Dopo un mese, in stile sudamericano, sono terminati i conteggi e sono stati definiti i 70 depurati eletti della nuova Assemblea regionale siciliana. Ora bisognerà eleggere il presidente del Parlamento siciliano, con il forzista Gianfranco Miccichè che vuole a tutti i costi prendersi questa poltrona con il voto delle opposizioni per mettere sotto ‘tutela’ il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani. In realtà, visto che Forza Italia esprime la presidenza della regione, la presidenza dell’Ars dovrebbe andare a Fratelli d’Italia, che peraltro è il primo partito della coalizione di centrodestra. Ma Miccichè non ne vuole sapere e farà di tutto per farsi rieleggere per la terza volta sulla più alta poltrona del Palazzo Reale di Palermo. Se Miccichè riuscirà a portare con sé i 30 parlamentari dell’opposizione e sei parlamentari di Forza Italia su 11, verrà di nuovo eletto: e per Schifani saranno dolori perché, di fatto, in Aula, ci sarà una nuova maggioranza. E’ probabile che Miccichè cerchi di convincere i 39 parlamentari della maggioranza (che con lui sono 40) ad assecondarlo, pena la sua elezione contro il centrodestra. La presidenza dell’Ars, nel ‘bilancino’ degli equilibri di potere dei ‘Palazzi’ della politica siciliana vale due assessorati: quindi in cambio della presidenza del Parlamento dell’Isola a Miccichè Fratelli d’Italia dovrebbe prendersi da 5 a 6 assessorati. Questa ripartizione penalizzerebbe gli altre tre partiti di centrodestra: Lega, Nuova Dc di Totò Cuffaro e gli Autonomisti di Raffaele Lombardo, che dovrebbero accontentarsi di un assessorato a testa. Uno scenario del tutto diverso da quello che ci si aspettava, ovvero la presidenza dell’Ars a Fratelli d’Italia, tre assessorati a testa per Forza Italia e Fratelli d’Italia e due assessorati a testa per Nuova Dc di Totò Cuffaro e gli Autonomisti di Raffaele Lombardo. Ma a parte i malumori che si determinerebbero nella ripartizione degli assessorati, il problema è politico: Miccichè verrebbe eletto per la terza volta presidenza dell’Ars con la ‘sponda’ delle opposizioni di centrosinistra (soprattutto del PD) e questo sarebbe un bel problema per il presidente Schifani che ha già altre ‘gatte a pettinare’. Ad essere sacrificato sarebbe Ignazio la Russa, oggi presidente del Senato, che per la presidenza del Parlamento siciliano sponsorizza il parlamentare di Fratelli d’Italia, Gaetano Galvagno.
Appurato che l’elezione del presidente dell’Ars andrà di pari passo con la divisione dei dodici assessorati, vediamo adesso chi sono i 70 parlamentari eletti a Sala d’Ercole dopo un spoglio – perché di questo si è trattato – durato un mese. I deputati eletti di Forza Italia sono 11: Gianfranco Miccichè (che non opterà mai per il Parlamento nazionale), lo stesso Schifani (parlamentare in quanto eletto presidente della Regione), Edy Tamaio, Riccardo Gallo Afflitto, Margherita La Rocca Ruvolo, Michele Mancuso, Marco Falcone, Nicola D’Agostino, Luisa Lantieri, Bernadette Grasso (che subentra a Tommaso calderone che ha optato per il Parlamento nazionale), Gaspare Vitrano, Riccardo Gennuso e Stefano Pellegrino. sono 11 anche i deputati di Fratelli d’Italia: Alessandro Aricò, Dario Letterio Daidone, Giuseppe Galluzzo, Marco Intravaia, Fabrizio Ferrara, Giorgio Assenza, Giovanni Luca Cannata, Nicolò Catania, Elvira Amata, Giuseppe Zitelli, Gaetano Galvagno, Giuseppa Savarino e Giuseppe Catania. Restando sempre nel centrodestra, i deputati eletti nella Nuova DC di Totò Cuffaro sono Nunzia Albano, Carmelo Pace, Serafine Marchetta, Andrea Barbaro Messina e Ignazio Abbate. Gli eletti nella Lega sono Luca Sammartino, Vincenzo Figuccia, Giuseppe Laccoto, Girolamo Turano e Marianna Caronia.
