“Non ci sentiamo obbligati ad accantonare 866 milioni, il pronunciamento della Corte dei Conti non è paralizzante. Da Lunedì ci confronteremo col Governo Meloni, con il Mef e con il Parlamento a cui chiederemo una norma interpretativa che dia ragione alla Regione siciliana, facendo venire meno il motivo del contendere davanti alla Corte Costituzionale… Non ci sarà bisogno di riscrivere la manovra, prendiamo atto della pronuncia della Corte dei Conti che ha sospeso il giudizio e ha deciso di sollevare la questione di legittimità costituzionale per quanto riguarda il disavanzo. Per il resto aspettiamo di valutare tutte le altre partite contestate dalla Corte, avranno una incidenza ma di sicuro non sarà impattante”. Così parla l’assessore regionale all’Economia della Sicilia, Marco Falcone, commentando il pronunciamento della Corte dei Conti a Sezioni riunite per la Sicilia, che ha sospeso il giudizio di parifica del rendiconto della Regione per il 2020. La Magistratura contabile si è rivolta alla Corte Costituzionale per contestare la legittimità del piano di riparto del disavanzo da 2,2 miliardi che la Regione siciliana ha spalmato in dieci anni. Manovra che, secondo la Corte dei Conti, non può essere effettuata, perché il disavanzo avrebbe dovuto essere dilazionato in tre anni. Chi legge I Nuovi Vespri sa che noi ci occupiamo di questa vicenda dal 2015, quando il Governo regionale e il Parlamento siciliano hanno tagliato dal Bilancio della Regione siciliana prima 10 miliardi poi ridotti a 6 miliardi circa di crediti che la stessa Regione vantava nei riguardi dello Stato. Non solo la Regione siciliana ha perso circa 6 miliardi di crediti, ma applicando la riforma della contabilità dello Stato (Decreto legislativo n. 118 del 2011) questi 6 miliardi di disavanzo si sono trasformati in parte in un ‘buco’ di Bilancio. La Regione, nel 2017, partiva da una condizione difficile ma con buone ragioni, perché il ‘danno’ era stato effettuato negli anni precedenti al Governo di Nello Musumeci che si è insediato nei primi di Dicembre del 2017. Dopo di che è iniziata una sorta di ‘sfida’ della Regione alla Corte dei Conti a nostro modesto giudizio irrituale e, soprattutto, incomprensibile. E, infatti, i problemi di gestione di Bilancio che hanno accompagnato i cinque anni del Governo Musumeci si stanno ripresentando, forse anche finanziariamente ingigantiti, con il nuovo Governo di Renato Schifani.
Noi non siamo bravi come come l’assessore Falcone che, tra le altre cose, è anche avvocato e conosce sicuramente il fatto suo. Però, da osservatori quasi quarantennali di fatti personaggi e cose dell’Assemblea regionale siciliana restiamo letteralmente basiti nel leggere l’atteggiamento di sufficienza con il quale un assessore all’Economia commenta un pronunciamento della Corte dei Conti! Parole come “Non ci sentiamo obbligati ad accantonare 866 milioni, il pronunciamento della Corte dei Conti non è paralizzante” e “Non ci sarà bisogno di riscrivere la manovra, prendiamo atto della pronuncia della Corte dei Conti che ha sospeso il giudizio e ha deciso di sollevare la questione di legittimità costituzionale per quanto riguarda il disavanzo” nella nostra idea di politica intesa come mediazione tra posizioni diverse, anche distanti, ci lasciano molto perplessi. Anche la richiesta dello stesso Governo Schifani di una norma nazionale “Salva Sicilia” in risposta a una vicenda che la Corte dei Conti per la Sicilia ha affidato alla Corte Costituzionale appare semplicemente incredibile. Ribadiamo: noi siamo solo giornalisti e non siamo avvocati come il presidente Schifani e l’assessore Falcone e possiamo contare solo sul fatto che, da alcuni decenni, osserviamo, raccontiamo e commentiamo la vita del Parlamento siciliano. E appunto perché qualcosa la ricordiamo, se, appunto, non ricordiamo male, la Corte dei Conti per la Sicilia, in materia di ‘spalmatura’ dei disavanzi, non si sta inventando nulla, se è vero – sempre se non ricordiamo male – che il no alla ‘spalmatura’ in dieci anni dei disavanzi espresso dalla Corte dei Conti per la Sicilia nasce da una sentenza della Corte Costituzionale, alla quale, non a caso, i giudici contabili si sono rivolti. Che dovrebbero fare, adesso, i giudici della Consulta? Smentire se stessi? E che dovrebbero fare il Governo nazionale di Giorgia Meloni e il Parlamento nazionale? Presentare e approvare una noma “Salva Sicilia” contro la Corte Costituzionale e contro la Corte dei Conti per la Sicilia? Ma questi dicono vero o scherzano?
Siamo i primi ad affermare che una norma nazionale avrebbe potuto risolvere il problema. Ma in un quadro di mediazione politica non di scontro istituzionale! Dopo il pronunciamento della Corte dei Conti, che si è rivolta alla Corte Costituzionale, il Governo siciliano non può andare allo scontro coinvolgendo l’esecutivo nazionale che, con molta probabilità, non seguirebbe le impuntature della Regione siciliana. Piaccia o no all’assessore Falcone, che a nostro modesto avviso, con le sue parole improvvide, ha combinato un grande pasticcio istituzionale, ormai la ‘spalmatura non di 800 e passa milioni di euro, ma di circa un miliardo di euro considerando tutto il contenzioso non potrà che essere triennale. C’è una via, per il Governo siciliano, per uscire dal tunnel in cui si è cacciato? Sì, ci potrebbe essere, senza bisogno di polemizzare con la Corte dei Conti. Il Governo nazionale si è impegnato a restituire alla Sicilia i circa 600 milioni all’anno di fondi sanitari? Bene, il Governo siciliano chiuda subito l’accordo con Roma su tale versante. Dopo di che l’Ars blocchi la legge di Variazioni di Bilancio da 90 milioni di euro, garantendo soltanto 30 milioni di euro ai Comuni dell’Isola per il pagamento delle super-bollette, risparmiando così 60 milioni di euro. Lo stesso Governo regionale chieda sempre al Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di dimezzare, per tre anni, il pagamento della Regione siciliana allo Stato dei fondi per il risanamento della finanza pubblica, che oggi ammontano a poco più di 700 milioni di euro all’anno, anche a costo di pagare gli interessi. In questo modo la Regione avrebbe a disposizione altri 350 milioni di euro all’anno per tre anni. Non ci sembra una richiesta politicamente impossibile. Una volta avuti questi fondi, Governo Schifani e Ars ‘spalmino’ in tre anni questo benedetto disavanzo, mettendo la parola fine a una ‘bordelliata’ finanziaria che dura ormai da troppo tempo.
Foto tratta da La Sicilia