- Ma la Corte dei Conti non è messa un po’ di punta?
- Perché, per due volte, la politica siciliana ha regalato allo Stato i soldi dei siciliani?
- Come spiegare le due mosse auto-lesioniste dell’accoppiata Musumeci-Armao?
- Al nuovo Governo di Giorgia Meloni importerà qualcosa della tragedia che i Governi Crocetta e Musumeci hanno provocato alla Sicilia?
- C’è una soluzione dentro l’Italia?
di Massimo Costa
Ma la Corte dei Conti non è messa un po’ di punta?
Mi si chiede di commentare la bocciatura del rendiconto della Regione da parte della Procura della Corte dei Conti. La Corte dei Conti chiede di coprire “immediatamente”, con tagli quindi, o con nuovo indebitamento (non esistendo altri canali) circa un miliardo su 21 circa. In pratica, è un atto di guerra dell’Italia contro la Sicilia, naturalmente ammantato, come sempre, di apparente legalità. In breve, cosa succede? Succede che ininterrottamente abbiamo al potere alla Regione emissari dei partiti nazionali italiani i quali eseguono gli ordini di saccheggio della colonia siciliana. Li abbiamo votati noi, ce li meritiamo. Ma del resto i Siciliani non sanno nulla di quello che accade nella realtà. Proviamo a raccontarlo.
Perché, per due volte, la politica siciliana ha regalato allo Stato i soldi dei siciliani?
La Regione siciliana è in dissesto dal 2015, cioè da quando il Governo di centrosinistra di Rosario Crocetta ha cancellato unilateralmente tutti i crediti nei confronti dello Stato per i tributi che questo aveva riscosso al posto della Regione in maniera incostituzionale. Ma la Regione ha fatto di più. Non solo ha cancellato i propri crediti, circa 6 miliardi, ma li ha trasformati contabilmente in “disavanzo”, cioè li ha trasformati in debiti, regalando quindi due volte allo Stato ciò che lo Stato ha rubato a noi cittadini siciliani. Per rendere sostenibile il furto, il disavanzo, partita puramente contabile, è stato spalmato sui decenni successivi. Sicché, per una generazione intera, la Sicilia deve raccogliere, spremere, dai Siciliani, più di quello che spende, perché una parte la deve “restituire” allo Stato per un debito che non esiste, che non è mai esistito. Per fare questo regalo, sempre nel 2015, e per evitare che il disavanzo fosse troppo grande, altri crediti (vado un po’ a memoria, ma siamo comunque nell’ordine di grandezza di 2 miliardi circa) che davvero dovevano essere cancellati perché decotti, furono invece lasciati in bilancio. Quando poi sarebbero esplosi, nel 2017, non si sapeva più come chiudere i bilanci. Anziché sollevare con lo Stato la questione dei diritti dei Siciliani, il Governo di centrosinistra di Rosario Crocetta e poi il successivo Governo regionale di centrodestra di Nello Musumeci, da un lato hanno rinunciato a tutto il gettito da contenzioso costituzionale e – come si è visto – ai crediti legittimi, dall’altro si sono tagliati le gambe regalando unilateralmente quote di IRPEF e di IVA allo Stato in cambio di nulla. Risultato? I bilanci chiudono poco e male, al prezzo di tagliare selvaggiamente i trasferimenti agli enti locali (quasi tutti i Comuni siciliani in dissesto o pre-dissesto, vedi Palermo ad esempio) ovvero i servizi ai cittadini, ormai in regime di apartheid rispetto agli altri cittadini della Repubblica, anche meridionali.
Come spiegare le due mosse auto-lesioniste dell’accoppiata Musumeci-Armao?
Il Governo Musumeci-Armao (Gaetano Armao, assessore regionale all’Economia uscente), poi, ha completato il lavoro con due mosse autolesioniste. La legge sull’armonizzazione contabile consentiva, in un articolo, di adattare la stessa alle specificità delle Regioni a Statuto speciale. Non c’era migliore occasione per sancire almeno due principi. Il primo era che la Regione, in forza dell’art. 36 dello Statuto, è il soggetto titolare del tributo e che può emettere i suoi accertamenti direttamente sui contribuenti, mettendo per questa ragione gli uffici finanziari periferici a disposizione della Regione, come implicitamente previsto dall’art. 37. In questo modo si sarebbe evitato in futuro di annullare i crediti tributari verso lo Stato, che li ricusa in quanto non soggetto ad “obbligazione giuridica” nei confronti della Regione. Altro principio che si poteva far passare era che la Regione, in ragione della sua peculiare struttura finanziaria, avrebbe potuto tenere i conti in competenza finanziaria pura, come lo Stato, anziché mista. In tal modo gli avanzi e i disavanzi di amministrazione non sarebbero entrati in bilancio, se non per spese da coprire effettivamente. In modo minimale si sarebbe potuto anche solo azzerare il disavanzo (anzi i disavanzi) puramente contabile/i cui non corrispondeva più alcuna obbligazione giuridica. Nulla di tutto questo è stato fatto, anzi… ci si è limitati a recepire servilmente e pedissequamente le disposizioni del testo unico sulla contabilità pubblica, soltanto con insignificanti norme provvisorie sul cassiere o tesoriere. Roba da matti.