Per le opposizioni ci sono 11 deputati per il Partito Democratico: Ersilia Savarino (che prende il posto del segretrio regionale di questo partito, Anthony Barbagallo, eletto a Roma), Michele Catanzaro, Giovanni Burtone, Sebastiano Fabio Venezia, Antonello Cracolici, Mario Giambona, Valentina Chinnici, Nello Dipasquale, Tiziano Fabio Spada, Dario Safina, Calogero Lanza. Anche per il Movimento 5 Stelle i deputati eletti sono 11: Adriano Varrica, Angelo Cambiano, Jose Marano, Luigi Sunseri, Antonino De Luca, Stefania Campo, Carlo Gilistro, Cristina Ciminnisi e Nuccio Di Paola, che è stato candidato nel collegi di Caltanissetta, Palermo e Catania e dovrà optare per uno di questi tre collegi. Si libereranno due posti che in questo momento sono contesi dalla palermitana Roberta Schillaci, dal nisseno Filippo Ciancimino e dalla catanese Marina Ardizzone. Dalla scelta di di Di Paola si capirà chi dei tre resterà a casa. Infine gli eletti della lista Sud chiama Nord di Cateno De Luca (che dopo l’estenuante campagna elettorale – De Luca è l’unico candidato presidente della Regione che può ben dire di aver visitato tutti i Comuni della Sicilia – ha accusato qualche problema fisico ma è in ripresa) che sono: Cateno De Luca, Salvatore Geraci, Ismaele La Vardera, Ludovico Balsamo, Maria Davide Vasta, Matteo Sciotto, Pippo Lombardo e Alessandro De Leo.
Non sappiamo come finirà con l’elezione della presidenza dell’Ars (ma ipotizziamo ‘casini fermi’) e con la divisione degli assessorati. Ma sappiamo che il presidente Schifani dovrà affrontare problemi finanziari enormi. Ieri il professore Massimo Costa, che nella vita insegna Economia all’università, ha illustrato in modo chiaro come lo Stato italiano sta provando a fregare per l’ennesima volta la Sicilia. Costa ha ricordato come Roma ha ‘incaprettato’ la regione siciliane nel 2015, quando il Governo regionale di centrosinistra di Rosario Crocetta e il Parlamento siciliano dell’epoca a maggioranza di centrosinistra hanno cancellato dal Bilancio della Regione circa 6 miliardi di euro. “Ma la Regione ha fatto di più – ha ricordato ieri il professore Costa -. Non solo ha cancellato i propri crediti, circa 6 miliardi, ma li ha trasformati contabilmente in “disavanzo”, cioè li ha trasformati in debiti, regalando quindi due volte allo Stato ciò che lo Stato ha rubato a noi cittadini siciliani. Per rendere sostenibile il furto, il disavanzo – partita puramente contabile – è stato spalmato sui decenni successivi. Sicché, per una generazione intera, la Sicilia deve raccogliere, spremere, dai Siciliani, più di quello che spende, perché una parte la deve “restituire” allo Stato per un debito che non esiste, che non è mai esistito. Per fare questo regalo, sempre nel 2015, e per evitare che il disavanzo fosse troppo grande, altri crediti (vado un po’ a memoria, ma siamo comunque nell’ordine di grandezza di 2 miliardi circa) che davvero dovevano essere cancellati perché decotti, furono invece lasciati in bilancio. Quando poi sarebbero esplosi, nel 2017, non si sapeva più come chiudere i bilanci” (qui l’articolo del professore Massimo Costa per esteso). A fronte di un ‘buco’ creato, di fatto, dal Governo e dal Parlamento siciliano nel 2015, il Governo di Nello Musumeci – assessore all’Economia Gaetano Armao – invece di scatenare un casino con Roma hanno deciso di ‘spalmare’ i continui disavanzi della Regione (il disavanzo strutturale della Regione siciliana, dopo la cancellazione dei credito che la stessa regione vantava verso lo Stato, oscilla tra 700 e un miliardo di euro all’anno: diminuisce se aumentano le entrate fiscali, aumenta se le entrate fiscali si riducono. Oggi arriva la Corte dei Conti per la Sicilia e dice che le ‘spalmature’ non vanno bene. Morale: la Regione dovrebbe eliminare il disavanzo tagliando le spese già ridotte all’osso: una follia!
