Riuscirà l’ONU a convincere i russi a tenere aperto il corridoio umanitario per consentire all’Ucraina l’esportazione di cereali – grano in testa – e olio di girasole? La risposta a questa domanda – che in questo momento è sospesa – dà la misura dell’incertezza che oggi pesa nei mercati internazionali del grano e di altri prodotti agricoli freschi e trasformati. Chiudere gli occhi e fare finta di non vedere che la guerra tra russi e ucraini continua senza esclusione di colpi, da ambo le parti, serve a poco. I russi, da parte loro, hanno fatto sapere che sono anche disposti a consentire il passaggio delle navi ucraine dal Mar Nero, ma in cambio chiedono di poter esportare anche loro prodotti agricoli e fertilizzanti. In altre parole – questo è il ‘succo’ della situazione – il cosiddetto Occidente industrializzato, con riferimento soprattutto a Stati Uniti e Unione europea – non può pensare di mantenere le sanzioni contro la Russia e pretendere dalla stessa Russia il mantenimento del corridoio umanitario nel Mar Nero. L’analista dei mercato internazionali, Sandro Puglisi, nel suo report di oggi, riporta una dichiarazione del vice ministro della Difesa russo, Alexander Fomin, che rispondendo al Sottosegretario generale delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, ha detto che l’estensione dell’accordo “dipende direttamente dalla piena attuazione di tutti gli accordi precedentemente raggiunti. Nonostante la Russia abbia continuato ad attaccare la capitale ucraina ieri con droni di fabbricazione iraniana – scrive sempre Puglisi – continuando così la sua campagna di attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine e obiettivi civili, il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric ha affermato che i funzionari hanno tenuto discussioni ‘positive e costruttive’ a Mosca sull’ampliamento dell’accordo”. Non sono un po’ troppo ottimisti i vertici dell’ONU?
Intanto la scorsa settimana, leggiamo ancora nel report di oggi, “la Russia ha mantenuto le esportazioni di grano stabili a 910.000 tonnellate, secondo i dati portuali. La società di consulenza russa Sovecon stima che le esportazioni di grano del Paese raggiungeranno i 4,4 milioni di tonnellate, che sarà un aumento mensile del 7,3%, se realizzato. Sarebbe anche il conteggio mensile più alto in più di un anno”. Questa è una notizia positiva, perché, di solito, il grano russo viene esportato nei Paesi africani dove, spesso, la siccità limita l’attività agricola.
E l’Ucraina? “Le esportazioni di grano ucraine nei primi 17 giorni di Ottobre – riferisce sempre Puglisi – sono state solo del 2,4% inferiori rispetto allo stesso periodo del 2021 nonostante la chiusura di diversi porti marittimi e la guerra. In questo contesto, la principale azienda agricola ucraina Nibulon ha completato la prima fase del suo nuovo terminal di esportazione di grano nel porto di Izmail sul Danubio, ha affermato lunedì il capo dell’azienda, Andriy Vadaturskyy. L’Ucraina gestisce tre porti sul Danubio relativamente piccoli che aiutano il Paese a continuare le esportazioni di grano”.
Lo scenario di guerra ne Mar Nero si riflette in tutti i mercati mondiali, compresi i mercati degli Stati Uniti. La situazione è un po’ altalenante: i prezzi sono aumentati quando la Russia, come già accennato, ha fatto sapere che il corridoio umanitario nel Mar Nero verrà mantenuto solo se ci sarà, contestualmente, una riduzione delle sanzioni occidentali contro i russi. Le notizie ottimistiche fornite dall’ONU stando alle quali le rotte del Mar Nero rimarranno aperte ha fatto scendere un po’ il prezzo del grano. Prezzi che sono scesi anche in ragionale della pressione dal raccolto negli Stati Uniti in rapido avanzamento. Negli Stati Uniti, segnala sempre il report di Puglisi, c’è anche un problema climatico: il clima secco nelle regioni di coltivazione sta scoraggiando gli agricoltori che non hanno ancora seminato.
Pure in Europa la geopolitica condizione i mercati agricoli. Anche se c’è anche un problema legato alla mancanza di competitività del grano europeo rispetto al grano russo: cosa, questa, che fa perdere terreno al grano europeo. Non solo. “I prezzi del grano – scrive Puglisi – sono stati gravati anche da un balzo della parità euro-dollaro, con l’euro rimbalzato di quasi l’1%, trascinando così meccanicamente al ribasso tutte le quotazioni europee. Tuttavia, i premi all’esportazione tedesca sono rimasti forti, con un vivace programma di carico portuale derivante dalle vendite passate, mentre le forniture di grano di alta qualità sono state ridotte dalla siccità di quest’Estate”.
Come scriviamo spesso, oggi i rapporti tra Cina e Stati Uniti non sono idilliaci. Tuttavia gli scambi commerciali tra i due paesi proseguono, anche se non mancano batture d’arresto, non si capisce se legate a motivazioni logistiche o politiche. “La Cina – leggiamo nel report di Puglisi che cita National Grain Trade Center – ha venduto 41.359 tonnellate di grano, ovvero il 100% dell’offerta totale, a un’asta delle sue riserve tenutasi il 12 ottobre. Il prezzo medio di vendita del grano, che era dei raccolti del 2014, 2015 e 2016, era di 2.854 yuan ($ 396,63) per tonnellata”. Qualche problema per le scorte di soia della Cina, che, leggiamo sempre nel report, “sono destinate a ridursi ulteriormente poiché i ritardi nelle spedizioni dagli Stati Uniti aggravano la carenza di farina di soia, mantenendo i prezzi a livelli record. Ci sono alcune navi, infatti, che trasportano fino a tre milioni di tonnellate di semi di soia statunitense che avrebbero dovuto arrivare questo mese e a novembre. Tuttavia è probabile che la consegna subisca un ritardo di circa 15-20 giorni. I prezzi in contanti della farina di soia a Dongguan, nella provincia del Guangdong, sono saliti al massimo storico di 5.680 yuan per tonnellata la scorsa settimana, rispetto ai 3.500 yuan ($ 486,6) dello scorso anno”.
Foto tratta da Avvenire
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