sicilia e, forse – questo almeno è il nostro dubbio – di altre aree del Sud Italia. Emblematica la storia del grano duro Senatore Cappelli, che non è un grano antico, ma una varietà selezionata in Puglia nei primi del ‘900 dal celebre genetista agrario, Nazareno Strampelli. Molto coltivata fino ai primi anni ’60 del secolo passato, a un certo punto è stata messa di lato perché la scienza agronomica di quegli anni puntava su varietà di grano di taglia bassa (la varietà di grano duro Senatore Cappelli è invece di taglia alta) più produttive. Dopo l’ubbriacatura dei grani duri a taglia bassa (celebre la varietà di grano duro Creso) si è tornati al Senatore Cappelli, grazie a una famiglia di agricoltori della Sardegna. Dalla Sardegna il grano Senatore Cappelli si è diffuso in altre Regioni del Sud, soprattutto per la coltivazione in biologico. Poi c’è stato un tentativo del solito Nord Italia non soltanto di coltivare la varietà Senatore Cappelli – cosa legittima per carità – ma di porre addirittura un monopolio su questa varietà che è stata selezionata nel Sud Italia a partire da popolazioni di grano dell’Africa! Operazione non riuscita ma indicativa dell’atteggiamento predatorio del Nord Italia nei riguardi del Sud e della Sicilia!