Qualche giornale scrive che lo Stato restituirà alla Sicilia i fondi della sanità che si tiene dal 2009. La chiamano “retrocessione delle accise”. A noi sembra inverosimile che in un momento del genere il nuovo Governo di Giorgia Meloni, alla ricerca di soldi per aiutare famiglie e imprese, dia soldi alla Sicilia. Al massimo il Governo romano chiuderà la partita con la Corte dei Conti consentendo al Governo Schifani di continuare a ‘spalmare’ il ‘buco’ provocato nel 2015 da Stato e Regione. Per la cronaca, lo scippo dei fondi alla sanità siciliana comincia con l’approvazione della legge Finanziaria nazionale del 2006, Governo Prodi. Unilateralmente, il Governo romano stabilisce che in tre anni, a partire dal 2007, la quota di compartecipazione della Regione siciliana alle spese sanitarie della nostra Isola sarebbe passata dal 42% circa al 50% circa. Un atto di ‘banditismo’ che i parlamentari nazionali eletti in Sicilia nel 2006 avrebbero dovuto contestare 8e tra questi parlamentari nazionali, se non ricordiamo male, c’era anche Schifani per il centrodestra e Giovanni Burtone per il centrosinistra). Con questo scippo, a partire dal 2009, la Regione siciliana per quasi 600 milioni di euro all’anno. Nella formulazione della Finanziaria approvata dalla Camera dei deputati c’era scritto a chiare lettere lo Stato avrebbe restituito questi soldi consentendo alla Regione di tenersi le accise sui carburanti per una quota pari ai fondi sanitari tolti alla stessa Regione. Il testo della Finanziaria 2006 approvato dal Senato ha annacquato il passaggio sulle accise e, da allora, le burocrazie ministeriali si rifiutano di riconoscere alla Regione siciliana i circa 600 milioni di euro di accise all’anno.
Noi questa storia di banditismo (romano) e ascarismo (siciliano) la raccontiamo da quando siamo in rete. Nel Luglio del 2018 abbiamo calcolato che lo Stato doveva alla Regione siciliana circa 7 miliardi di euro. Considerato che siamo a fine 2022 lo Stato dovrebbe erogare alla Sicilia 9 miliardi e 400 milioni di euro di arretrati più 600 milioni di euro all’anno. E credibile che il Governo di Giorgia Meloni riconosca questi fondi alla Sicilia? Ma nemmeno per sogno! Al massimo – lo ribadiamo – il Governo Meloni troverà una soluzione per la ‘spalmatura’ dei debiti creati dal centrosinistra nel 2015 e, forse – ma non è detto – concederà 600 milioni di euro con l’impegno di chiudere il contenzioso per sempre, con la Regione che dovrebbe rinunciare al pregresso (9,4 miliardi di euro). Lo scippo di 600 milioni di euro all’anno resterà per il futuro? Questa è l’unica partite che il presidente Schifani potrà giocare: ma non è detto che la vinca, nel senso che non è detto che lo Stato rinunci a scippare alla sanità siciliana 600 milioni di euro all’anno. Un’altra partita il Governo Schifani l’ha già persa, se è vero – come ha detto ieri in Parlamento la Meloni – che verrà attuata subito l’Autonomia differenziata. Con l’Autonomia differenziata il Sud Italia e la Sicilia perderanno da 60 a 70 miliardi di euro all’anno di entrate. E poiché il calcolo sui fondi dell’Autonomia differenziata si fa sulla popolazione il calcolo è presto fatto: nel Sud ci sono, in totale, 20 milioni di abitanti; di questi, 5 milioni sono in Sicilia. Ciò significa che la Sicilia perderà un quarto delle entrate che verranno meno con l’applicazione dell’Autonomia differenziata, ovvero da 14 a 18 miliardi di euro all’anno. Questi sono i ‘numeri’, il resto sono chiacchiere.
Foto tratta da www.ars.sicilia.it