In questi giorni il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, ha posto meritoriamente la questione delle ex Province siciliane. Massacrate sotto il profilo finanziario negli anni del Governo nazionale di Matteo Renzi (qui un nostro articolo sulla crisi finanziaria delle Province siciliane), il presidente Schifani vorrebbe ripristinare la democrazia: basta commissari e via libera alla elezioni per eleggere il presidente della Provincia (che tornerebbe a nominare la Giunta provinciale) e i Consigli provinciali. Il problema è capire da dove dovrebbero arrivare i soldi alle ex Province, visto che sono state ‘alleggerite’ persino dei 220 milioni di euro all’anno delle RC auto (fondi incamerati da Roma), che erano l’unica fonte finanziaria delle ex Province di finanza non derivata. Il resto dei fondi con i quali le nove ex Province della nostra Isola sono andate avanti da quando divennero elettive nei primi anni ’60 del secolo passato sono stati i fondi nazionali e soprattutto regionali. Ma il Fondo regionale per le Autonomie locali, che fino a prima dell’avvento del citato disastroso Governo Renzi – che allora era anche il segretario del PD – ammontava a quasi un miliardo di euro all’anno, oggi è ridotto a 300 milioni di euro all’anno: una cifra insufficiente per i circa 390 Comuni e le nove ex Province della Sicilia. Il presidente Schifani rilancia sulle ex Province ma dovrebbe cominciare a rendere nota la sua strategia per fronteggiare il nuovo attacco della Corte dei Conti al Bilancio della Regione. Di questo argomento ha scritto nei giorni scorsi il professore Massimo Costa: “L’Italia torna a derubare la Regione siciliana con i soliti disavanzi farlocchi. I ‘regali’ allo Stato di Crocetta e Musumeci“. Noi oggi proveremo a esaminare, per grandi linee, gli effetti di questo attacco della Magistratura contabile che, a nostro modesto avviso, è incomprensibile perché, se attuato, renderebbe impossibile al Governo Schifani di andare avanti. Un’esagerazione? Niente affatto. Andiamo ai ‘numeri’.
La Corte dei Conti oggi contesta la ‘spalmatura decennale’ di un debito molto discutibile che – lo ribadiamo – è nato durante gli anni del Governo nazionale di Matteo Renzi, quando alla presidenza della Regione siciliana c’era Rosario Crocetta. Insomma PD a Roma e PD in Sicilia. Per semplificare, tutto il ‘casino’ finanziario che oggi travaglia la Regione comincia nel 2015, quando vengono cancellati dal Bilancio regionale circa 6 miliardi di crediti che, in larghissima parte, erano debiti dello Stato verso la Regione siciliana. Quella stagione politica non coinvolge né il passato Governo di Nello Musumeci, né il presente Governo Schifani, perché, come già ricordato, nel 2015 a Palazzo Chigi c’era Renzi, mentre in Sicilia, nel Palazzo d’Orleans, sede del Governo della nostra Isola, c’era Crocetta. Di quella stagione disastrosa la Corte dei Conti oggi – semplificando – contesta il 2019 e il 2020. Per la Magistratura contabile, la ‘spalmatura’ decennale del debito creato dallo Stato non vale per il 2019 e per il 2020. Secondo i giudici della Corte dei Conti, la Regione siciliana per ‘assestare’ il proprio Bilancio, dovrebbe trovare, entro il 31 Dicembre di quest’anno, 800 milioni di euro per chiudere il 2019 e altri 800 milioni di euro circa per chiudere il 2020. Sono cifre che la Regione siciliana dovrebbe tagliare dal Bilancio 2023. Ma siccome il Bilancio della Regione siciliana è già all’osso, tagliando un miliardo e 600, il Bilancio regionale 2023 non si potrà predisporre, a meno che il Governo Schifani non decida di tagliare, per il prossimo anno, 1,6 miliardi di euro: ciò significherebbe, per citare alcuni esempi, eliminare i 300 milioni di euro del citato Fondo per le Autonomia locali (niente soldi ai Comuni), non pagare più la spesa sociale (anziani, minori, disabili, malati psichiatrici), tagliare i fondi per il turismo e altri tagli ancora.