Al nuovo Governo di Giorgia Meloni importerà qualcosa della tragedia che i Governi Crocetta e Musumeci hanno provocato alla Sicilia?
Al contempo, per chiudere in qualche modo i bilanci, si è buttata la palla in avanti sulle generazioni future. Cosa ha fatto Armao? Cosa ha fatto Musumeci, ora premiato con il “buen retiro” del Mare e del Sud? Si sono limitati a “spalmare” i continui disavanzi della Regione sugli anni futuri. Caricando in tal modo le già esauste finanze regionali di rate impagabili. Si sono comportati come quella famiglia che ha uscite superiori alle entrate e, anziché rivendicare le maggiori entrate che spettano, rinvia tutto al futuro mettendosi rate su rate da pagare. In questo modo, i successivi bilanci saranno obiettivamente ancor meno sostenibili dei precedenti, con effetti devastanti sul piano economico e sociale per la Sicilia. Ovviamente in Italia, dove hanno sede gli autori del furto (qua in Sicilia ci sono solo i complici), non gliene importa niente a nessuno. Perché la Sicilia è solo una colonia, non una parte dell’Italia. Se tutto qua va a gambe all’aria, né a Conte né al “peggiorissimo” Draghi importa nulla. Draghi neanche sa della Sicilia, secondo me. L’ha affidata alle magagne di terze o quarte figure, che continuano il taglieggio di sempre. Naturalmente questa continua “spalmata” è fatta su basi giuridiche di carta: accordi Stato-Regione, che naturalmente non vanno a toccare il DL 118/2011. Sono “accordi” e basta. Ora arriva una Procura qualunque della Corte dei Conti a ricordare che prima viene la legge e poi qualsiasi “accordo”. Che quindi questa spalmata di disavanzi era illegittima (stiamo parlando del 2020, arrivato alla Corte dei Conti con incredibile e scandaloso ritardo), e che quindi i Siciliani si devono tagliare un piede. Al nuovo Governo di Giorgia Meloni, di questa tragedia, se mai gliene arriverà qualche eco, naturalmente non importa nulla.
C’è una soluzione dentro l’Italia?
Che fare dunque? Che farei io se fossi presidente della Regione? Ovviamente rivendicherei tutti i diritti, come quello di cancellare i disavanzi farlocchi. Ma non è detto che questo possa bastare. La Regione non ha un esercito, non ha una Magistratura (anzi li ha contro). Alla fine taglierei i servizi, e manderei 10.000 persone almeno in mezzo alla strada. Direi, al contempo, che questo vuole l’Italia per la Sicilia. Chissà, forse i belli addormentati nell’Isola si sveglierebbero. Forse. Invece temo il peggio. O che la Corte dei Conti alla fine parifica, con qualche ramanzina. O che non parifica, e allora si ricorrerà ad altri debiti, ad altri capestri, ad altre umiliazioni, da cui la Sicilia non uscirà viva, nonostante i “buoni uffici a Roma” millantati dal nuovo Presidente della regione, Renato Schifani che, per inciso, in 30 anni di politica circa per la Sicilia non ha fatto mai nulla di nulla. Non mi chiedete una soluzione. La soluzione, dentro l’Italia, non c’è. Siamo condannati a morte. Tranne le piccole élite di collaborazionisti e statali, di cui, per ironia della sorte, faccio parte io stesso, insieme alla Magistratura, a pochi imprenditori ben “ammanigliati”, a qualche professionista e burocrate. Per tutti gli altri caos, miseria ed emigrazione. Se avessimo un Governo siciliano e non calato da Roma, il Presidente dovrebbe costituire una commissione che indaghi sui motivi che portarono il precedente Governo ad ignorare le conclusioni alle quali era pervenuta la Commissione d’esperti presieduta dal Dott. Sapienza, che lo stesso Governo aveva costituito, per accertare le cause del disavanzo nel rendiconto 2017; disavanzo oggi oggetto di contestazione. Ma cane non mozzica cane, e noi Governo siciliano non ne abbiamo.
Foto tratta da Siciliani Liberi
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