E’ percorribile questa via? A nostro modesto avviso, no. Che soluzioni ci potrebbero essere? La Magistratura è autonoma e se ha deciso di costringere la Regione di oggi ad ‘assestare’ il Bilancio per sanare le gestioni passate c’è poco da fare. Ci potremmo chiedere come mai tanta severità non sia stata messa in campo negli anni in cui nascevano questi ‘buchi’ finanziari che hanno provocato, oltre ai debiti oggi contestati dalla Corte dei Conti, un disavanzo annuale di circa 900 milioni di euro. Disavanzo annuale significa che – sempre grazie ai ‘geni’ del Governo Renzi e del Governo Crocetta – ogni anno la Regione siciliana si ritrova con circa 900 milioni di euro in meno rispetto al proprio fabbisogno per fronteggiare le spese che, lo ribadiamo, sono ormai ridotte all’osso. Per essere chiari: se quest’anno non fosse emerso un extra gettito IVA di 300 milioni di euro la Regione avrebbe un ‘buco’ di 300 milioni di euro. Non potendo intervenire sulla Corte dei Conti diventata ‘severa’, si potrebbe intavolare una trattativa con lo Stato che, bontà sua, ha riconosciuto che, dal 2009, ha trattenuto ogni anno 600 milioni di euro dal Fondo sanitario regionale della Sicilia. E’ una storia che raccontiamo da quando siamo in rete: lo scippo alla sanità siciliana ‘pilotato’ dal Governo Prodi del 2006, quando unilateralmente Roma decise che la Regione avrebbe aumentato la propria quota di compartecipazione alle spese sanitarie, passando dal 42% circa al 50% circa.
Con questa mossa, a partire dal 2009, lo Stato si prende ogni anno circa 600 milioni di euro togliendoli alla sanità siciliana. La legge Finanziaria nazionale del 2007, con la quale è stato sancito questo aumento della quota di partecipazione della Regione siciliana alle spese della sanità, prevede che lo Stato consenta alla Regione di trattenere ogni anno una somma pari a circa 600 milioni dalle accise sui carburanti. La prima parte di questo accordo è stata applicata, la seconda parte dell’accordo – ovvero la restituzione dei 600 milioni di euro all’anno alla Regione siciliana a valere sulle accise petrolifere – non è stata mai applicata. La notizia è che lo Stato ha finalmente riconosciuto che alla Regione, ogni anno, vanno questi benedetti 600 milioni di euro. Però lo Stato non vuole riconoscere alla Regione gli arretrati, che al 31 Dicembre di quest’anno ammonterebbero a circa 8 miliardi e 400 milioni di euro. Il che è un’assurdità, perché un principio giuridico, se è tale, non può valere a convenienza. Lo Stato fa sapere che, in questa fase storica, non può tirare fuori in un colpo solo 8,4 miliardi di euro da dare alla Sicilia. E questo è anche giusto, considerati gli attuali chiari di luna finanziari. Però la restituzione potrebbe essere attuata con una sorta di operazione di ‘credito d’imposta’ in favore della Sicilia. Ci spieghiamo meglio. In virtù delle scellerata riscrittura delle norme di attuazione dell’articolo 36 dello Statuto effettuata nel 2016, lo Stato incamera un quota dell’IRPEF e una quota dell’IVA (a norma di Statuto tutta l’IRPEF e tutta l’IVA maturate in Sicilia dovrebbero essere trattenute dalla Regione). Ebbene, lo Stato potrebbe cominciare a restituire questi 8,4 miliardi di euro alla Regione siciliana un po’ alla volta, trattenendo ogni anno un po’ meno di IRPEF e un po’ meno di IVA. E’ chiedere troppo? Non ci sembra proprio. Ricordiamo che la Regione, ogni anno, paga oltre 400 milioni di euro per un debito legato alla già citata cancellazione dei crediti dello Stato verso la Sicilia avvenuta nel 2015: cancellazione che è stata trasformata in un ‘buco’ del Bilancio regionale (e qui ci sarebbe da discutere: ma questa è un’altra storia). Ora, se la Regione paga a poco a poco i debiti che ha verso lo Stato, perché lo Stato non dovrebbe pagare i propri debiti verso la Regione a poco a poco? Ricordiamo che, fissata contabilmente la restituzione anche in vent’anni di questi 8,4 miliardi, la Regione siciliana, con una semplice operazione finanziaria, azzererebbe il debito che ammonta a circa 8 miliardi di euro e azzererebbe, anche, il disavanzo annuale di circa 900 milioni di euro. Accontentando la Corte dei Conti che non dovrebbe chiedere più ‘assestamenti’ di Bilancio impossibili. A questo punto sì che si potrebbero rilanciare le nove ex Province siciliane.
Foto tratta da Le Vie dei Tesori Magazine